di Maria Pia Casalena, Schede e bibliografia, Annali di storia delle università italiane, 17/2013, pp. 529-531
C’è tutta la storia dell’Università di Macerata fino al 1965 in questo ponderoso volume che fa parte di un più ampio progetto di pubblicazione di fonti portato avanti dal Centro di studi e documentazione sulla storia dell’Università di Macerata. In questo volume sono al centro dell’attenzione le relazioni inaugurali dei rettori, una serie di documenti, riprodotti in appendice, che molto illuminano sulla vita dell’Ateneo. E delle peculiarità di questa Università si dovrà pur parlare: unica Università statale a disporre di una sola Facoltà – quella di Giurisprudenza –, nondimeno l’Università di Macerata combatté le sue battaglie, in età liberale e in età fascista, per ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama accademico dell’epoca. Prima combatté per il pareggiamento agli atenei maggiori, giunto solo nel 1901 e perfezionato nel 1919; quindi ideò una Scuola di Economia e Lingue orientali per proporsi come un ponte verso le popolazioni dell’altro lato dell’Adriatico, e combatté pure per assurgere a punto di riferimento per tutti gli studenti dell’area medio e basso Adriatico. La Scuola non vide mai la luce, l’apertura dell’Università di Bari e poi delle università abruzzesi vanificò il suo progetto egemonico. Ciononostante i rettori continuarono ad occuparsi del ruolo di questa Università nel panorama italiano, sostenendosi sui finanziamenti degli enti locali e cercando di porre riparo a delle mende come la troppo frequente mobilità dei docenti.
L’Università di Macerata non si rassegnò mai, in altre parole, a fungere da piccolo ateneo di provincia, perdipiù in una regione che contava anche le università libere, e ingaggiò una serie di battaglie per emanciparsi da quello scomodo status. Di quelle battaglie le relazioni dei rettori sono specchio fedele, in quanto le raccontano e le illuminano, illuminando al contempo quelle che erano le concrete possibilità d’azione dei referenti dell’Ateneo. Di ordinamento in ordinamento i maggiorenti dell’Università di Macerata cercarono la soluzione migliore, la chiave di volta che permettesse a quell’Ateneo con una sola Facoltà di conquistarsi un qualche spazio accanto agli atenei maggiori della penisola. Si trattò di battaglie che a volte furono aspre, e i cui risultati non sempre premiarono gli sforzi compiuti. La lunghissima battaglia per il pareggiamento arrivò alla vigilia della riforma Gentile, che sollecitava gli atenei della penisola a rivestirsi di funzioni peculiari: per l’Università adriatica sembrò giunta l’ora della consacrazione come scuola di leggi ed economia legata agli interessi agrari, ma non fu così. Nel 1965, finalmente, l’apertura della seconda Facoltà, quella di Lettere, ed è qui che si interrompe la narrazione di Luigiaurelio Pomante, affascinante proposta di storia dell’Università di Macerata. Il suo racconto si dipana per molte decine di pagine, fornendo un’esaustiva ricostruzione della vita dell’Università nei primi cento anni di storia unitaria, fornendo anche statistiche sul numero degli studenti e dati su ogni aspetto che investisse la vita di quella piccola università. Riemerge l’attività di una università che rivendicava orgogliosamente funzioni e status che il centro non le riconosceva, o che le riconobbe molto tardi. In ogni caso per molto tempo Macerata fu l’unica università statale del medio e basso Adriatico e vantò iscrizioni anche dalla Puglia e dall’Abruzzo. Piccola università di passaggio, per molti docenti fu solo il trampolino di lancio verso atenei più prestigiosi, con gravi ricadute sulla continuità dell’attività didattica. Alle sue spalle, l’impegno degli enti locali, senza il quale la vita dell’ateneo sarebbe stata addirittura disperata. Questa sinergia, piena di orgoglio civico e regionale, sostenne l’Università di Macerata quando il riconoscimento tra le università maggiori era al di là da venire, e al contempo suggerì numerose strategie di sopravvivenza e di rilancio.
Nel saggio di Roberto Sani, invece, sono al centro proprio le relazioni inaugurali dei rettori, esaminati come fonte in grado di gettare luce sulla storia delle università. Di nuovo emerge un rapporto privilegiato con il territorio: «Un legame invero assai complesso, il quale se per taluni versi poteva comportare il rischio dell’offuscamento o addirittura del progressivo smarrimento del carattere necessariamente universale – irriducibile dunque, a ogni forma di localismo – del processo di elaborazione e trasmissione dei saperi scientifici e di promozione dell’alta cultura, caratteristici di un’istituzione qual è l’università, per altri versi ha finito per ancorare una parte consistente dello sviluppo di Macerata e del suo territorio all’evoluzione dell’ateneo, facendo di quest’ultimo uno degli elementi cardine dell’identità cittadina e il vero e proprio volano della crescita civile e culturale, oltre che economica e sociale, della collettività maceratese» (p. 31). Ma entrano in scena anche le disillusioni di età fascista: «Paradossalmente, il processo di centralizzazione del sistema universitario avviato nel 1935-36 da De Vecchi, mentre da un lato, in virtù dell’equiparazione di tutti gli atenei statali, garantiva all’Università di Macerata stabilità e continuità dal punto di vista delle risorse e dei finanziamenti, dall’altro annullava i presupposti stessi della strategia di ampio respiro da essa tenacemente perseguita, in quegli anni, di assurgere a vero e proprio laboratorio specializzato nella formazione e nella ricerca giuridica ed economica in campo agricolo, e più in generale, di divenire l’istituzione guida, dal punto di vista culturale e scientifico, dello sviluppo economico e produttivo locale e regionale» (p. 39). Fino alla rinascita repubblicana e alle nuove sfide che il sistema universitario era chiamato ad affrontare: «All’indomani della caduta del fascismo e del ritorno alla democrazia in Italia la riflessione avviata nei decenni precedenti in seno all’ateneo maceratese circa la necessità di contemperare la tradizionale linea rigorista e la costante preoccupazione di salvaguardare la "serietà e severità degli studi" con il progressivo ampliamento della base sociale della popolazione studentesca, in virtù dell’avvento nelle aule universitarie di un numero sempre maggiore di giovani delle classi subalterne, fece propri, com’è comprensibile, lo spirito e gli indirizzi di fondo della disciplina sul diritto allo studio contenuta nella nuova Costituzione repubblicana promulgata il 1° gennaio 1948» (p. 62-63).
Si tratta dunque di un volume prezioso, arricchito ulteriormente dalla riproduzione delle relazioni inaugurali dei rettori. Un volume prezioso per la storia dell’università italiana tra età liberale e fascismo, da affiancare agli studi già disponibili su questa e su altre università.