Dal comunicare al fare l’Europa: il ruolo dell’informazione in Italia
Un volume a cura di Andrea Maresi e Lucia D’Ambrosi, che raccoglie best practice e linee guida operative per conoscere le opportunità proposte dall'Ue
di Lena Huber, Eurocomunicazione, 1 ottobre 2016
Nei giorni scorsi è stato pubblicato sul portale dell’Ordine nazionale dei giornalisti un’intervista ad Andrea Maresi, giornalista professionista, già responsabile stampa dell’Ufficio per l’Italia del Parlamento europeo, nonché autore insieme a Lucia D’Ambrosi del volume “Dal comunicare al fare l’Europa”, a cui ha anche partecipato Eurocomunicazione. Riportiamo fedelmente la pagina dell’Odg che potete anche leggere a questo link (http://77.81.236.91/content/dal-comunicare-al-fare-l%E2%80%99europa-il-ruolo-dell%E2%80%99informazione-italia-cosa-ci-offre-l%E2%80%99ue).
Programmazione dei fondi strutturali e d’investimento 2014-2020 proposte dall’Unione europea: ci dice qualcosa? Certo, ma occorre una premessa. Per parlare di Europa è necessario conoscerla. Almeno un pochino, anche non per forza in tutte le sue piccole sfaccettature. Bisogna, prima di tutto, mettere in atto un processo di consapevolezza e partecipazione nei confronti della vita pubblica attraverso la comunicazione di ciò che l’Europa sta attuando, nel modo più trasparente possibile. È ciò che sostengono Andrea Maresi (giornalista, cura la Comunicazione e le Relazioni istituzionali della delegazione della Regione Lombardia a Bruxelles) e Lucia D’Ambrosi (docente di Comunicazione Pubblica e Open Government presso l’Università di Macerata) nel volume da loro curato “Dal comunicare al fare l’Europa”, edito da EUM (Edizioni Università di Macerata), con l’intento sia di sottolineare il ruolo delle politiche europee nello sviluppo della cosiddetta “Cittadinanza attiva”, sia di conoscere quali opportunità l’Europa offre sul breve e lungo periodo.
Un manuale di best practice e linee guida operative quello di Maresi e D’Ambrosi, un interessante spunto di riflessione su come sta cambiando il modo di comunicare delle Istituzioni europee, in una società che si evolve in maniera sempre più rapida dal punto di vista tecnologico e su quanto oggigiorno sia importante coinvolgere i cittadini in un “sapere e sapersi ascoltare” in modo biunivoco, cioè con un riscontro tangibile, osservabile, criticabile e, quindi, anche migliorabile.
Il volume invita a riflettere dunque sul ruolo dell’informazione in Italia, per favorire la conoscenza delle opportunità offerte dall’Unione europea, con la nuova programmazione dei fondi strutturali e d’investimento europei 2014-2020. Suddiviso in tre parti, il libro raccoglie contributi di autori diversi per formazione, background ed esperienze, ma tutti conoscitori a vari livelli della macchina europea. La prima sezione approfondisce il tema della comunicazione europea, in relazione alla cittadinanza democratica e al processo di costruzione dell’Unione, la seconda intende riflettere sul modo di comunicare e informare in Europa, in un momento di difficile transizione, mentre nella terza e ultima sono presentati gli strumenti operativi per utilizzare e gestire i fondi Ue.
Ma chiediamo direttamente all’autore Andrea Maresi di illustrarci nel dettaglio i contenuti del suo lavoro.
Lei sostiene che sia «essenziale capire dove stiamo andando, nel settore delle comunicazioni elettroniche, della digitalizzazione e dei nuovi servizi offerti ai singoli». In cosa consiste l’era del 4.0, quali sfide pone e quali opportunità per l’Italia e per l’Europa?
