di Mario Tanga
Il testo di Giorgio Cipolletta è ricco e esteso, impegnativo ed articolato. Scorrendolo incontriamo eterogeneità ma anche una linea argomentativa che punta in una direzione ben precisa: il corpo, protagonista e motore di una svolta culturale epocale. Si parte dalla stasi della contemplazione (estetica) di un oggetto definito - affidata a mente e sentimenti che trascendono il corpo - al fluire di un’esperienza cognitiva e comunicazionale che invece parte dal e ritorna al corpo, rivelandocene commistioni e incroci.
Un orizzonte che rivela tutta la sua ampiezza non appena, dopo averlo percorso, si fa un passo indietro per abbracciarlo con un’unica panoramica: a partire dall’estetica (ed è proprio l’estetica, infatti, a cui fa riferimento il titolo) si giunge a una nuova ontologia del corpo e, insieme, a una dimensione antropologica, epistemologica e di metodologia della cultura, per coglierne il tratto essenziale, il suo "stato dell’arte", avvertendone le tensioni, le tendenze, le contraddizioni.
L’estetica ha oggi conquistato territori che le erano estranei (p. 409-ss), e ha ormai abbandonato i suoi trascorsi di contemplazione di ben bilanciati equilibri e di esatte formule compositive, per divenire essa stessa un vero e proprio "passage metrocorporeo": ha luogo nel non-luogo della transizione e ha per oggetto il non-oggetto del superamento (p. 417).
Il dualismo corpo-mente è definitivamente cancellato. Per entrare nell’ottica di Cipolletta, dobbiamo essere disposti a rimuovere concetti radicati, dati per scontati, come per esempio lo statuto ontologico del corpo inteso come ente materiale, concreto, al quale si concede tutt’al più una giustapposizione alla dimensione mentale: il dualismo di Descartes è sempre difficile da superare…
Il corpo deve allora innanzitutto sfuggire questa sua condizione di separazione da e subordinazione alla controparte concettuale e astratta: sono accezioni riduttive e/o cariche di significati fuorvianti.
E, sull’altro versante, la mente stessa, dice l’autore rifacendosi a Francisco Varela (si veda soprattutto p. 190-ss) e dedicando al problema il paragrafo Being there, è compenetrata al corpo tanto da far parlare di embodied mind o situated mind. Non si capisce, però, il mancato riferimento ad autori che a vario titolo sono ascrivibili al vasto e variegato territorio dell’esternalismo come Andy Clark, David Chalmers, Hilary Putnam, William Lykan, o come i pionieri di inizio Novecento quali Edwin Holt o James Gibson.
Il divenire, tanto della realtà quanto dell’oggettivazione culturale (a prescindere dalle modalità e funzioni della formalizzazione), tanto del mondo quanto di sé, è infatti il grande protagonista di tutto il lavoro di Cipolletta, il fil-rouge che tutto attraversa e tutto lega, mentre il corpo è l’attrattore intorno al quale ruotano tutte le argomentazioni. Anche qui ricorre la questione terminologica, che non è vuoto formalismo, ma va a toccare aspetti semantici importanti. Il corpo diviene così "metrocorpo".
Lo spessore del corpo non è più lo schermo opaco o la zavorra che involgarisce o inquina il piacere estetico, come voleva la tradizione idealista che sopravvive più tenacemente di quanto si creda ancor oggi. Il corpo è condizione e modalità di ogni vissuto estetico ed è imprescindibile l’immersione, anche fisica, nel contesto. È per questo che più che di estetica, Cipolletta ci dice che dovremmo considerare una "somaestetica", a forte connotazione pragmatista.
Il corpo, continuamente citato, sembra apparire in modo nebuloso (o rizomatico, per dirla con Guattari e Deleuze), ma insistendo e insinuandosi anche tra le righe del discorso, si evidenzia come importante attrattore al centro di un’impalcatura radiale, tanto ontologica quanto testuale. Cipolletta cita a questo proposito Capucci, definendo da una parte: «l’insostituibilità del corpo fisico in quanto fulcro dell’esperienza cognitiva, dall’altra il trionfo della dimensione simbolica» (p. 462).
