di Maria Gioia Tavoni, Res publica litterarum. Studies in the classical tradition, anno XXXVIII, XVIII della nuova serie, pp.236-238
Recentemente ho avuto modo di esprimermi in merito alle recensioni, su come esse siano spesso diventate palestre per indirizzarsi pro o contro un autore. L’impudenza non si arresta tuttavia agli autori di certe recensioni, ma ha finito per divenire usuale anche per chi pubblica volumi, o saggi che compaiono in riviste, finanche prestigiose. Ci si appropria, infatti, di temi, facendoli passare per scoperte personali; si prendono a titolo intere frasi di un altro scritto senza neppure citarlo; si evita la nota ai testi, o qualunque riferimento al già pubblicato, spacciando per nuovi lavori già da tempo usciti a stampa, ci si muove cioè in una giungla in cui qualunque agire sembra plausibile. Nulla è riuscito, per ora, a favorire una generalizzata inversione di tendenza, in molti casi neppure il peer review, alla cui prima applicazione sembrarono aprirsi nuove frontiere per piú corrette interpretazioni. Su come avvenga la « valutazione segreta », in modi a volte “distorti”, ha speso parole appropriate, sebbene molto amare, Federico Bertoni, in un suo libro, che non è un pamphlet, bensí una lucida testimonianza delle numerose insensatezze che attanagliano l’Accademia attuale (Federico Bertoni, Universitaly. La cultura in scatola, Roma-Bari, Laterza, 2016).
È forse per tutto questo che avvicinandomi alla silloge di Rino A[vesani], ho provato un’emozione profonda: ho avuto di fronte un libro che evoca con forza il mondo dei grandi Maestri del passato. E sebbene non si debbano avere, come giustamente incalza ancora Bertoni, inclinazioni nostalgiche nei confronti del passato, nel riandare a tempi lontani devono tuttavia sorreggerci alcune forti consapevolezze, in particolare nei confronti di chi era in grado di dare ai propri scritti forme improntate alla piú grande correttezza e serietà. Tutto questo non si può e, soprattutto, non si deve negare.
Prova fra le piú eloquenti e tangibili di questo dovere è l’accuratezza con cui si presenta il libro di A., ciò palesandosi fin dal titolo scelto per la miscellanea. Se la titolografia continua ad avere un senso, quel « doverosa », infatti, sottende una profonda polifonia semantica: « doverosa » non sta unicamente a significare rimpianto, ma pure riconoscenza, l’uno e l’altra sentimenti dai quali l’Autore evidentemente non prescinde; cosí come « memoria » denuncia la ferma volontà di richiamare alla mente, ed anche al cuore, esperienze vissute con personalità che hanno dato tanto al mondo non solo degli studi, e che, ahimè, non possono piú ritornare fra noi se non richiamate costantemente dal ricordo.
Nelle pagine di apertura sarà lo stesso autore a motivare la ristampa dei propri scritti che risponde sí al desiderio espresso dai familiari e da alcuni amici, ma risponde « primariamente al dovere di non dimenticare».
Con particolare evidenza sentimenti di devozione, carichi di forte nostalgia, oltre che di affetto profondo, legano l’autore a maestri e amici che non sono piú, alcuni nominati nella copertina e nel frontespizio e come si evince fin dal titolo del volume. In questa sede, si vogliono, anche solo con brevi accenni, ricordare di tutti almeno alcune delle indiscusse rispettive grandi benemerenze. Ai primi nominati, ovvero Augusto Campana, a cui maggior ricordo verrà dedicato piú avanti, seguono Giulio Battelli, studioso di paleografia, diplomatica e archivistica di fama internazionale, che insegnò anche a Macerata, Giuseppe Billanovich, per il quale Ezio Franceschini inventò la nuova disciplina “Filologia medievale e umanistica”, che Billanovich promosse con ogni forza, non solo con l’annuario « Italia medioevale e umanistica », e Paul Oskar Kristeller, di cui basterebbe ricordare l’Iter italicum. Quanto « agli altri amici », che hanno trovato in A. uno fra i piú attenti interpreti della loro attività, cosí come del rispettivo pensiero scientifico, all’interno del medesimo libro si succedono Giovanni Orlandi, professore di letteratura latina medievale, tra i fondatori di « Medioevo latino », studioso di rara dottrina e non comune umanità, Vincenzo Licitra, al quale si deve la ripresa nel 1960 degli « Studi medievali », la cui pubblicazione era stata sospesa dopo il volume del 1952, Maddalena De Luca, sorella di don Giuseppe De Luca, il fondatore delle prestigiose Edizioni di storia e letteratura e dell’ « Archivio italiano per la storia della pietà », che dopo la morte del fratello sostenne per decenni le due imprese, Romana Guarnieri, donna di grande intelligenza e vasta cultura, da don Giuseppe De Luca convertita al cattolicesimo, vicinissima a lui e poi alla sorella nel sostenere le sue iniziative, Federico Codignola, che, acquistate le Edizioni, mantenne ferma la linea voluta dal fondatore e di cui anche piace ricordare la signorile generosità nei confronti degli eredi di don Giuseppe, Enzo Pruccoli, che, legato da devozione filiale a Augusto Campana, dopo la morte di lui si impegnò in ogni modo per valorizzarne l’opera scientifica: tutti in qualche modo fra di loro uniti, se non altro da profonda consentaneità di sentire.
