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Variazioni dacostiane

Studi sulle fonti dell’Exame das tradiçoẽs phariseas

Omero Proietti

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The 25 years since the rediscovery and publication of Exame das tradiços phariseas (1993) have not seen a vast array of research and publications on this work even though it possess all the characteristics of a fundamental opus if one considers just the special Averroistic tradition to which it belongs and the developments provided by Spinoza. Despite the importance and centrality of this rediscovered work, it seems that over the past 25 years, a “conspiracy of silence” has arisen, or never dissipated, with the aim of erasing the Exame from history and reintroducing the antisemitic rhetoric of the pseudo Dacostian Exemplar humanae vitae. In response to this silence and rhetoric, this book illustrates the complexities of the work, analytically identifying the authors, works, and editions which belonged to the very rich Dacostian library.

About Omero Proietti
Omero Proietti is an associate professor of History of Modern Philosophy at the University of Macerata. His many works include the monographs La città divisa. Flavio Giuseppe, Spinoza e i farisei (Il Calamo, Roma 2003); Uriel da Costa e l’«Exemplar humanae vitae» (Quodlibet, Macerata 2005); «Agnostos theos». Il carteggio Spinoza-Oldenburg, 1675-1676 (Quodlibet, Macerata 2006); «Philedonius, 1657». Spinoza, Van den Enden e i classici latini (Eum, Macerata 2010); Il carteggio Van Gent-Tschirnhaus (1679-1690). Storia, cronistoria, contesto dell’«editio posthuma» spinoziana (Eum, Macerata 2013). In 2005, he published a critical edition of Tractatus politicus (Puf, Paris). He also translated and annotated the Tractatus theologico politicus, the Tractatus politicus, many of Spinoza’s Epistolae (Mondadori, Milano 2007, 20152). Recently, he has published a critical work, its translation and a detailed comment on Exame das tradiços phariseas (Eum, Macerata 2014). He also edited, together with Giovanni Licata, the book entitled: Tradizione e illuminismo in Uriel da Costa. Fonti, temi, questioni dell’«Exame das tradiços phariseas» (Eum, Macerata 2016).

  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-538-9
  • Numero pagine 566
  • Formato 14x21
  • Anno 2017
  • Editore © 2017 eum edizioni università di macerata
Rivista di storia della filosofia
Eum Redazione

Roberto Gatti, «Rivista di storia della filosofia», 75 (2020), pp. 774-777.

Segnaliamo ampi brani della vasta recensione che Gatti ha dedicato al libro. La recensione completa è reperibile al sito www.francoangeli.it.