Il superamento semantico del termine - ormai obsoleto - "corpo" fa eco a quello antropologico: proprio il metrocorpo è luogo e protagonista del superamento della sua condizione originaria, soprattutto grazie a un’ibridazione reciproca con la tecnologia digitale. Il prefisso "metro-" rimanda sì al concetto di misura, ma di misura del non limite, del suo superamento. Il metrocorpo attraversa il corpo stesso (è un corpo-territorio, "panoramatico", si delinea un bodyscape, p. 247), coglie infiniti piani di possibilità tanto virtuali quanto concreti (p. 47), tanto naturali quanto artificiali, tanto umani quanto animali (p. 167).
Proprio il corpo è il luogo per eccellenza dell’intersezione più importante. Mai come ora la nostra matrice biologica e la macro-/micro-tecnologia si invadono a vicenda, in modo pervasivo e irreversibile, una commistione che non ha precedenti nella storia e che pone distanze non più ignorabili da quello che, prima, eravamo. Il superamento ha una portata così radicale da richiamare l’oltre-uomo o super-uomo nietzschiano (p. 433). La commistione naturale-artificiale, giocata ormai fin nelle fibre più sottili del nostro organismo - che pare dissociarsi persino dai suoi organi, tanto da parlare di "Corpo senza organi" e, simmetricamente, di "Organi senza corpo" - determina un superamento dell’umano per come è stato sempre inteso, superamento che non va inteso però in modo frettoloso e approssimativo: si veda anche la distinzione tra post-umano e trans-umano.
Quanto il corpo sia investito da questi processi e da queste esperienze è testimoniato, oltre che dalla commistione "bio-techno", anche dalla violazione della sua stessa carne, fuor di metafora. Si parte dall’immaginario letterario e visionario del dottor Frankenstein che smembra i cadaveri e li ricompone per dar vita a una creatura che porta su di sé, come marca primaria, la ferita (p. 89), esito della sua incancellabile genesi cruenta e artificiale. E l’artificio da allora in poi - Cipolletta lega in modo illuminante i passi di questo excursus - sarà manipolazione del corpo con i fini e le funzioni più disparate: dalla prostetica alla chirurgia estetica, dalla produzione di avatar e robot alle più diverse invenzioni antropomorfe, dalle moderne pratiche di piercing e tatuaggio alla performance bizzarra e magari un po’ macabra di qualche attuale performer, che sfocia a volte persino nel teriomorfismo (p. 329), per giungere fino allo stesso cyborg che ormai non abita più solo nella fantascienza, ma è il protagonista di quella che ormai è definita come cyborg culture (p. 94). In tale contesto l’autore avrebbe potuto forse trattare in modo più esplicito anche la modalità haptic di percezione, cui pure sembra far implicitamente riferimento quando parla di extence presence o appena oltre (p. 234).
Tutto questo ci obbliga a rivedere l’autocentratura del soggettivismo che ha segnato il pensiero occidentale soprattutto nella modernità, e che ha tendenzialmente coinvolto anche il corpo, ritagliandone i confini in modo netto, e contrapponendo il dentro al fuori. La pelle, che sembrava il luogo fisico e simbolico di tale separazione, abbandona la tradizionale funzione di barriera per assumere quella di schermo, superficie di scorrimento e di attraversamento di immagini, di epifanie in entrambe le direzioni. Corpo e mondo sono presenti uno all’altro in una modalità immersiva. Questo rapporto è fatto di rimandi tra corpo e mondo, attraverso un’interfaccia la cui funzione è appunto quella di uno schermo double-face (p. 397).
