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Philedonius, 1657 Mostra a grandezza intera

 
 

Informazioni

Philedonius, 1657

Spinoza, Van den Enden e i classici latini

Proietti Omero

Spinozana

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Note sul testo

Di Franciscus van den Enden (Anversa 1602-Parigi 1674), discusso e controverso maestro di latino di Spinoza, erano conosciuti un lavoro teatrale (Philedonius, 1657) e due scritti politici. Erano celebri le sue regie (su testi di Seneca e Terenzio), portate in scena negli anni 1657-1658. Recite, alle quali era forse presente lo stesso Spinoza. Negli ultimi anni, tuttavia, sono emersi nuovi scritti e vari documenti. Nell’utilizzare i dati sinora disponibili, questa monografia è suddivisa in tre parti. Nella prima, si è delineata una succinta biografia, tesa a cogliere la profonda unità di un percorso biografico per nulla lineare, eppure segnato da una genuina fedeltà alla causa della Controriforma e dei Paesi Bassi spagnoli. Questa “fedeltà” è iniziata con la formazione gesuita del nostro autore. È continuata nella feroce lotta contro il nemico calvinista, dopo l’adesione alla Hierarchia mariana di De los Ríos y Alarcón. È divenuta spettacolo pubblico nell’engagement gesuita praticato nel teatro di Amsterdam. Si è rivelata infine come il centro segreto dello stesso, tragico esito della vicenda di Van den Enden, consigliere di Luigi XIV, ma nel contempo emissario di Bruxelles, agente segreto del Governatore dei Paesi Bassi spagnoli, nel complotto antifrancese che segnerà la sua fine. Nella seconda parte si è evidenziato un dato desumibile dagli scritti spinoziani: è certa non solo la partecipazione di Spinoza alle recite terenziane degli anni 1657-1658, ma risulta anche documentabile la sua recita di Seneca. Nella terza parte si è offerto il testo latino del Philedonius, in un’edizione critica accompagnata dalla prima traduzione italiana, da un vastissimo regesto delle fonti latine e da un ampio commento, che intende mettere in luce i tratti profondi che accomunano il Philedonius alla cultura e al teatro dei Gesuiti del Seicento.

Note sull'autore

Omero Proietti insegna Storia della filosofia moderna nell’Università di Macerata. Tra i suoi libri: La città divisa. Flavio Giuseppe, Spinoza e i farisei (2003); Uriel da Costa e l’«Exemplar humanae vitae» (2005); «Agnostos theos». Il carteggio Spinoza-Oldenburg, 1675-1676 (2006). Nel 2005 è uscita la sua edizione critica del Tractatus politicus (Puf, Paris). Nel 2007 ha tradotto e annotato il Tractatus theologico-politicus, il Tractatus politicus, molte Epistolae spinoziane (Mondadori, Milano).

  • Autore/i Proietti Omero
  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-247-0
  • Numero pagine 344
  • Formato 14x21
  • Anno 2010
  • Editore © 2010 eum edizioni università di Macerata
Quando Spinoza faceva l'attore
Eum Redazione

Il Sole 24 ore, 20 marzo 2011
di Giulio Busi

I dirigenti della Chiesa riformata di Amsterdam avevano buone ragioni per preoccuparsi. Quel diavolo di un «maestro papista» ne aveva escogitata un'altra. Tutto era pronto per la recita nel teatro cittadino. La scuola di Van den Enden era frequentata dai rampolli delle migliori famiglie del ceto mercantile e l'idea di usarli come attori sembrava proprio un'ottima trovata pubblicitaria: i genitori sarebbero andati in massa ad applaudire i loro pargoli.
I calvinisti erano certi che dietro al pretesto della recita si nascondesse la propaganda cattolica. Franciscus van den Enden era un ex gesuita, divenuto mercante d'arte e poi direttore di un prospero collegio, e faceva di tutto per catturare i cuori alla fede di Roma. Nell'Olanda protestante i cattolici erano tollerati a fatica ma nelle loro chiese "nascoste" si davano un gran daffare. E adesso, anche a teatro. Il 16-17 gennaio 1657 andò in scena l'Andria di Terenzio, e il successo fu tale che seguirono ben presto altri spettacoli.
Sarebbe solo un capitolo non molto appariscente del teatro in età barocca, se non fosse per la fama che toccò poi a uno degli allievi, impegnato come attore (nel ruolo del senex Simo nell'Andria e del servus Parmenus nell'Eunuchus). Nessuno degli spettatori pensò allora che quel giovanotto dal volto fine sarebbe passato alla storia come uno dei più grandi filosofi dell'età moderna: Baruch Spinoza. Nel 1657 Spinoza era da poco stato bandito dalla comunità ebraica di Amsterdam e cercava di dare un nuovo corso alla propria vita. Voleva impadronirsi a fondo del latino, e per questo aveva preso a frequentare la scuola di Van den Enden. In un libro densissimo, Omero Proietti ricostruisce l'avventura teatrale spinoziana, e mette in luce l'incontro, davvero singolare, tra Van den Enden e uno Spinoza ancora alla ricerca di un maturo profilo intellettuale. Suggestiva è la parte del volume dedicata alle citazioni nascoste e agli echi di Terenzio e Seneca in Spinoza. Sembra proprio che al filosofo scappi qua e là una frase imparata a memoria per le recite del 1657-58. A scuola di teatro, e per di più da un ex gesuita. Il saturnino Spinoza non smette di stupirci.