Il merito principale delle ricerche che Omero Proietti conduce da anni su Uriel Da Costa (Porto 1583-Amsterdam 1640) consiste nel restituire spessore storico a uno dei protagonisti della cultura marrana dell’età moderna attraverso un’indagine sui testi disponibili, la loro trasmissione e dimensione linguistica, le fonti filosofiche, teologiche e letterarie impiegate. In questo modo non viene delineata soltanto una «fenomenologia del marranesimo», così come accadeva nel fortunato libro di Yirmiyahu Yovel (Spinoza and Other Heretics. The Marrano of Reason, Princeton UP, New Jersey 1989). Il libro di Yovel aveva introdotto indiscutibilmente prospettive inedite e feconde nella critica spinoziana, applicandole a una sorta di scavo genealogico della modernità nel secondo volume del suo dittico, intitolato The Adventures of lmmanence […]. Ricerche di questo tipo recano però con sé il pericolo di trasformare il marranesimo in una sorta di essenza ideal-tipica, facendo passare in secondo piano un’analisi sia dei testi in cui si sono espressi i protagonisti storici di quella stagione […], sia delle fonti su cui questa stessa esperienza si è andata definendo. Quei testi e le loro fonti, infatti, presentano sovente una storia complessa […]: un’attenta ricostruzione (come quella condotta da Proietti nel corso dei suoi lavori) […] finisce con il suggerire motivi molteplici di cautela. Per quel che riguarda proprio Da Costa, alcune sue opere sono andate perdute nella loro versione originale e sono state tramandate all’interno di lavori rabbinici che hanno inteso confutarle (come nel caso del Magen we-tzinnah di Leone da Modena, che trascrive polemicamente le Propostas contra a Tradiçaõ di Uriel). Altre opere, come il Qol sakhal, sono state sovente attribuite, anziché al loro autore, proprio a un oppositore (ancora una volta Leone da Modena). Infine, un lavoro fondamentale di Da Costa, l’Exame das tradiçoẽs phariseas, è stato ritrovato solo circa trent’anni fa. In altre parole, la ricostruzione dell’esperienza marrana si presenta carica di insidie, analoghe per certi versi a quelle con cui si confrontano gli studiosi del pensiero arabo-ebraico medievale nell’analisi di testi e problemi significativi di quel periodo storico. Queste insidie della letteratura dei e sui marrani comportano la necessità che anche lavori ormai classici debbano essere rivisti e aggiornati, come nel caso dell’edizione dei testi di Uriel curata da Carl Gebhardt nel 1922.
Emblematica, da questo punto di vista, è l’analisi che Proietti ha dedicato alla presunta autobiografia di Da Costa in uno studio del 2005 (Uriel Da Costa e l’«Exemplar humanae vitae», Quodlibet, Macerata 2005), dove presentava tutta una serie di argomentazioni (relative alla storia del testo e di natura linguistica) volte a mostrare come questo scritto sia in realtà un falso […]. Attraverso una linea argomentativa serrata e sempre documentata, Proietti si schierava, sulla base dei dati emersi proprio dal recupero dell’Exame dacostiano, a favore della tesi della totale falsità dell’Exemplar, andando al di là della soluzione di compromesso elaborata ad es. da Israel S. Révah e condivisa anche da Yovel, secondo cui solo alcune parti dell’opera sarebbero state fabbricate dal suo primo editore cristiano. Il lavoro più significativo di Proietti resta però l’edizione critica, con traduzione e commento, del testo fondamentale di Uriel (Exame das tradiçoẽs phariseas, Eum, Macerata 2014). Come si diceva, quest’opera è stata ritrovata soltanto all’inizio degli anni '90 e pubblicata nel 1993 da Herman P. Salomon e Isaac Sassoon in un’edizione facsimile. Nell’Exame Da Costa non soltanto risponde alle argomentazioni che contro di lui erano state avanzate ad Amburgo da Semuel da Silva in relazione alla tesi della mortalità dell’anima, ma riprende le posizioni antifarisee già formulate in altri suoi lavori. L’opera è infatti divisa in due parti: nella prima, Uriel riprende i temi della sua polemica contro la Legge orale della tradizione farisea (elaborate in precedenza nelle sue Propostas contra a Tradiçaõ). La Legge scritta di Mosé è del tutto autosufficiente e non necessita dell’interpretazione che ne hanno dato «i Farisei» (e cioè la corrente destinata a diventare maggioritaria nell’ebraismo e ad esprimersi nella codificazione del Talmud). Il testo del Pentateuco andrebbe dunque compreso, come poi scriverà anche Spinoza nel Tractatus, sulla base di un’interpretazione tutta interna ad esso. Per Uriel, l’affermazione della legittimità di un’interpretazione orale, trasmessa addirittura da Dio contestualmente alla “dettatura” a Mosé del codice scritto, sarebbe il risultato di un’operazione tutta politica con cui «la setta dei Farisei» si è imposta su quella dei Sadducei. La stessa catena della tradizione conterrebbe incongruenze storiche, frutto di una manipolazione tendenziosa operata sempre dai Farisei (ripresa di una linea argomentativa risalente a Flavio Giuseppe). Nella Parte seconda dell’Exame, Uriel non solo risponde alle critiche […], ma si rifà (direttamente o indirettamente) anche a tutta una serie di filosofi, teologi e fonti letterarie, intrecciando un dialogo particolarmente complesso con autori antichi e contemporanei. Sulla base di quest’opera, Proietti ricostruiva ex novo […] alcuni snodi fondamentali della biografia di Da Costa […]. Particolarmente preziosa […] era la sezione intitolata Cronologia e temi del corpus dacostiano, in cui Proietti passava in rassegna i dati utili a ricostruire tutte le opere di Da Costa. Inoltre, soprattutto alla luce della Questione che chiude l’Exame - in cui si mostra che l’universo è eterno a parte post sulla base sia della Torah scritta sia di argomentazioni filosofiche -, lo studioso proponeva di inserire il pensatore portoghese in una linea di averroismo filosofico, tipico degli esiti più radicali del pensiero ebraico medievale in terra di Spagna e di Provenza. Questo averroismo costituirebbe poi una delle fonti del pensiero spinoziano.
Il lavoro più recente di Proietti (Variazioni dacostiane) approfondisce ulteriormente lo studio sulle fonti dell’Exame. Questo lavoro è scandito in tre parti: nella prima (intitolata Intrecci di fonti dell'Exame dacostiano), viene rilevata la presenza di consonanze linguistiche e tematiche con il Somnium Scipionis ciceroniano, la Bibbia di Ferrara (e cioè la traduzione ladino-spagnola che Da Costa ha sempre presente nelle sue citazioni di passi biblici), le opere del neoconvertito Abner di Burgos (Alfonso di Valladolid) e il letterato portoghese Camões. Ne emerge la ricchezza e la complessità della scrittura dacostiana che, nel rispondere al suo avversario, non si perita di ricorrere a tutta una serie di rimandi intertestuali (sia filosofico-teologici sia letterari), spesso giocati sull’utilizzo di termini scelti dall’autore proprio in virtù della particolare risonanza filosofica e letteraria che essi possiedono.
