Saverio Campanini, Recensione a: Uriel da Costa, Exame das tradiçoẽs phariseas. Esame delle tradizioni farisee (1624), in «Materia giudaica. Rivista dell’associazione italiana per lo studio del giudaismo», 22 (2017), pp. 294-295.
Segnaliamo ampi brani della recensione che Campanini ha dedicato al libro. La recensione completa si può trovare nel sito: http://www.giuntina.it/
Lo scettico Woland, parte di quella forza che “sempre vuole il male ma fa sempre il bene”, lo aveva detto: i manoscritti non bruciano, variando così, nella prosa bulgakoviana, la locuzione proverbiale secondo cui scripta manent. Anche i libri a stampa, talora, mostrano la stessa resilienza alle foghe censorie e alle fiamme inquisitoriali. Un caso lampante è rappresentato senza dubbio dall’Exame das tradiçoẽs phariseas di Uriel da Costa, stampato nel 1624 ad Amsterdam da Paul van Ravesteyn, e ben presto scomparso dai radar bibliografici non meno che dagli scaffali delle biblioteche. Non del tutto, però: si sapeva (da Révah e, di nuovo, da Harm den Boer), che l’inquisiziane spagnola aveva avuto traccia del libro maledetto, denunciato dai dirigenti della comunità ebraica di Amsterdam ma non meno sulfureo, per la negazione dell’immortalità dell’anima, per le autorità cristiane. Era noto, inoltre, che una copia dell’Exame, rilegata insieme al Tratado da immortalidade di Samuel da Silva che lo anticipa polemicamente, era stata offerta all’asta all’Aia nel 1728, parte del lascito di David Nunes Torres. È merito di Herman Prins Salomon aver riportato alla luce questo volume, che si nascondeva nella Biblioteca Reale di Copenhagen ([cfr.] «Studia Rosenthaliana» 24 [1990], pp. 153-168). Salomon, insieme a Isaac S. D. Sassoon, ha poi pubblicato un fac-simile di quel rarissimum, con traduzione inglese e commento ([…] Brill, Leiden 1993).
Omero Proietti ha il merito, ormai da oltre un decennio, di avere cercato di trarre tutte le conseguenze, filologiche e storiche, che da quella scoperta discendono, proponendo vaste ricostruzioni, nuove attribuzioni e riletture non solo del corpus dacostiano ma, per conseguenza, anche delle opere di Leone Modena poiché, per l’eccessivo zelo riformatore di Reggio e Geiger, essi avevano finito per confondere le acque, togliendo a Da Costa il merito, o lo stigma (questione di punti di vista) di aver messo radicalmente in discussione la tradizione rabbinica e le sue pretese egemoniche sull’ebraismo. Anzitutto però, la riscoperta dell’Exame rendeva urgente una revisione dell’autobiografia, quell’Exemplar humanae vitae, tradizionalmente attribuito a Da Costa ma sul quale la mano di Philipp van Limborch, e i suoi intenti assai poco amichevoli verso l’autonomia ebraica, avevano massicciamente pesato, proprio ciò che offre il volume di Omero Proietti, Uriel da Costa e l’«Exemplar humanae vitae», apparso a Macerata, presso l’editore Quodlibet, nel 2005. Ma già l’anno precedente («La voce di De Acosta [= 431]». Sul vero autore del Qol Sakhal, in «La Rassegna Mensile di Israel» 70, 3 [2004], pp. 33-54) Proietti aveva proposto di vedere nell’opera contro la quale Leone Modena progettava di scrivere una compiuta confutazione, di cui ci resta solo un abbozzo, un altro frutto della penna di Uriel da Costa, altrimenti perduto. Questa ultima identificazione, pur argomentata in modo piuttosto stringente, non ha suscitato approvazione unanime (cfr. la prudente rassegna di Guliano Tamani […] in «Materia Giudaica» XV-XVI [2010-2011], pp. 251-257).
Tuttavia non è in alcun modo necessario aderire a tutte le ipotesi, molte delle quali confermate ad abundantiam, di Proietti per immergersi nella lettura di questo massiccio volume. Anzi, si potrebbe osservare che, dopo aver letto l’ampia introduzione al libro, è l’opera di Da Costa, l’Exame, a imporsi all’attenzione e semmai a poter dare le risposte che ancora si lasciano attendere per far luce su un capitolo, molto noto, ma con larghe zone oscure, dell’impatto della cultura e delle floride attività commerciali dei marrani tra Amburgo e Amsterdam nella prima metà del XVII secolo. La cura filologica del volume, la puntualità della traduzione, la ricchezza di apparati (compresa una utile rassegna iconografica) sono altrettante raccomandazioni non a monumentalizzare la controversa opera di Uriel da Costa, ma a leggerla con sguardo impregiudicato, in virtù tra l’altro della restituzione, veramente impressionante, dell’autentico dettato portoghese, sfigurato nella princeps da tipografi meno che competenti, nonché della limpida traduzione italiana. La meritoria operazione culturale di Proietti […] rend[e] possibile, a parere di chi scrive, non solo (ri-)leggere Da Costa e ripensare Spinoza (anche in virtù dell’altro volume, […] a cura di Omero Proietti e Giovanni Licata, Tradizione e illuminismo in Uriel da Costa. Fonti, temi, questioni dell’«Exame das tradiçoẽs phariseas», Eum, Macerata 2016), ma anche lo stesso Leone Modena […].
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