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-03-20/quando-spinoza-faceva-attore-082150.shtml?uuid=ABgRD8L

 
Anales del Seminario de Historia de la Filosofía
Eum Redazione

di Francisco Josè Martinez, «Anales del Seminario de Historia de la Filosofía», Boletín de bibliografía spinozista N.º 12, 28 (2011), pp. 408-411

El profesor Omero Proietti prosigue con esta nueva entrega su ya larga reflexión sobre la recepción que Espinosa llevó a cabo de los clásicos latinos. En esta ocasión examina el papel que el teatro clásico latino tuvo en la obra de Espinosa, teatro conocido de forma teórica y práctica en la escuela de Van den Enden. Éste, siguiendo la ratio studiorum jesuita, concedía gran importancia formativa al teatro, de manera que solía leer y representar con sus alumnos obras latinas e incluso llegó a escribir obras propias, como el Philedonius aquí traducido por Proietti, en las que seguía las indicaciones que sobre el teatro pedagógico y edificante se encontraban en los planes de estudios que los jesuitas desarrollaban en sus centros educativos.
El libro se articula en tres partes: en la primera se lleva a cabo una presentación de la vida y obra de Van den Enden destacando no su aspecto libertino y republicano, sino más bien sus orígenes jesuitas y su pertenencia al ámbito cultural flamenco y católico; la segunda parte desarrolla la actividad teatral que tuvo lugar en la escuela de van den Enden los años 1657 y 1658, años en los que Espinosa pertenecía a dicha escuela y en cuyo ámbito intervino en varias representaciones teatrales de Terencio y Séneca, cuya influencia Proietti rastrea en la obra de Espinosa; por último, la tercera parte analiza y traduce la obra de teatro Philedonius en la que el maestro de Espinosa muestra su erudición en el marco del modelo de teatro pedagógico y edificante impulsado por los jesuitas durante estos años.
La imagen de Van den Enden que aquí nos proporciona Proietti choca con la habitual ya que se nos muestra como alguien que no rompió con su educación jesuítica, sino que estuvo en contacto con las iglesias jesuitas clandestinas de Ámsterdam. Miembro de la "Congregación de los esclavos del Dulce Nombre de María", creada por Bartolomé de los Ríos y Alarcón a la que pertenecieron todos los gobernadores españoles de los Países Bajos entre 1626 y 1641, y comerciante de estampas piadosas en su galería de arte. Más que un libertino y un revolucionario esta imagen sitúa a nuestro autor en el ámbito de la Contrarreforma de inspiración jesuita y como un agente de la corte de Bruselas. El apoyo de las grandes familias católicas y de autores teatrales como Vondel, convertido al catolicismo por los jesuitas, impulsaron el desarrollo de la actividad teatral de su escuela que tuvo mucho éxito en estos años.
La educación latina que daba van den Enden se basaba, como ordenaban los maestros jesuitas, en la retórica y la acción dramática que encontraba en el teatro clásico latino su máximo exponente. Espinosa participó en estas actividades leyendo y representando obras latinas, y Proietti hace un análisis exhaustivo de las citas ocultas de Terencio y de Séneca, los autores favoritos de van den Enden, a lo largo de sus escritos. La presencia de estas citas en la obra de Espinosa es también esencial, según Proietti, para datar de forma adecuada el Tratado de la reforma del entendimiento (TRE) y la Gramática hebrea.