La seconda parte del lavoro di Proietti (Fonti teologiche e filosofiche) è dedicata in particolare all’analisi del gioco molto ampio di rimandi a fonti filosofiche e teologiche, istituito da Uriel in relazione al tema della mortalità dell'anima. La Parte seconda dell’Exame, infatti, delinea una sorta di analitica della finitezza umana. La Torah scritta presenterebbe una visione dell'anima come irrimediabilmente legata al corpo e al sangue […] e trasmessa attraverso i genitori dell'individuo, in una sorta di traducianismo che costituirebbe la ripresa del detto, tante volte utilizzato dagli averroisti medievali, secondo cui i corpi celesti e il seme del genitore bastano per la generazione di un essere vivente. La stessa anima razionale sarebbe destinata a morire e «l’intendimento non procura l’immortalità». Secondo Proietti, Da Costa impiega a questo proposito medici e filosofi antichi e tardo-antichi (il Panezio ciceroniano e Galeno, con la loro ripresa del tema dell’anima come armonia del corpo) e filosofi moderni (Pomponazzi), ma si rifà anche, in senso polemico, a teologi come Origene, al Calvino della Psychopannychia (in cui si confutava la tesi di coloro «qui animas post mortem usque ad ultimum iudicium dormire putant», a favore della sostanzialità dell’anima umana, creata come immortale direttamente da Dio), alle posizioni dei sociniani. L’obiettivo polemico costante di Da Costa sarebbe dunque costituito dalle tesi antitraducianiste, nella duplice veste che esse hanno assunto (sia nella loro versione creazionistica sia in quella, presente in Origene e in alcuni passi del Talmud, della preesistenza delle anime impegnate nei «circoli», gilgulim, della reincarnazione).
La terza parte del lavoro di Proietti (Fonti storico-letterarie e linguistiche) mostra, ancora una volta, la complessità dei riferimenti dell’opera dacostiana, che costringe il lettore contemporaneo a un vero e proprio tour de force esegetico. Si veda come esempio il paragrafo dello studio, intitolato Alma vermelha. Da Crizia a Virgilio (pp. 285-304). In esso lo studioso segue i rimandi presenti in una sezione dell’Exame nella quale Uriel, al fine di suffragare la tesi secondo cui l’anima è sangue, richiama esplicitamente le posizioni di Crizia (che, per mostrare come la sensibilità dell’essere vivente fosse legata alla circolazione del sangue, «adduceva come prova il fatto che sono prive di sensibilità le parti degli animali come i denti, le unghie e i capelli, che mancano di sangue») e le posizioni di Origene (che difendeva Crizia dall’obiezione che gli era stata mossa: persino negli animali privi di sangue ma dotati di sensibilità, come le vespe e le api, «non manca un liquido della natura del sangue»), per poi concludere con una citazione dall’Eneide di Virgilio («purpuream vomit ille animam» ). Proietti mostra, a questo proposito, come la citazione di questi testi da parte di Da Costa vada oltre una semplice ripresa di un passo del de anima dei Conimbricenses […] e costituisca, in realtà, una ripresa autonoma di una particolare tradizione interpretativa della poesia virgiliana.
Nel complesso, questo lavoro di Proietti fornisce l’esempio di un’interpretazione minuziosa dell’opera dacostiana, volta sia a rintracciare le molteplici risonanze (filosofiche e letterarie) suscitate dall’impiego anche solo di un termine del suo lessico portoghese, sia a identificare con precisione le edizioni impiegate nelle citazioni. A quest’ultimo proposito, si veda l’utilizzo dacostiano dei versi del Romancero General: «Mortale mi generò mia madre / e dunque potrei morire tra poco / Ciò che il cielo concesse per grazia / non esigere per diritto». Questi versi potrebbero figurare come una sorta di epigrafe ideale dell’intero Exame. Ancora, lo studio di Proietti si muove intorno a due centri: il passato filosofico e teologico da cui proviene Uriel, ma anche il futuro che la sua opera inaugura (si veda ad es. la ripresa di temi dacostiani documentabile nel Theophrastus redivivus).
Vorremmo a questo punto avanzare un'osservazione conclusiva […]. Rispetto alle precedenti ricerche dello studioso, in quest'ultima ci pare lasciata un po' in ombra la linea dell’averroismo radicale di origine medievale che costituirebbe il background di Da Costa (l’unica eccezione è costituita dall’analisi riservate da Proietti alla figura di Abner di Burgos, che di quella linea è stato insieme epitomatore e critico). Si tratta di un’indicazione complessiva di ricerca il cui approfondimento merita invece di essere ripreso e accolto nella sua feconda sollecitazione. Si pensi, da questo punto di vista, al Capitolo 6 della Parte seconda dell’Exame che, tramite la sua negazione della tesi secondo cui «l’intendimento procura l’immortalità», sembra invece scardinare proprio uno dei cardini del paradigma filosofico dell’averroismo e cioè quello della «felicità mentale» o della conoscenza come via laica di salvezza. Detto in altri termini: in che misura ibn Rushd e i suoi interpreti ebrei medievali (ma poi anche Spinoza) avrebbero potuto sottoscrivere questa “rivoluzionaria” negazione di Da Costa? Questo interrogativo appare tanto più significativo, in quanto nell’opera dell’autore portoghese (come poi sarà anche in Spinoza) risulta assente ogni traccia di Intelletto agente e Intelletto materiale, che costituiscono invece uno degli assi portanti del paradigma averroistico e permettono di elaborare proprio una teoria delI’“intendimento immortale”. Tracce di averroismo, invece, si ritrovano indubbiamente nella nozione dacostiana di natura come insieme di estatutos inviolabili stabiliti dalla divinità. E a questo proposito sarà sufficiente anche soltanto richiamare la definizione che di Dio dava uno dei più importanti averroisti del pensiero ebraico medievale della prima metà del XIV sec. in area provenzale (Lewi ben Gershom o Gersonide) quando, riprendendo temi dell’Epitome e del Commento Medio alla Metafisica del maestro arabo, parlava della divinità nei termini della «legge degli enti, del loro ordine ed equilibrio».

