di Chiara Pietrucci, OBLIO III, 11, p. 172
Nella Prefazione i curatori introducono il tema del lessico dell’immagine in Paolo Volponi, instancabile e penetrante osservatore della realtà, restituita nei suoi romanzi attraverso figurazioni folgoranti e memorabili.
Andrea Rondini si interroga sul rapporto sempre più intricato tra realtà e irrealtà che caratterizza la cultura postmoderna, in particolare tra il mondo e la sua rappresentazione segnica (nella letteratura e nella cinematografia), partendo dal commento di alcuni passi di Parlamenti, raccolta di discorsi politici di Volponi senatore. Interessato alla comunicazione e ai problemi delle nuove generazioni, riferisce in aula le parole di un amico professore che, sottoponendo ai suoi studenti un manifesto dei Puffi e chiedendo loro di sostituire il verbo puffare con uno reale, più efficace, scopre che essi non sono in grado di farlo. Così come i marines protagonisti di Full metal jacket, ignoranti ed esaltati, combattono cantando l’inno a Mickey Mouse, proveniente dall’illusorio universo disneyano.
Giampaolo Vincenzi va sulle tracce del genere epistolare in Volponi, anche se nessuno dei suoi romanzi può essere definito propriamente tale. Lo studioso fa riferimento in particolare alle lettere – spesso senza risposta – di Albino Saluggia in Memoriale, che scandiscono le tappe fondamentali della sua esistenza, e di Anteo Crocioni, protagonista della Macchina mondiale. La scrittura epistolare, spesso usata per la sua immediatezza ed evocatività, nei romanzi di Volponi denuncia al contrario l’incomunicabilità perenne tra mittente e destinatario.
Gualtiero De Santi descrive la dialettica volponiana tra utopia e realtà, la sua riflessione sul necessario antagonismo della scrittura rispetto al reale da una parte e l’abbandono della scrittura a favore dell’impegno, dell’azione politica o sociale dall’altra. Questa dicotomia mai risolta trova posto in Corporale, dove il narratore, più che descrivere, sembra voler parlare con il linguaggio stesso delle cose, fino talvolta a possederle , secondo l’acuta osservazione di Guido Piovene. L’utopia volponiana non è la placida adesione a un’ideologia, quella del comunismo, sempre sostenuta e condivisa, ma una sfida continua, attraverso la letteratura, nel tentativo di provocarla e di arricchirla.
Tiziana Mattioli mette a confronto la poesia Melancholia, contenuta nella raccolta Con testo a fronte, e l’omonima incisione di Dürer, da cui Volponi trasse ispirazione. La doppia figurazione del cane e del pipistrello-drago di Dürer e Cranach si intreccia con le interpretazioni di Lacan e Agamben, che descrivono la melancholia, l’umor nero, come un’inestricabile mescolanza di tristezza, nevrosi e tensione sessuale.
Katia Migliori ricostruisce una serie di caratteristiche della produzione volponiana, dalla predilezione per il chiasmo e il récit, a una personale idea di prosa e di contemporaneità, sulla scorta delle definizioni agambeniane.
Eleonora Mattioli ripercorre le tappe principali della vocazione artistica di Volponi, dal saggio critico su Masaccio, Il principio umano della pittura-scienza, alla figura dell’artigiano-artista del Lanciatore del giavellotto, fino alla donazione della sua collezione privata alla Galleria Nazionale delle Marche. Questa passione artistica si riflette anche nella produzione poetica, in cui si susseguono riferimenti ai già citati Masaccio, Dürer, Cranach, ma anche a Caravaggio e Vermeer.
Infine, Marcello Verdenelli propone un’inedita lettura di Memoriale, primo romanzo volponiano, ambientato non nella natia terra marchigiana, ma in Piemonte, a Candia, sull’omonimo lago. Il bianco e nero cui allude il titolo dell’intervento è quello delle radiografie, delle tomografie, delle lastre al torace cui Albino Saluggia è costretto a sottoporsi per volere dei medici della fabbrica, in un crescendo di angoscianti nevrosi provocate da una «terribile macchinazione» (p. 103) che crede ordita a suo danno. Il protagonista, malato di tubercolosi e sopraffatto dalla paranoia, appiattito nel tempo e nello spazio per la prolungata reclusione in sanatorio, perde irreversibilmente colore e spessore fino a diventare in bianco e nero, come una radiografia a raggi X.
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