Il volume che si intende analizzare, “Per un nuovo umanesimo europeo”, fa parte della collana /pro-lu-siό-ni/ di EUM e rappresenta un validissimo tentativo di dare ulteriore voce a Simone Veil, una delle figure femminili più importanti dello scenario politico – e non solo – degli ultimi decenni. Il libro si presenta diviso in tre parti: nelle prime due viene riportata la traduzione (a cura della Professoressa Daniela Fabiani) dei due discorsi che Veil tenne nel 1980 e nel 2010, rispettivamente dai titoli “La comunità e l’identità europea” e “Discorso d’insediamento all’Académie Française”. Fa da appendice a queste prime due sezioni il capitolo Echi (a cura della Professoressa Natascia Mattucci), in cui prima si ripercorre con esaustiva sinteticità la biografia di Veil e successivamente si offre una attenta e precisa panoramica (di nuovo con curatela di Fabiani) della metodologia usata nella resa formale-stilistica dei discorsi precedentemente analizzati.
Allora, è proprio da quest’ultima parte del libro che si vuole iniziare: se è vero che con eco si intende non solo un certo effetto del suono ma anche – e forse soprattutto – una precisa corrispondenza tra l’agente e l’agito nel mondo, ciò risulta essere ancora più significativo nei riguardi di una figura di spicco quale è stata Simone Veil. Nata a Nizza come Simone Jacob, (naturalizzata in Veil dopo il matrimonio) è la più piccola dei quattro figli avuti da André e Yvonne Jacob. La sua infanzia trascorre serenamente e Veil, proprio per il suo carattere da sempre deciso e ribelle, contravviene spesso alla rigidità imposta dalla sua famiglia ebrea, al contempo profondamente patriota e convintamente laica. Nel 1934 la testimonianza di Raymond Aron sconvolge la famiglia Jacob che, di fronte ai racconti di violenza e antisemitismo successi a Berlino, vede sotto i propri occhi la fuga in massa di migliaia di ebrei proprio a Nizza. Il timore e l’angoscia di una imminente guerra diventano presto realtà e Veil, all’età di soli 16 anni, dopo lo sbarco della Gestapo nel sud della Francia, viene deportata insieme ai propri famigliari prima a Drancy e poi ad Auschwitz. Quest’esperienza segnò profondamente la sua vita e, come riportato nel libro, riuscì a salvarsi da quell’orrore grazie alla propria giovinezza e voglia di vivere. Dopo gli anni della guerra, una volta tornata in Francia, riuscì a sottrarsi alla spirale del male visto e vissuto immergendosi completamente nello studio: i corsi universitari a Sciences Po furono una strabiliante occasione di formazione, sia accademica che personale. Proprio qui, infatti, ebbe modo di conoscere il marito Antoine (cui rimarrà legata fino alla morte) e iniziò la sua carriera forense e politica. Come il presente volume illustra molto bene, è proprio nelle mura domestiche che inizia la sua lotta di emancipazione femminile e parità di genere che la portò a ricoprire la carica di Ministra della Salute dal 1974 al 1979 sotto il governo di Valéry Giscard d'Estaing, a promuovere, nel 1975, la legge che legalizzò l'aborto in Francia e a diventare la prima presidente del Parlamento Europeo eletto a suffragio universale (1979-1982). Per tutti gli incarichi e i riconoscimenti avuti, Veil è stata eletta membro dell'Académie Française nel 2008. Alla sua morte, nel 2017, ricevette un omaggio nazionale e le sue spoglie furono trasferite al Panthéon, a dimostrazione del suo contributo alla Repubblica francese e allo sviluppo della dignità umana tutta.
Proprio alla luce di quanto appena detto e in linea con l’obiettivo del libro, se da un lato si intende la sua biografia come intreccio delle azioni compiute e dei traguardi raggiunti, dall’altro ci si deve approcciare ai discorsi riportati come a una vera e propria cassa di risonanza dei suoi ideali e valori. Il volumetto in questione risulta dunque essere un prezioso tesoro per scoprire non solo il personaggio politico ma soprattutto la donna e cittadina europea che è stata Veil. Nel primo intervento riportato “La comunità e l’identità europea”, proclamato all’Istituto universitario europeo a Firenze, Veil riflette in modo estremamente lucido e schietto su cosa si debba intendere per Europa: non certamente un’organizzazione economica costituita da tecnocrati ma anzitutto un antidoto ai nazionalismi del presente. Secondariamente, l’Europa deve essere intesa come una istituzione necessaria alla salvaguardia della libertà democratica, costantemente minacciata dall’esterno e dall’interno. In sintesi, per Veil, umanesimo europeo vuol dire non solo accettazione delle diversità ma soprattutto costruzione di uno stesso sentire comune. Fa da contraltare a questa prolusione il discorso d’insediamento all’Académie Française del 2008. Esso rappresenta una celebrazione dell'ingresso di Veil in un’istituzione simbolo della cultura francese. La sua allocuzione combina eleganza retorica e profondità morale, intrecciando riflessioni sulla propria vita personale con una visione universale del ruolo della cultura. Veil omaggia il suo predecessore, Jean Racine, esprimendo ammirazione per il suo impegno culturale e umano. Tuttavia, il cuore del discorso risiede nel modo in cui Veil usa la sua biografia come una lente per discutere temi universali: l'orrore della Shoah, la resilienza dello spirito umano e l’importanza di difendere i principi della democrazia e della giustizia. L’Accademia, per Veil, è più di una semplice istituzione culturale: è un simbolo della continuità e della vitalità della civiltà francese. La sua presenza lì, come donna, ebrea, e protagonista del XX secolo, rappresenta un ponte tra passato e futuro, un richiamo al dovere di ricordare senza perdere di vista l’importanza dell’azione politica, intesa come primo e insostituibile modo per intervenire creativamente nella costruzione di un immaginario altro rispetto a quello tradizionale.
In conclusione, il libro in questione costituisce un’importante occasione di confronto con alcune delle voci di Veil: la prima, quella del discorso sull’umanesimo europeo, fa emergere un tono più formale ma non per questo meno veemente; l’altra, quella relativa alla prolusione all’Accademia, è più sentita e incalzante. In entrambi casi, giunge al lettore e alla lettrice lo stesso tipo di eco: Veil rappresenta, infatti, un faro nel prosieguo della costruzione di una comunità europea stabile e duratura in quanto la sua forza di pensiero risiede nella combinazione di una esperienza autenticamente personale (quella di donna e perseguitata) con un’invincibile fede nei valori universali.