 
Archives de philosophie
Eum Redazione

Pierre-François Moreau, rec. in «Archives de philosophie», 82 (2019), pp. 888-889.

Depuis la découverte et la publication en 1993 par H.P. Salomon de l’ouvrage d’Uriel da Costa que l’on croyait perdu, peu d’études lui out été consacrées, constate Omero Proietti au début de son nouveau livre. A vrai dire, le principal chercheur qui y ait apporté du nouveau est justement Proietti lui-même, avec en 2014 une édition critique du texte assortie d’une traduction et d’un commentaire, et en 2016 la direction avec Giovanni Licata d’un volume collectif, «Tradizione e illuminismo in Uriel da Costa» — il faudrait compter en outre, sur un sujet adjacent, 1’«Uriel da Costa e l’Exemplar humane vitae» (2005 —- destiné à montrer le caractère apocryphe de cette autobiographie, démonstration renforcée ici par un certain nombre d’incompatibilités avec l’Exame).
ll s’agit, certes, d’analyser les arguments d’Uriel. Mais surtout de les insérer dans les traditions diverses où ils prennent leur sens, traditions dont ils héritent et qu’ils remanient, contredisent, revivifient. En somme, de parcourir la «bibliothèque dacostienne», l’ensemble complexe des héritages culturels où s’est formée la pensée originale de l’hétérodoxe. On voit ainsi s’intriquer les réceptions croisées du Songe de Scipion et de la Bible de Ferrare, de Camoens et d’Abner de Burgos, de Galien et de Panétius (sur la mortalité de l’âme), de Socin, Pomponazzi, Descartes, des polémiques entre Calvin et les anabaptistes, des théories de l’âme-sang et de Quevedo. Il serait étonnant que cet enchevêtrement notionnel n’ait pas d’équivalent lexical: un ultime chapitre repère la prégnance du ladino dans le portugais de l’Exame.
Une belle somme, à force d’intelligence des textes et d’érudition maîtrisée. On reste juste un peu hésitant, parfois, devant des formules où le mécanisme démonstratif semble céder le pas à la supposition trop assurée: «non c’è il minimo dubbio», «è indubbio che Da Costa conosce benissimo questo passo», «sapeva certamente», «E non poteva ignorare»… Mais qu’importe? les hypothéses audacieuses ont l’avantage d’inciter à la discussion, ce qui est toujours une bonne chose. Un livre à lire, donc, aussi pour les spinozistes qui veulent savoir dans quels horizons se sont formées les questions de l’auteur de l’Ethique et des Traités.

 
Annali di storia dell’esegesi
Eum Redazione

Miriam Benfatto, rec. in «Annali di storia dell’esegesi», 36/1 (2019), pp. 266-268.