Sin embargo, una cosa es considerar el TRE como premisa metodológica de la Ética y datarlo en 1661-1662 y otra bien distinta es situarlo en 1656-1657 y considerarlo como una obra juvenil nunca concluida. E igualmente, una cosa es datar la Gramática hebrea entre 1665-1670 como elemento filológico que acompaña a la exégesis bíblica del Tratado teológico-político y otra diferente es considerarla en el marco de la Asociación cultural de Ámsterdam Nil volentibus arduum (preocupada por descubrir la grammatica universalis subyacente a las diversas lenguas históricas), y situarla en el período de 1670 a 1675. Las citas de Terencio pueden ayudar a datar el TRE dada la presencia constante en su obra latina de citas de este autor, especialmente del senex Simo de Andria y del esclavo Pármeno del Eunnuchus, lo que se relaciona con el aprendizaje de la lengua latina en la escuela de Van den Enden y con su participación en la representación de Andria en enero de 1657 y del Eunnuchus en mayo de 1658. Pues bien, se constata que el TRE es la única obra de Espinosa en la que no hay trazas de Terencio, es decir del trabajo sobre este autor desarrollado por Espinosa en los años 1657 y 1658. Proietti considera, pues, que el TRE es anterior a 1656 por la carencia de citas terencianas y además por la presencia en el mismo de un debate con Bacon y Descartes que fue la base de su conversión filosófica y su alejamiento de la Sinagoga que tuvo su culmen en julio de 1656 con su expulsión de la comunidad hebrea. Pero no sólo fue Terencio, también las tragedias de Séneca, especialmente las Troades fueron esenciales para Espinosa que las utiliza incluso en su última obra, el Tratado político en relación con la actuación en la guerra.
La tercera parte de la obra analiza el Philedonius y proporciona una traducción del texto. El texto muestra la conversión de un joven libertino y en él aparecen numerosas alegorías morales en el primer y segundo actos regidos por la Prudentia; religiosas en las primeras escenas del tercer acto dominadas por la Misericordia, y escatológicas en las escenas finales presididas por el Somnium. En la obra se subvierte la cultura pagana renacentista en clara resonancia contrarreformista y en conformidad con textos muy usados por los jesuitas como la Tabla de Cebes o la Consolación de la Filosofía. En esta obra se critica uno de los tipos de vida establecidos por los modelos clásicos: la vida de placer, a la que se unen la dedicada al dinero y a los honores. Opulentia, Honor, Voluptas son los tres objetivos clásicos que mueven a los hombres y a los que el teatro edificante jesuítico, y también el Philedonius, oponían la vida contemplativa y penitente cristiana. El nacimiento de Venus como exaltación del amor pagano y el mito de Don Juan en su aspecto del muerto que vuelve del infierno son elementos que figuran aludidos en el texto y que suponen el paso del falso sueño pagano al verdadero despertar cristiano. El mito de Don Juan como epítome del libertinismo, como un maquiavelismo dirigido a la vida amorosa y como negación total del culto barroco a la muerte tenía que ser combatido y así lo fue por el teatro jesuita que convertía a Don Juan en el ateo fulminado versión católica del Hércules, héroe erótico que desafía a los dioses y acaba quemado por la túnica envenenada. En el Philedonius aparte de esta condena del libertinismo se puede encontrar también la apuesta teológica por la salvación debida a la mera atrición por el miedo a las penas del infierno que los reformados rechazaban y el papel de la mujer santa que desciende del cielo en la figura alegórica de la Misericordia y que no puede por menos que recordarnos la adhesión de Van den Enden a la congregación mariana del Dulce Nombre de María aludida más arriba.
En conclusión, este libro tan sugerente, no sólo arroja una nueva visión que completa las visiones tradicionales de una personalidad tan compleja y multifacética como la del maestro de latín de Espinosa, sino que también ayuda a evaluar el papel decisivo de la tradición de los clásicos latinos en los aspectos formales y estilísticos del latín espinosiano, así como en los aspectos más teóricos y filosóficos de su obra.

