di Ariane Dröscher, Annali di storia delle università italiane, 17, 2013, pp. 512-514
Il volume raccoglie i contributi della XXXVIII Tornata degli Studi Storici dell’Arte Medica e della Scienza tenutasi nel maggio 2010 a Fermo. Nella brevissima introduzione i due curatori, entrambi storici dell’educazione, motivano la loro scelta tematica con l’argomento che «l’evoluzione storica della formazione professionale dei medici è stato per lungo tempo negletto o fortemente condizionato dall’utilizzo improprio di metodologie d’indagine e di categorie interpretative che poco hanno a che fare con quelle specifiche della storiografia». Alla premessa non segue una corrispondente analisi critica di tali deficienze, affidata piuttosto al «carattere ampiamente innovativo dei risultati offerti».
I saggi contenuti nel volume, di lunghezza, periodo storico e tematica molto vari, sono diciassette, suddivisi in tre sezioni – I. I luoghi e le istituzioni, II. Il ruolo del collezionismo e dell’enciclopedismo e III. L’iconografia, l’editoria e la didattica medica –, preceduti da un’ottima panoramica di Vivian Nutton sullo stato della storia della medicina e dell’educazione medica, e completati da due saggi finali dedicati a due missionari, il sacerdote e musicista Teodorico Pedrini (1671-1746) e il gesuita, matematico e cartografo, Matteo Ricci (1552-1610), e le loro esperienze in Cina. Non sono qui esaminati i contributi più brevi e quelli che non affrontano il tema generale di quell’incontro di studi.
Vivian Nutton critica la tradizionale storia dell’educazione medica, rea, secondo l’autrice, di quattro difetti: 1. di essersi finora troppo concentrata sugli aspetti materiali, come gli edifici, le istituzioni e i curricula, trascurando il lato personale e umano sia dei professori che degli studenti; 2. di assumere troppo spesso toni agiografici e prospettare un continuo inesausto progresso, omettendo dibattiti, battaglie tra fazioni opposte oppure fallimenti che potrebbero invece gettare una luce illuminante sugli atti decisionali alla base di importanti cambiamenti; 3. di limitarsi, salvo poche eccezioni, alla storia di alcuni grandi centri, mentre le piccole scuole, che probabilmente rappresentavano una realtà molto più tipica per l’epoca, sono trascurate; 4. di concentrarsi ancora troppo sulla ricerca medica, non tenendo sufficientemente conto della didattica. Nutton sintetizza invece la sfida futura nella domanda tanto semplice quanto complessa «capire il processo attraverso il quale uno studente si trasformi in un medico». Purtroppo, i saggi contribuiscono poco a sviluppare questa prospettiva, esponendo tuttavia alcuni aspetti originali.
Mariano Cingolani e Massimiliano Zampi offrono un breve riassunto della storia dell’insegnamento di Medicina legale a Macerata.
Andrea Ubritzsy Savoia analizza la funzione degli orti botanici nelle scuole mediche del Cinque e Seicento, mettendo l’accento sulle tecniche di identificazione e memorizzazione delle piante medicinali tramite mappe stampate delle aiuole, sulle quali, per ragioni pratiche, l’ordine spesso non poteva seguire quello esposto nei libri, e tramite l’allestimento di erbari personali, obbligatori per ogni studente. In forte contrasto con la situazione italiana, ben sviluppata a livello istituzionale e dottrinale, era quella svedese.
Vera Nigrisoli Wärnhjelm spiega le difficoltà delle istituzioni mediche svedesi che per lungo tempo non furono in grado di formare una classe medica di eccellenza, lasciando che la corte fosse l’unico luogo ove sia stata praticata la medicina a livello accademico. Seguono due saggi sul ruolo dei musei di Storia della medicina.
Valentina Gazzaniga, Maria Conforti e Alessandro Aruta analizzano la funzione del Museo romano e in particolare delle sue collezioni antropologiche, concepite nel 1938 per illustrare uno stadio 'primitivo' e quindi antecedente alla medicina occidentale, mentre la breve descrizione di Patrizia Dragoni dei musei di Storia della medicina in Umbria è preceduta da alcuni cenni sugli oltre 1500 anni di storia della medicina umbra.