Segnaliamo alcuni brani della vasta recensione che Miriam Benfatto ha dedicato al libro. La recensione completa si può trovare nei siti:
https://asejournal.net/
https://www.dehoniane.it/rivista/annali-di-storia-dellesegesi

Omero Proietti (d’ora in poi P.), storico della filosofia ben noto per i suoi studi spinoziani, si dedica da qualche anno, con molto profitto, all’indagine sul filosofo portoghese Uriel Da Costa (1583-1640), sulla sua produzione letteraria e sul suo milieu culturale. L’opera che qui si discute si inserisce a pieno titolo nel filone di ricerca come uno dei suoi esiti più significativi e completi. In lavori precedenti P. ha commentato l’Exemplar humanae vitae, ossia la ormai riconosciuta falsa autobiografia di Da Costa; inoltre, ha predisposto il testo critico, corredato da un corposo commento e dalla traduzione, dell’Exame das tradiçoẽs phariseas (1624, Macerata, Eum, 2014), in cui è possibile trovare già un primo importante inquadramento delle fonti messe a frutto nel testo dall’autore. La monografia Variazioni dacostiane è da considerare altresì legata al volume collettaneo Tradizioni e illuminismo in Uriel da Costa. Fonti, temi, questioni dell’Exame das tradiçoẽs phariseas (Macerata, Eum, 2016), che raccoglie gli atti del convegno internazionale che si è tenuto a Macerata nel settembre del 2015. In quest’ultima raccolta, il contributo di P., intitolato “Dal Somnium Scipionis alla Biblia de Ferrara, da Abner de Burgos a Camões. Fonti e intrecci di fonti dell’Exame dacostiano”, è infatti alla base di questa sua ultima monografia […]. Il testo dell’Exame riveste un ruolo di fondamentale importanza per lo studio della tradizione averroistica dei marrani iberici e per il pensiero di Spinoza: qui risiede parte della rilevanza di questo studio sulle fonti.
Le Variazioni dacostiane vogliono tracciare la storia e i contenuti della ricchissima biblioteca di Da Costa, tramite l’individuazione di autori e opere che costituiscono le fonti dell’Exame. P. offre uno studio approfondito di queste fonti, sia quelle espressamente citate sia quelle messe a frutto tacitamente […]. La sua indagine si articola in tre momenti principali, che rispecchiano la suddivisione della monografia in altrettante sezioni. La prima, intitolata “Intrecci di fonti dell’Exame dacostiano” (pp. 19-88), è dedicata al complesso dedalo che vede protagonisti il Somnium Scipionis ciceroniano, la versione giudeo-ispanica della Biblia de Ferrara, il poema epico Os Lusíadas di Luís de Camões e l’opera dialogica Mostrador de Justicia, che riporta una discussione tra l’autore Abner de Burgos, ebreo convertito al Cristianesimo, e il suo antagonista, un ex correligionario.
La seconda parte è dedicata alle “Fonti teologiche e filosofiche” (pp. 91-252), in cui è possibile saggiare l’impegno dacostiano in quelli che egli stesso chiama “diferentes estudos” (p. 92), che hanno affiancato la sua preparazione professionale in materia giuridica. L’opera dell’Exame riflette infatti un’attenta lettura dei testi di Galeno e di Panezio, ma anche di Origene, che si traduce in più di un’occasione in una critica. Tra le fonti cristiane, Da Costa si dimostra anche un discreto conoscitore delle idee e delle opere di Fausto Sozzini e di Ernst Soner, da cui mutua alcune interpretazioni esegetiche. L’attitudine nei confronti dei teologi della Riforma, tra cui Calvino, è però tema a cui P. dedica un capitolo specifico (pp. 235-245), dopo aver offerto interessanti considerazioni sulle letture dell’umanista italiano Pomponazzi.
Particolarmente importante è il contributo che l’analisi delle fonti dacostiane dona alla querelle – che possiamo considerare risolta – sull’autenticità dell’Exemplar Humanae vitae. P. porta ulteriori prove a sostegno della già dichiarata falsa autobiografia di Da Costa e torna sull’argomento in diversi punti dell’opera (e.g. pp. 93-102). La sezione conclusiva di questa seconda parte si concentra sul rapporto tra Da Costa ed Epicuro, in cui si evidenzia una profonda conoscenza dei testi epicurei da parte del nostro. E questo smonta una parte della pseudo-biografia dacostiana – cronologicamente posteriore all’Exame – in cui lo scrivente dichiara di non aver mai avuto modo di consultare le opere del filosofo greco.
La terza e ultima parte delle Variazioni dacostiane è dedicata alle “Fonti storico-letterarie e linguistiche” (pp. 255-446), tra cui troviamo Pomponio Mela, Aristotele, Crizia (noto a lui via Aristotele) e Melantone, ma anche le raccolte epico-liriche di romances e satire spagnole. L’approfondita conoscenza del Catechismo di Bartholomeu dos Martyres (fl. XVI sec.), arcivescovo di Braga, permette a P. di mostrare un attento confronto lessicale tra il portoghese cinquecentesco di Bartholomeu e il più tardo portoghese di Da Costa, oltre a svelare interessanti aspetti della sua formazione cattolica (pp. 347-370). L’ultima sezione di questa terza parte prende in esame alcune questioni linguistiche legate al giudeo-spagnolo, alla lingua ladina (pp. 371-446). Lo studio del linguaggio dacostiano svela una profonda immersione nella vita culturale dei sefarditi iberici, contribuendo a rettificare precedenti trattazioni del problema. P. illustra, attraverso la puntuale analisi lessicale di venti espressioni dell’Exame, che il suo lessico è un lessico misto: “non è più giudeo-spagnolo, ladino, spagnolo medievale o portoghese, ma si deve definire ladino-portoghese” (p. 371). P. fornisce un ricchissimo “Catalogo delle fonti utilizzate” (pp. 459-502), la raccolta delle “Edizioni bibliche” (pp. 502-504), un elenco di lessici biblici (p. 505) e di strumenti per la lessicologia portoghese, iberica e ladina (pp. 506), oltre a diverse indicazioni bibliografiche sull’autore e le sue letture.
Questo densissimo lavoro ci mostra l’erudizione di Da Costa e si rivela uno strumento indispensabile per comprendere il complesso intreccio culturale che sta alla base della sua formazione. Grazie allo studio delle fonti dell’Exame è possibile ricollegare Da Costa a temi e tradizioni che restituiscono un quadro particolarmente interessante della sua figura intellettuale a tratti controversa. […] Inoltre, – vale la pena ricordarlo – conoscere la figura di Da Costa apporta un notevole contributo a coloro che si occupano della formazione del pensiero spinoziano e che vogliono indagare il ruolo che la sua produzione letteraria ha esercitato nei circoli intellettuali europei. Approfondire le sue fonti rappresenta quindi un esercizio indispensabile per comprendere alcuni aspetti delle grandi figure del pensiero europeo e parte dei suoi snodi centrali. Le fonti dacostiane infatti possono gettar luce su ciò che, inconsapevolmente o meno, alcuni intellettuali impiegavano utilizzando i temi dell’Exame. In questa prospettiva, sono diversi i filoni d’indagine che si prospettavo particolarmente fruttuosi e che meritano un approfondimento. È necessario prendere in esame e considerare nuove dinamiche proprio esplorando la – spesso dimenticata – sezione hebraica degli scrittoi dei grandi pensatori europei.