Il paratesto si mostra molto eloquente pure nelle pagine che precedono i saggi raccolti. A., con lo scrupolo e il metodo rigoroso che da sempre lo contraddistinguono, aggiorna, infatti, la bibliografia sui medesimi autori, dei quali è venuto trattando nel tempo, bibliografia da cui, per i propri addenda, ha attinto solo pochi titoli. È come dire che, invece di inserire in scritti già strutturati interventi che forse lo avrebbero costretto ad aggiungervi parti non ritenute organiche a quanto detto e scritto a suo tempo, l’autore ha scelto una strada diversa, ovvero quella di compiere, con tale aggiornamento, solo un ulteriore « doveroso » omaggio, rivolto sempre agli stessi amici ai quali ha dedicato le pagine in memoria.
Difficile sarebbe indicare quali e quante furono, già a suo tempo, le novità interpretative nei saggi di A. ora riproposti, dai quali, grazie proprio alla loro nuova veste, sarà possibile desumerle meglio. Un primo fil rouge, che si rileva dall’averli riuniti, è che lo studioso ha saputo sempre inseguire gli itinerari scientifici, cosí come quelli umani, di colleghi e amici, senza indulgere mai ad alcuna piaggeria, ma riuscendo sempre a cogliere, di ciascuno, con le indiscusse capacità critiche e interpretative che gli sono proprie, sia il fiore dei sentimenti sia i vari perché con cui si è dipanata la strada dei singoli percorsi intellettuali.
Un unico esempio, frutto anche di personale ricordo. Tre i saggi che A. dedicò a suo tempo al suo maestro e poi suocero, Augusto Campana, e che, riuniti qui l’uno accanto all’altro a formare i tre primi capitoli, ci ricordano vivamente aspetti perfino leggendari del grande studioso romagnolo. Tutto il procedere di Campana è stato improntato, nelle varie e diverse direzioni in cui ha potuto esplicarsi, da grandissimo impegno, rivolto anche “al fare”, sia che esso germinasse dalla sua insaziabile curiosità scientifica sia che discendesse dall’azione vera e propria: molto difficile è disgiungere tali aspetti, fortemente interrelati, ed entrambi propri della sua personalità, come, intrecciando nel ricordo un’infinità di fonti e testimonianze, ha dimostrato A. Anche l’amore per la “sua biblioteca”, la Malatestiana, che si rileva in suoi saggi magistrali, è stato alimentato dalle capacità con cui Campana seppe gestirla: il suo approccio ai documenti e, nel contempo, ai monumenti, ha finito per costituire un modello da imitare, traguardo tuttavia irraggiungibile soprattutto per chi, negli anni Settanta-Ottanta del Novecento, godeva di una certa familiarità con il Professore e la sua famiglia, e conduceva realtà consimili, sebbene meno prestigiose della Malatestiana.
Il filo dell’amicizia, della “devozione”, del rapporto anch’esso antico, che si stabiliva spesso fra maestro e allievo, s’invera pure nelle circostanze in cui è arrivata alle stampe la miscellanea di A. A pubblicare la raccolta sono le Eum, acronimo delle Edizioni Università di Macerata, affidate alle sapienti mani di un’allieva di A., professore emerito della « Sapienza » di Roma, ma già, in tempi lontani, professore a Macerata, dove anche fu Preside della Facoltà di Lettere. È, infatti, Rosa Marisa Borraccini, la docente, incardinata nell’Università di Macerata, essa pure studiosa di rare qualità, ad avere accolto il libro del piú caro dei suoi maestri.
Sembrano chiudersi, cosí, gli anelli della ricchissima collana composta da affetti, stima, memorie, condivisioni di intenti, emozioni che affiorano da ogni pagina del libro di A. o che all’autore sono congiunti, e che si è cercato di far rivivere attraverso ciò che è scaturito nel leggerne le pagine e nell’accostarsi alla sua personalità. Un’ultimissima considerazione. Dopo l’attenta lettura della miscellanea, è sorto in chi ne scrive un desiderio analogo a quello che in essa si è realizzato, ovvero il desiderio di radunare i propri scritti sparsi sui tanti “maestri” incontrati via via, aggiungendo nuovi excursus e ispirandosi, anche per il titolo, a quello scelto dal collega emerito e di cui si è detto. Resta però l’impressione che, considerati il valore dei contenuti e la lucidità della presentazione, non solo per i propri desiderata ma per quelli di chiunque voglia intraprendere simile iniziativa, sarà difficilmente raggiungibile il livello di Per doverosa memoria.