Saltando al Settecento, Maria Carla Garbarino descrive l’impegno di Giovanni Alessandro Brambilla per la riforma degli studi medici a Vienna e a Pavia, in particolare il suo Instrumentarium chirurgicum, e Annarita Franza presenta il metodo epistemologico del 'dono delle mani' così come fu proposto da Andrea Vesalio nel Cinquecento e recepito da Romolo Spezioli e Antonio Cocchi tra il Sei e il Settecento. Francesca Coltrinari dedica poi un secondo saggio a Spezioli e al suo ruolo come benefattore e collezionista d’arte.
Uno dei saggi più interessanti è quello di Simone De Angelis, che espone il suo ragionamento sulle tecniche retoriche adottate durante le sezioni pubbliche e nei testi medici cinquecenteschi. Prendendo spunto dalle ben note tesi di sociologi della scienza come Bruno Latour, Stephen Shapin e Barbara Shapiro, che avevano individuato negli studiosi inglesi seicenteschi i pionieri dello stile giuridico dei testimoni nelle scienze naturali, ideato per convincere il pubblico della correttezza delle proprie scoperte, De Angelis dimostra invece in modo convincente che il linguaggio adottato derivava dalla retorica di Aristotele e che queste tecniche di persuasione, prendendo cioè gli Antichi come testimoni affidabili e cercando di rendere l’uditore testimone virtuale delle proprie esperienze, fosse già ampiamente e abilmente utilizzato dagli anatomisti del Cinquecento.
Promettente è anche il contributo di Rosa Marisa Borraccini che presenta i primi risultati della sua analisi delle liste librarie pervenute negli uffici della Congregazione dell’Indice tra il 1597 e il 1603. Soltanto una piccola parte di queste liste concerne libri medici, ma la copertura assai ampia di biblioteche claustrali, farmacie e infermerie religiose, nonché delle collezioni librarie private di medici e chirurghi laici ma soggetti alla giurisdizione spirituale e territoriale di monasteri e certose, rende questa fonte unica e preziosa. Così è possibile effettuare un ampio censimento, nonché ricostruire il raggio di diffusione di determinati volumi. Mentre, per esempio, le farmacopee di Mattioli risultano onnipresenti, le opere botaniche dei non-cattolici Fuchs, Brunfels e Clusius sono assenti oppure circolarono 'riviste' o sotto pseudonimo, come le opere di Conrad Gesner, distribuite in Italia con il nome Evonomo Filatro.
Più che sulla formazione medica, il saggio di Giuseppe Capriotti ci informa sulle emergenze, spesso poco accademiche, che un medico pratico doveva saper affrontare. L’autore discute in modo imparziale le varie sfaccettature e implicazioni storico-teoriche di un caso singolare ma molto significativo che dimostra le ambiguità dell’attività medica nella prima età moderna. Problemi di salute, un periodo di grande crisi alimentare e sanitaria nella regione e infine l’inspiegabile malessere di sua figlia causarono una crisi di autorità ma anche personale del medico imolese Giovanni Battista Codronchi. Benestante, stimato, colto e integrato nella classe politica locale, iniziò a dubitare apertamente della validità dell’indirizzo naturalistico. Si convinse dell’esistenza di malattie demoniache e si convertì alla 'medicina sacra', facendo dipingere un quadretto votivo e compilando un’opera di buon successo editoriale nella quale polemizzava contro Pomponazzi sull’insufficienza dell’indagine delle cause naturali.
Anche il saggio di Fabiola Zurlini evidenzia che il compito di un medico dell’epoca andava ben oltre la cura del corpo. Attraverso lo studio della sua corrispondenza emerge infatti che il medico Cesare Macchiati coprì un ruolo molto complesso come medico di corte della regina Cristina di Svezia.