 
Materia giudaica. Rivista dell’associazione italiana per lo studio del giudaismo
Eum Redazione

Alessandro Guetta, rec. in «Materia giudaica. Rivista dell’associazione italiana per lo studio del giudaismo», 23 (2018), pp. 526-530.

Segnaliamo un brano che espone sinteticamente un aspetto importante delle ricerche dacostiane di Omero Proietti. La recensione completa si può trovare nel sito: http://www.giuntina.it

Sviluppando la sua monografia Uriel da Costa e l’«Exemplar humanae vitae», Proietti espone una serie di elementi importanti per stabilire la reale biografia di Da Costa e il ruolo del rabbino veneziano Leone Modena nella polemica contro l’eresia neo-caraita e di ispirazione deista, che si era sviluppata in quegli anni tra Amburgo e Amsterdam. In base a questa ricostruzione, Uriel da Costa visse a lungo a Amburgo prima di risiedere a Amsterdam, e fu appoggiato ‒ e non evitato come appare nella cosiddetta “autobiografia” Exemplar humanae vitae ‒ dai fratelli nel periodo del herem. Questo testo latino, secondo Proietti, che conferma e sviluppa intuizioni di ricercatori precedenti, è una vera e propria falsificazione fondamentalmente anti-ebraica, redatta essenzialmente dal teologo arminiano Philip van Limborch. Pur averroista, infatti, Da Costa rimase all’interno della cultura ebraica (i suoi riferimenti biblici sono tutti tratti dalla Biblia de Ferrara destinata agli ex-marrani) e non aspira a un superamento dell’ebraismo in vista di un razionalismo cristiano-evangelico.
Uno dei contributi più preziosi […] è la (forse) definitiva attribuzione a Da Costa stesso, e non a Modena, del testo anti-rabbinico Qol sakal (“La voce dell’insensato”), che potrebbe concludere una discussione storiografica risalente alla metà del 19° secolo. Proietti vede nelle opere polemiche del portoghese e dell’italiano un dialogo estremamente preciso, in cui le tesi diverse si confrontano in modo speculare: alle Propostas contra a Tradiçaõ del primo, il secondo avrebbe risposto con l’opera ebraica Magen we-sinna; Da Costa avrebbe poi sviluppato le sue tesi nei Tres tratados contra a Tradiçaõ, che Modena avrebbe tradotto in ebraico dando loro il titolo Qol sakal e iniziato a confutare nel suo Ša’agat ariyeh. Modena non sarebbe quindi un antesignano dell’ebraismo riformato, come sospettavano Geiger e Reggio nell’800 e, dopo di loro, uno stuolo di storici, ma un difensore accorto dell’ortodossi rabbinica criticata dall’averroista Uriel da Costa.