 
Archives de Philosophie
Eum Redazione

di Andrea Sangiacomo, Bulletin de Bibliographie Spinoziste XXXIV, cahier 2012/4, tome 75, Hiver, pp. 739-741

Après ses nombreuses études sur les sources classiques de la pensée de Spinoza, Omero Proietti nous propose une fois encore un ouvrage de grande importance pour la compréhension de la formation rhétorico-littéraire et philosophique de ce philosophe. Il nous présente en effet une remarquable édition critique du texte latin de la pièce théâtrale de Franciscus van den Enden, le Philodenius, avec une belle traduction italienne et un essai historico-critique de toute importance.
Pour nous permettre d’apprécier ce travail, Proietti nous plonge en effet d’abord dans le milieu historique de van den Enden, en esquissant une biographie très détaillée et précise. Dans cette première partie de l’ouvrage, nous retrouvons donc une image complexe et nuancée de celui qui fut le premier professeur de latin de Spinoza. Plus qu’un libertin ou un athée, van den Eden nous est présenté comme un jésuite qui n’a jamais abjuré sa vocation et qui, après avoir abandonné la Compagnie de Jésus, n’a pas renoncé, malgré tout, à son projet culturel. D’après la documentation que Proietti allègue, nous sommes en mesure d’apprécier «la profonde unité d’un parcours biographique absolument pas linéaire, mais cependant marqué par une véritable fidélité, plus ou moins explicite, à la cause des Pays-Bas espagnols. Cette 'fidélité' se réalise d’abord avec la formation jésuite […], se poursuit avec la féroce lutte contre l’ennemi calviniste […], devient donc spectacle public avec l’engagement jésuite et antijanséniste pratiqué dans le théâtre» (p. 10-11).
Dans la deuxième partie, Proietti s’attache à l’activité didactique de van den Enden dans les années 1650 et donc sur l’école fréquentée par Spinoza. Il se concentre sur la pratique didactique jésuite mise en place par van den Enden, en expliquant comment le latin de Spinoza s’est formé grâce à sa participation aux représentations théâtrales des pièces de Térence et de Sénèque. En soulignant la survivance dans la quasi-totalité des ouvrages de Spinoza de citations – plus ou moins explicites – de ces auteurs, Proietti propose deux thèses de grande importance. La première porte sur le critère philologique qui peut être institué pour reconnaitre le style de Spinoza et le distinguer de celui de ses éditeurs, en utilisant la présence de références classiques dans sa prose. La deuxième est plus ponctuelle et porte sur le problème de la datation du TIE: d’après les travaux de Filippo Mignini, on s’accorde à dater cet ouvrage de 1658 environ. Cependant, Proietti relève qu’il s’agit en fait de la seule oeuvre de Spinoza où il n’y a pas de références littéraires. Il propose donc de dater la composition des années 1656-1657, c’est-à-dire entre son excommunication et sa participation aux premières mises en scène à l’école de van den Enden. Cette deuxième partie de l’ouvrage de Proietti, se poursuit donc avec un examen de l’influence de Sénèque tragédien et avec la discussion de certains passages importants du TP – tout en reprenant un travail que Proietti avait développé lors de son édition du TP pour les oeuvres complètes dirigées par P.-F. Moreau aux PUF. Il ajoute enfin un catalogue des références à l’Andria et à l’Eunuchus de Térence utilisées par Spinoza dans ses ouvrages et qui devrait compléter les apparats de sources présentes dans l’édition Akkerman du TTP (PUF).
Enfin, dans la troisième partie du livre, nous retrouvons le Philodenius. L’importance de l’ouvrage tient à la fois à ce qu’il nous fait comprendre de la stratégie politique et idéologique de van den Enden, et à l’influence qu’elle peut avoir exercée sur Spinoza. En ce qui concerne le premier point, le Philedonius s’inscrit, comme le montre très bien Proietti, dans le théâtre jésuite. Il s’agit d’une pièce allégorique où van den Enden représente la conversion d’une personne plongée dans une vie de plaisirs, grâce à l’intervention des figures allégoriques de la Prudence et de la Miséricorde. Ce qui est intéressant de ce point de vue, c’est que Philedonius insiste particulièrement sur la dimension affective de cette conversion, qui peut se réaliser, en dernier ressort, sous la véhémence de l’image de la mort et l’angoisse qu’elle suscite. En ce qui concerne Spinoza, il est intéressant de retrouver dans la pièce de van den Enden le parcours d’initiation à la sagesse via le renoncement à une vie faussement heureuse parce qu’attachée à de faux biens, parcours qui est mentionné dans le début du TIE. D’ailleurs, le thème de la conversion et de la conquête de la béatitude contre et malgré la puissance de passions opposées, reste un thème central dans la philosophie de Spinoza, des premiers textes à l’Éthique, ce que l’ouvrage de Proietti nous permet d’interroger de façon nouvelle et féconde.

