di Giacomo Cives, Vita dell’Infanzia, numero 9/10 (settembre/ottobre) del 2017, p. 21
I contadini a scuola del giovane studioso Luca Montecchi è un libro veramente prezioso e importante, frutto di minuziose, estese e approfondite ricerche d’archivio e tra le pubblicazioni d’epoca, specie riviste magistrali, tra le quali in primo luogo gli storici “Diritti della Scuola” diretti dall’indimenticabile Annibale Tona, sempre vigile e generoso.
La scuola rurale delle frazioni agricole e dei siti montani meno popolati, riferite, ove istituite, nella forma della “pluriclasse”, alle sole tre prime classi, ha costituito una pagina molto significativa, generosa ma con le sue gravi carenze, della storia della scuola elementare in Italia, nell’età liberale e poi nell’epoca fascista. Pur se segnata la prima dalla fondamentale e innovativa legge Daneo-Credano del 1911, che ha costituito “lo sforzo più poderoso fatto dall’Unità per diffondere l’istruzione elementare nel paese” (p.66), con l’“avocazione dello Stato” della scuola elementare dalla legge Casati affidata ai Comuni, la lotta contro l’analfabetismo assegnata alla scuola primaria dal 1860 ha proceduto con grande fatica e lentezza. Ancor peggio per quella che Camillo Corradini, l’autorevole direttore generale giolittiano, chiamava la “guerriglia” contro l’analfabetismo della scuola rurale nella sua famosa inchiesta del 1910. E ciò nonostante iniziative rivelatisi però effimere e velleitarie, come l’istituzione del “campicello scolastico” promossa dal ministro Guido Baccelli, il tentativo di promozione affidato all’Ente contro l’analfabetismo (1919-1921), il proposito espresso al Congresso per la cultura popolare di Roma del 1919 di affidare la formazione iniziale promozionale agraria alla così carente, breve e gracile scuola dei contadini, proposito realisticamente rintuzzato dal realismo di Raffaele Resta e Giovanni Calò. Anche se non mancava l’iniziativa benemerita di filantropi.
Seguiva l’opera di coordinamento dell’Opera contro l’analfabetismo (1921-1923), divenuta poi Comitato per l’analfabetismo (1923-1926) che collegava l’azione per le varie regioni di organizzazione e gestione delle scuole di campagna e montagna degli Enti di cultura cui lo Stato, al fine di spender meno, aveva delegato i suoi compiti formativi. Tra questi l’ANIMI, l’Ente Scuole per i contadini dell’agro romano, l’Ente di Cultura, che si avvalevano dell’opera tra gli altri di Giuseppe Lombardo Radice, Umberto Zanotti Bianco e Giuseppe Isnardi, nell’eredità dell’iniziativa pioneristica di Giovanni Cena e Sibilla Aleramo della guida di Alessandro Marcucci, di quella di Ernesto Codignola e Francesco Bettini.
Pur nella mortificata condizione dei maestri mal pagati e costretti a risiedere in luoghi isolati e precari, l’attività degli Enti delegati e specie di quelli ricordati, fu di alta qualità e permise l’espressione di “scuole modello”, che rifulgono nella storia della didattica del periodo. Ma l’istanza accentratrice e politica totalitaria del Regime spinse a revocare la delega per quasi tutti gli Enti passando le loro scuole (1934-1938) alla gestione dell’Opera Nazionale Balilla e quindi definitivamente allo Stato (1938-1943).
Ad alcune di queste “scuole modello” Montecchi dedica delle analisi particolareggiate che ne illustrano i pregi (e anche talora i limiti per eccessive spinte, “umane troppo umane” di protagonismo): scuole della Montesca promosse dal barone Leopoldo Franchetti e dalla moglie, scuola di Mezzaselva di Felice Socciarelli, colonie di giovani lavoratori di David Levi Morenos, scuola di S. Gersole di Maria Maltoni. Ricordiamo che alla Montesca, ospite di Franchetti, la Montessori scrive il suo Metodo e svolge i primi corsi di specializzazione, e che il suo metodo, pur nato a Roma e sviluppatosi specie a Milano con l’Umanitaria, sarà applicato con successo anche in molte scuole rurali del Mezzogiorno, gestite dall’ANIMI. In tutto questo panorama emerge felicemente, ben sottolineato dall’A., lo slancio di promozione di G. Lombardo Radice, che sostiene con romantico slancio e entusiasmo queste “scuole mito”. Non dimentichiamo però che anche per molte scuole nuove era stata vista la campagna come terreno ideale (così anche per il progetto di Laren della Montessori per la scuola degli adolescenti). Ben diversa la politica scolastica reazionaria svolta dal Regime al fine di impedire l’espansione della scuola rurale verso centri più consolidati scrive molto bene Montecchi (pp. 173-174) nel suo appassionante e avvincente I contadini a scuola, e “frenare le spinte verso l’urbanizzazione e favorire la ruralizzazione della società, secondo una visione conservatrice che risaliva a ben prima della salita al potere del fascismo”.
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