 
Bruniana & Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali
Eum Redazione

Guido Giglioni, rec. in «Bruniana & Campanelliana. Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali», 24 (2018), pp. 602-605.
Segnaliamo alcuni brani della vasta recensione che Guido Giglioni ha dedicato al libro. La recensione completa si può trovare nel sito: Fabrizio Serra editore, Pisa-Roma: http://www.libraweb.net/

Variazioni dacostiane ci restituisce un’immagine lucida e misurata di Uriel da Costa (1583-1640), pensatore ebraico vissuto in età moderna tra Porto, Coimbra, Amburgo e Amsterdam, depurata da cliché agiografici e celebrazioni piuttosto paludate di tetri martirii laici […]. Lontana da strilli e proclami, l’analisi del volume si incentra su una lettura analitica e penetrante dell’Exame das tradiçoẽs phariseas (1624), di cui l’autore ha già pubblicato nel 2014 il testo critico, la traduzione e un ampio commento. L’Exame, nato come una risposta al Tratado da immortalidade da alma (1623) del medico ebreo, residente ad Amburgo, Semuel da Silva (c.1570-1631), da questi composto per confutare le tesi anti-farisee di Da Costa, contiene una difesa rigorosa e insieme appassionata della Legge di Mosè, contro le distorsioni farisee e cristiane. Il nucleo concettuale del trattato è costituito da una radicale negazione dell’immortalità dell’anima e da una critica serrata della credenza in un sistema di punizioni e retribuzioni ultraterrene, che Da Costa considerava essere all’origine di un secolare declino civile e politico delle società umane. L’immagine dell’Exame che emerge da Variazioni dacostiane è quella di un poderoso congegno argomentativo, basato su prove razionali, naturali e scritturali.
Lo studio è diviso in tre parti: «Intrecci di fonti dell’Exame dacostiano», dove Proietti delinea il suo approccio multi-testuale concentrandosi in particolare sul Somnium Scipionis, la Biblia de Ferrara, Abner de Burgos e Camões; «Fonti teologiche e filosofiche», in cui si esaminano i principali luoghi dell’analisi dacostiana dal punto di vista medico-teologico; «Fonti storico-letterarie e linguistiche», in cui la prospettiva è più dichiaratamente lessicale e letteraria. Nell’analisi di Proietti, il termine variatio è parola chiave e insieme chiave interpretativa del testo dacostiano. Il libro è infatti uno studio organizzato intorno a una serie di variazioni sul tema della corporeità della vita (esaminata a vari livelli: filosofico, esegetico e teologico). Nello stesso tempo, vengono indagate varianti filologiche e le numerose stratificazioni di fonti e allusioni che costituiscono il tessuto composito della scrittura dacostiana. Va infine anche ricordato il significato di varietas come instabilità e precarietà delle umane sorti, e quello retorico di varietas come diversità dell’esperienza e farrago (un senso del termine che autori diversi come Angelo Poliziano e Girolamo Cardano avevano già trasformato in strumento di analisi critica della realtà naturale e umana).
Il nucleo teoretico di Variazioni dacostiane riguarda il tema della materialità della vita. Proietti argomenta molto persuasivamente come tra i principali intenti di Da Costa vi fosse quello di dimostrare come Dio agli inizi dei tempi avesse creato una natura eterna a partire dalla materia. Si tratta di un tesi di grande densità teologico-filosofica, con illustri precedenti e tradizioni a sostegno, come l’autore illustra in vari luoghi del libro. Innanzittutto, […] per materialità si intende la lettera del dettato biblico, di per sé significante e non legata a una spiritualità allegorizzante, che il più delle volte è superflua, quando non ideologicamente fuorviante. Da Costa dimostra infatti che la precisione della lettera è il miglior antidoto contro le razionalizzazioni spesso equivoche dello spirito. Un altro aspetto dell’attenzione dacostiana agli aspetti materiali della vita, che l’autore esamina con particolare precisione e competenza, è la difesa di Da Costa della posizione traducianista contro la dottrina della pre-esistenza delle anime e quella del creazionismo. Proietti dimostra come non a caso il traducianesimo veterotestamentario, in una linea cha va da Agostino a Lutero, potesse essere usato in funzione esegetica e divenire addirittura compatibile con le ragioni dell’anima e della resurrezione dei corpi. Strettamente legato al tema della riproduzione è quello della fisiologia del sangue, al quale Variazioni dacostiane riserva delle pagine illuminanti, in un arco di tempo che va dalla Bibbia e i presocratici a Michele Serveto […].