 
La Civiltà Cattolica
Eum Redazione

di G. Cogliandro, 2012, III, pp. 338-340

L'A., docente di filosofia moderna all'Università di Macerata, ha dedicato all'ambiente filosofico e culturale dell'Olanda ai tempi di Spinoza diverse pubblicazioni in Italia e all'estero, con particolare attenzione al Tractatus spinoziano, del quale ha realizzato una edizione critica, e al suo rapporto con alcune figure illustri della storia intellettuale a lui coeve, come Oldenburg, o di molto antecedenti, come Flavio Giuseppe. In tale linea di ricerca si colloca questo saggio, in cui viene delineata la vicenda intellettuale di Franciscus van den Enden (1602-74 ), maestro di latino di Spinoza. L'A. ne ricostruisce la biografia, cercando di provare la sua genuina fedeltà alla causa della Controriforma e del dominio spagnolo sui Paesi Bassi, e la diretta influenza, su questa sua scelta politico-religiosa, della formazione ricevuta dai gesuiti. Van den Enden diventerà consigliere di Luigi XIV e sarà agente segreto del Governatore dei Paesi Bassi spagnoli, nel complotto antifrancese che segnerà la sua tragica fine.
Di particolare interesse è il capitolo terzo della biografia, ricco di intrecci teologico-politici e rimandi iconografici, di cui si dà visione alla fine del volume. Questo capitolo è dedicato al tema della Gerarchia mariana, quale legame di mitografie e devozione mariana, corredata dalla sua simbologia e dall'intreccio di questa con la mitologia pagana. Nel 1637 veniva pubblicata l'opera Phoenix thenensis e cineribus redivivus di Bartolomé de los Ríos y Alarcón, dedicata proprio al nuovo Governatore dei Paesi Bassi spagnoli, il cardinale Ferdinando d'Austria. In essa viene narrato l'intrecciarsi dell'evento della riconsacrazione cattolica della cittadina di Tienen, la cui drammatizzazione viene resa con l'uso dei simboli della fenice e dell'Ercole empio, simboleggiante il calvinismo francese, che viene raffigurato nel vano tentativo di stroncare la fenice del culto mariano che risorge dalle ceneri. De los Ríos fonda nel 1626 una Confraternita degli schiavi del Dolce Nome di Maria e nel testo analizzato prescrive le armi (spirituali) del combattimento da intraprendere. È singolare notare come tale fondazione si inserisca in una tradizione che avrà sviluppi sempre più illustri, per l'opera e la mediazione di santi come Giovanni Eudes, Luigi Grignion de Montfort, Massimiliano Kolbe, che assoceranno con diversi carismi la militanza vigorosa e il fuoco della devozione mariana, con accenti sempre più spirituali e (provvidenzialmente) sempre meno politici con il succedersi dei secoli.
Di van den Enden erano da tempo conosciuti due scritti politici e il testo teatrale Philedonius (1657). Di questa opera nella parte finale del libro vengono forniti sia il testo latino in edizione critica sia la prima traduzione italiana integrale. Nelle indagini dell'A. viene delineata l'esperienza degli spettacoli organizzati dai gesuiti nel teatro di Amsterdam, ed emerge la prova non solo della partecipazione di Spinoza ad alcune messe in scena di opere di Seneca e Terenzio, negli anni 1657-58, ma anche della sua recita in una rappresentazione di Seneca. La novità del metodo teatrale dei gesuiti è sottolineata da Fumaroli, come riportato dall’A. (cfr p. 86 s), facendo riferimento al rapporto sempre più stretto tra retorica e arte drammatica, connessione di dir bene e immedesimazione del ruolo, di retore e attore.
Le note del volume danno conto della vasta bibliografia consultata dall’A. per la redazione del volume, completato da una ricca appendice iconografica, una bibliografia e un indice dei nomi.

 
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