In modo autoreferenziale e consequenziale, Cipolletta dimostra propria tesi. La trattazione è fluida, mobile, multiplanare, non inquadrabile secondo la tradizionale tassonomia disciplinare. Ciò è in forte sintonia e coerenza con una visione della cultura in cui si evidenziano continuità multidisciplinari, sconfinamenti transdisciplinari, contaminazioni, scambi e reciproci attraversamenti, che giungono a coinvolgere non solo le frange marginali dell’impianto epistemico, ma anche e soprattutto i suoi nuclei identitari, di appartenenza a un certo taxon della griglia epistemologica dalle precise coordinate. Transizioni e transazioni investono contenuti e metodi, modelli e pratiche, fino a svuotare di senso e significato il concetto stesso di disciplina, fino a sfumarlo e quasi a dissolverlo e rovesciarlo nell’"indisciplina". Investito di una forte risemantizzazione, tanto da farlo suonare un po’ come neologismo, l’indisciplina sta a indicare non la carenza e il bisogno di ordine, il deprecabile arruffio, ma la fluidificazione, la dinamizzazione dei contenuti, le loro potenzialità di richiamarsi, di rendersi fecondi l’un l’altro, di "fare rete".
La rete, altro riferimento forte del libro, la ritroviamo in tutte le sue implicazioni più significative. Primo: fare di ogni nodo qualcosa di più e di diverso in funzione della sua appartenenza al tutto. Secondo: spostare il focus dell’attenzione dal nodo al link; la connessione come funzione e processo e la connettività come proprietà sono fattori costitutivi della realtà, sostanziano un’ontologia dell’inconsistenza ontologica, non sembri un ossimoro. Cipolletta in questo tanto coglie il presente (la sua analisi è circostanziata e capace di andare al cuore della questione) quanto indica la direzione plausibile degli sviluppi futuri, cavalcandone l’onda. Non è un esercizio azzardato di facoltà profetiche, quanto la capacità di trarre conseguenze dalle premesse e di fare decise scelte di campo.
Presente in tutta la trattazione come una sorta di fiume carsico, la terza cultura, inaugurata formalmente da John Brockman, viene in più occasioni più o meno espressamente citata (p. 173, p. 445). Della terza cultura si esplicitano gli assi portanti, cioè complessità ed evoluzione, che costituiscono un paradigma per affrontare la costruzione e/o la lettura di qualunque contenuto culturale. Al loro incrocio si può individuare la modalità fondamentale secondo cui si svolgono i processi e le trasformazioni di vari sistemi: ogni sistema complesso - e il corpo è tra questi - non è mai isolato dal contesto (come indicato in modo significativo dalle teorie esternaliste, visibili in controluce in molti punti della trama argomentativa) e genera dinamiche di emergenza, in altre parole evolve, nel senso più pregnante del termine.
Tanti gli autori citati, dai più noti ai meno noti, collocabili negli ambiti più diversi: letterario, artistico, filosofico, cinematografico, teatrale, fino agli attuali performer più disparati e mal definibili, e tanti anche gli eventi culturali ricordati. La costellazione dei nomi citati è inscritta comunque nell’epoca moderna, dal XVII secolo ai giorni nostri. Le citazioni sono molto numerose e continue, e rischiano talvolta di sopraffare il lettore, di rendere un po’ faticoso il suo orientamento, specie se non è molto esperto delle tematiche trattate. Questo corredo, pur apprezzabile nel suo valore documentativo, lascia trasparire una natura compilativa e un filo di ansia di completezza, quasi da aggregazione soritica: non meraviglia che il lavoro nasca come tesi di dottorato. Non che questo sia un limite, tutt’altro, beninteso.
Preziosi comunque, e molto appropriati nella loro collocazione, documenti come il Manifesto of Carnal Art by Orlan (p. 86), il Manifesto del Postumano (p. 111) o il Moist Manifesto (p. 172) o, ancora, come quelli dell’apparato iconografico, la cui funzione va ben oltre la ridondanza illustrativa, o il vezzo decorativo: le immagini hanno una capacità esplicativa e un valore testuale tutt’altro che marginale, non vicariabile dal testo verbale.
Numerosi e utili anche i QR Code che rendono il libro una sorta di centro o punto di partenza da cui si irraggiano altrettante connessioni a luoghi ed eventi, così che libro stesso non ha più limiti precisi, è parte di un ambiente fisico e di un sistema informazionale e comunicativo ben più esteso ed eterogeneo. L’autoreferenzialità non basta più. Il cerchio argomentativo non può chiudersi su se stesso. Poteva essere altrimenti?
Sito della rivista Ref Recensioni filosofiche: http://www.recensionifilosofiche.info/2014/12/cipolletta-giorgio-passages.html#more