Violento di Mohamed Razane arriva in Italia. Un romanzo che ci lascia senza speranza
di Giorgio Cipolletta, La Bottega di Hamlin, 11 maggio 2019
Violento (Dit Violent) di Mohamed Razane viene pubblicato da Gallimard nel 2006, subito dopo le rivolte incendiarie esplose a Parigi. L’opera prima dello scrittore francese di origine marocchina, ha la potenza distruttiva di un Kakashnikov (AK47) puntato dritto sulla tempia del lettore.
Grazie alla eum, casa editrice dell’Università di Macerata con la traduzione di Ilaria Vitali e Barbara Andreozzi, l’opera giunge in Italia con il titolo Violento. Il romanzo di Mohamed Razane non è un romanzo tenero, ma piuttosto una denuncia sociale, “cronaca di una società annunciata e denunciata”, ma soprattutto “disperata”.
Tutto inizia il giorno giovedì 25 luglio 2002. Mehdi, chiamato Pit (Pitbull Killer Pit) è il protagonista di questa storia. È un ragazzo tormentato, dall’aria cupa, di chi ha vissuto in periferia. Il suo corpo muscoloso restituisce dignità al suo soprannome, e si rafforza diventando campione nel 1993 di thai boxe dell’Île de France. I lineamenti magrebini e lo sguardo di Van Gogh di Mehdi riassumono i ritratti di una confessione soffocata dal cemento, dalla rabbia nei confronti di una società “ingiusta”. Non solo rabbia, ma anche collera generata dalla violenza paterna subita che si riempie la bocca di parole d’odio sputate senza sorriso e bruciate dal veleno dell’amarezza e dell’alcol che viene vendicata da Mehdi, con l’uccisione del padre con un coltello piantato nel collo.
Il contesto di una vita dolorosa fa della violenza sociale l’accento linguistico dell’intera opera. Medhi è appena diciottenne e già ne ha viste troppe nella sua vita. La palazzina H, è il punto di riferimento del quartiere delle banlieu, case popolari di venti piani con sei appartamenti per piano, centoventisei famiglie: un pollaio, sede di tutti gli operatori sociali.
Fin dalle prime righe il lettore si prepara ad entrare dentro al tarlo che tortura la testa di Mehdi per poi conviverci fino all’ultima riga, fino all’ultimo respiro, l’ultimo battito e l’ultimo punto.
Pit addestra il suo spirito per l’ultima sfida, una carneficina prima di suicidarsi, per vendicare il suo amico-poeta e sognatore Zacarias, rimasto ucciso da un’orda selvaggia di otto ragazzi, un regolamento di conti tra bande rivali. Zacarias viene sgozzato come un animale finito in macelleria, il sangue rosso porpora è ciò che resta sull’asfalto. Violento ci provoca e ad ogni riga si sente ribollire il sangue, quel sangue che sgorga dalle ferite aperte della vita travagliata come un taglio inferto nel cuore da una lama di coltello. Questo desiderio represso viene rimarcato da uno sfogo sessuale-carnale, disperato, soddisfacendo donne di mezza età dalla loro quotidiana ordinarietà. Mehdi ha bisogno di liberarsi, ma ha bisogno anche d’amore, quell’amore che ad un certo punto ritrova in Marie, conosciuta ad un gala di pugilato per un’intervista, l’unica dolcezza appiccicata al corpo di Mehdi, il suo assenzio, la sua poesia.
Il linguaggio di Mohamed Razane è duro, scarno, sanguinante, si scioglie solo nell’amore fugace e intenso proprio con Marie, dove in qualche modo trova una sorta di “redenzione”, ed è in questo momento che le parole si aggraziano in un tentativo di “amore”e di fuga da quel mondo così violento. Il cuore rimane ingabbiato dentro lo scantinato del linguaggio, il silenzio viene “stuprato”, sporcato dall’eccessiva violenza, dai sogni tormentati come nodi inestricabili e sofferenti.
L’autore, Mohamed Razane attraverso le parole è come se tirasse pugni e calci al lettore mettendolo al tappeto, non c’è via di scampo, scampo, non c’è speranza. Non ci troviamo dentro al film Scarface di Brian de Palma, ma all’interno del vortice autodistruttivo di Mehdi, il suo tarlo ce lo portiamo dentro, la sua lingua ha il sapore dell’asfalto, l’odore dell’alienazione, il linguaggio è ruvido, serrato, rapido, follemente cieco. Il grido “letterario” di Razane conduce il lettore dentro ai territori minati delle banlieu parigine, la parola anestetizza qualsiasi forma di dolcezza. La scrittura in Violento diviene “una liberazione dolorosa”, uno sfogo lancinante, che ancora brucia la bocca, schiarisce la gola e sputa pezzi indigesti. Si respira un disagio, anche quello scolastico, Mehdi abbandona la scuola dopo la terza media, si odora l’odio tra quartiere e si tocca con mano le anime scalfite arrugginite, scadute, condannate all’oblio, ad grido d’allarme a cui nessuno risponde. Odio e amore sono il rifugio di una sofferenza diventata troppo pesante, mentre l’orecchio di Van Gogh è l’espressione del suicidio della società contemporanea: una preghiera inascoltata alla Madre. Mehdi rappresenta ognuno di noi messo in gabbia da un sistema sbagliato, solo i ricchi accrescono la loro ricchezza, mentre i poveri aumentano la loro povertà e anche questa è violenza. Violento ci restituisce un manifesto radicale sulla situazione delle banlieu ma allo stesso tempo accende i riflettori sulla società attuale gonfia di una violenza fisica e morale sempre più diffusa.
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