«Alberico Gentili insegna Virgilio al figlio»
di Alessandro Feliziani, Orizzonti con libri, Orizzonti della Marca, Anno VIII, n. 42, 7 novembre 2020, p. 3
Quando nel 1598 Alberico Gentili, ormai per sempre lontano dalla sua San Ginesio e stabilmente regio professore di diritto civile all’Università di Oxford, pubblica il suo più famoso e fortunato trattato «De iure belli», suo figlio Robert ha appena otto anni. Oltre all’inglese, la lingua natale, egli parla francese (idioma della madre Hester de Peigne) e italiano (lingua del padre e del nonno Matteo), ma soprattutto conosce bene il latino, del quale sa “molto a memoria”, e qualcosa di greco.
Proprio per il figlio – che oggi definiremmo fanciullo prodigio – Alberico Gentili aveva incominciato l’anno precedente a scrivere un lungo commento pedagogico alle Bucoliche di Virgilio, che viene completato nel settembre del 1598, due mesi dopo l’ottavo compleanno di Robert. Si tratta di uno dei pochi testi non strettamente giuridici di colui che è ritenuto il padre del diritto internazionale, testo che, probabilmente per i suoi contenuti prettamente umanistici, è stato a lungo ignorato dagli studiosi e che per oltre quattro secoli mai è stato tradotto, né in italiano, né in altre lingue. Ad ovviare a questa mancanza è giunta Francesca Iurlaro, assegnista di ricerca presso l’istituto Max Planck di Heidelberg, la quale, dopo aver affrontato l’opera per la sua tesi di laurea presso l’Università di Macerata (lavoro che le era valso il premio “Alberico Gentili” conferitole dal centro studi gentiliani di San Ginesio), ha dato degno compimento a ulteriori anni di ricerche e approfondimenti, pubblicando per le edizioni Eum la prima “traduzione contemporanea” del «Lectionis Virgilianae Variae Liber ad Robertum filium». Il volume, corredato di note esplicative, comprende una corposa introduzione in cui la studiosa, oltre a genesi e struttura dell’opera, affronta gli interessi di Alberico Gentili per gli studi umanistici e la “funzione edificatrice” che essi svolgono per la comprensione dell’opera giuridica dell’illustre gius-internazionalista.
«Il testo gentiliano – scrive Filippo Mignini nella prefazione – si pone come un manifesto e una norma, teorica e di metodo, di autentico umanesimo. Non è altro che una grammatica storica, intesa nell’accezione più ampia del termine: non soltanto una rappresentazione analitica e selettiva di un preciso linguaggio (in questo caso il latino virgiliano)... ma anche una rappresentazione sistematica e genetica dei modi di pensare e sentire il mondo, quindi della storia e dell’intima costituzione di una civiltà».