Materialità significa poi un tipo di provvidenzialità divina che si identifica con il corso immanente della natura e della storia, una sorta di eternità del mondo riletta in chiave biblica, dove todos os dias da terra vuol dire tanto la perpetuità dell’ordine garantita dalla legge divina quanto la capacità della materia di auto-organizzarsi seguendo le istruzioni impartite da Dio al momento della creazione. Nella visione cosmo-teologica di Da Costa, un’unica virtù seminale si estende a tutto l’universo; essa assicura alla natura un’ininterrotta produttività in cui si identificano Dio, legge naturale e ragione. A ciò si connette il tentativo di Da Costa di interpretare diversi luoghi biblici […] in modo che essi confermino l’eterna permanenza del creato e soprattutto impediscano possibili derive in chiave messianica e apocalittica – un punto che è eloquentemente riassunto dall’autore a p. 435: «L’Exame rigetta l’intera tradizione ‘fariseo-cristiana’, poiché essa trasforma l’inesistente Apocalisse del giudizio celeste di Dio nelle “sante” Inquisizioni di ogni umana, troppo umana tirannia teologico-politica sulla terra».
Proietti sottolinea in particolare le implicazioni politico-sociali che, secondo Da Costa, erano strettamente associate alla dottrina dell’immortalità dell’anima. In questo senso, sostenere che le facoltà mentali di ogni singolo individuo potessero continuare ad esistere anche nell’aldilà, oltre ad essere assurdo dal punto di vista della logica e della fisica del tempo, comportava delle conseguenze deleterie a livello della convivenza civile di una particolare società: la fondamentale irrelevanza della vita terrena, un sistema di pene e retribuzioni basato sull’abilità di conformarsi a norme imposte dall’esterno, e un senso diffuso di ansia e paura. La negazione dacostiana della persistenza indefinita del pensiero individuale degli esseri umani lo avvicina certamente a un certo averroismo di carattere teologico-politico sensibile ai pericoli di deriva autoritaria, per il quale occorre bandire la lex religiosa in quanto questa, con la complicità dell’immaginazione, alimenterebbe un serbatoio di illusioni facile preda di violenze sociali e oppressione politica. La posizione di Da Costa si differenzia invece da un certo averroismo di ritorno (direi quasi più frivolo) caratteristico dell’epicureismo libertino, per il quale la dottrina dell’immortalità dell’anima e della resurrezione dei corpi è uno strumento utile al mantenimento della stabilità sociale. La legge, insiste invece Da Costa riferendosi all’esempio di Mosè, non richiede affatto la credenza in un destino ultraterreno dell’anima. La visione della morte come liberazione dell’anima dagli affanni terreni nutre piuttosto un sogno di felicità fittizia, il cui potenziale energetico può però essere manipolato da gerarchie politiche e sacerdotali senza scrupoli. Da Costa rigettava la dottrina dell’immortalità dell’anima come l’espressione di una civiltà della morte, che inneggiava alla violenza e alla guerra – «il nesso etnologico tra barbarie, ferocia guerriera e dottrina dell’immortalità», come è ben sintetizzato da Proietti (p. 260).
Variazioni dacostiane è un libro colto, che non cade mai nelle secche dell’erudizione fine a stessa. Nel suo essere storia di un libro, lo studio delle fonti, delle allusioni e dei tanti sedimenti della tradizione acquista un valore che va al di là di citazioni dotte e indagini bibliografiche. Esso piuttosto ci ricorda che le idee si trasmettono non direttamente da mente a mente (come gli angeli, di cui Da Costa negava l’esistenza, son soliti fare), ma solo ancorandosi caparbiamente al fragile supporto di un materiale, sia esso parola, immagine, scrittura, segno, memoria o testimonianza (monumentum). Da questo punto di vista, l’analisi condotta nel volume resiste alla tendenza inevitabilmente atomizzante caratteristica di certa Quellenforschung per rintracciare invece le totalità di significato che connettono idealmente il mondo dacostiano agli universi culturali di Origene, Galeno, Camões, Pomponazzi e Serveto, per citare solo alcuni dei tanti complessi di idee che vengono scandagliati nel libro. Con una scrittura limpida e asciutta, il volume dimostra chiaramente di essere il risultato di ricerche ampie e meditate. Degne di particolare nota sono le numerose competenze linguistiche che l’autore impiega nel corso delle sue analisi.
Variazioni dacostiane è un’utile risorsa per studiosi del pensiero ebraico e la sua trasmissione dal Medioevo all’età moderna, e per chi ha interesse a indagare aspetti poco noti dell’averroismo seicentesco. È inoltre un contributo prezioso alla storia della letteratura portoghese del Rinascimento e del Seicento. Per il modo in cui è condotta l’analisi dell’opera dacostiana, gli studiosi dell’esegesi biblica della prima modernità non mancheranno di apprezzare la richezza di informazioni contenute nel volume. Gli storici della filosofia, infine, scopriranno come una serie di elementi determinanti del pensiero ebraico sefardita medievale e rinascimentale venisse a cristallizzarsi in età moderna in dibattiti teologici e filosofici riguardanti il destino di varie correnti antitrinitarie e sociniane.

 
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