«L’era 4.0 è l’era interconnessa e condivisa globalmente che stiamo vivendo, in cui l’evoluzione tecnologica ha un impatto diretto sul nostro stile di vita a 360 gradi. Rappresenta un‘enorme opportunità per tutti in Europa e quindi anche per il nostro Paese. Ma a patto che si arrivi a realizzare un vero mercato unico digitale con un level playing field, dove tutti gli operatori, inclusi quelli che operano sulla Rete, possano giocare ad armi pari e far beneficiare in termini di servizi e prezzi tutti i consumatori. In un momento di empasse economico – che ancora pesa sul nostro continente – ci sarebbero importanti ricadute economiche e un servizio concreto per gli utenti, grazie a una concorrenza leale che ancora latita. Penso in particolare al mondo delle telecomunicazioni, al commercio elettronico, al digitale e ai media…».
Cosa significa comunicare i fatti europei oggi? Cosa rappresentano il giornalismo e l’informazione “Glocal”? Come viene strutturata la comunicazione al Parlamento europeo?
«I modi per comunicare sono stati stravolti dalle nuove tecnologie e dal conseguente ruolo attivo dei cittadini, che diventano – sempre e ovunque – nuove fonti di informazione alternative con le quali confrontarsi. Comunicare l’Europa oggi significa saper informare i cittadini con notizie vicine ai territori e alle necessità dei singoli, sia esso in tema di lavoro, formazione, fondi, sicurezza, salute, coinvolgendo sempre di più attraverso una mirata programmazione, l’informazione locale più vicina e attenta alle esigenze quotidiane dei lettori. In questo contesto il Parlamento europeo sta cercando di programmare, compatibilmente con percorsi legislativi che prendono anche anni, l’enorme mole di lavoro e i temi affrontati con l’attualità e le ricadute nei singoli territori. In questo contesto, gli uffici del Parlamento europeo – ma anche quelli della Commissione europea presenti nelle principali città europee – hanno assunto un ruolo più attivo nel dialogare con la cittadinanza e i media. A questo lavoro va aggiunto un percorso di educazione civica per spiegare cos’è l’Unione europea, quali sono le sue competenze e i suoi poteri, quali quelli dei singoli Stati membri».
L’identità e la cittadinanza europea appaiono i due temi fondamentali su cui costruire il futuro dell’Unione europea. Quali sono i due concetti chiave da analizzare?
«Come racconta la curatrice Lucia D’Ambrosi, l’identità e la cittadinanza europea assumono un ruolo sempre più centrale nella sostenibilità del progetto europeo, in particolare in questo prolungato momento di crisi economica e di sfide comuni irrisolte, come l’immigrazione, il lavoro e la sicurezza. Il tutto deve fare poi i conti con l’attuale momento di incertezza post Brexit sulla direzione dell’Unione europea e la sua stessa esistenza. Premesso che l’Unione europea è un progetto unico al mondo che ha saputo affermarsi attorno a obiettivi mirati e condivisi, è indubbio che la sua sopravvivenza è legata a doppio filo ai concetti di identità e cittadinanza, ovvero all’appartenenza nazionale (e poi europea), che rappresentano le fondamenta del processo di integrazione in fieri. Consapevoli che le differenze culturali e di lingue non permettono la creazione di una vera sfera pubblica europea, lo status di cittadino europeo deve essere rafforzato attraverso la condivisione di doveri comuni e la fruizione di vantaggi concreti; si pensi all’abolizione nell’Ue dal 2017 dei costi del roaming. Ma i temi economici, come questo momento storico ci sta mostrando, da soli non bastano. Ecco perché, di pari passo, consapevoli della diversità dei territori europei – ma anche delle sue uniche potenzialità in un mondo globalizzato – va costruita una nuova sfera di valori e principi comuni di appartenenza e partecipazione, partendo proprio da progetti legati alla cultura e all’educazione nelle scuole».
“L’identità politica europea e la depoliticizzazione tecnocratica”… Ce ne parla?
«Come racconta Gianluca Vagnarelli, ancora oggi l’idea d’Europa sembra continuare a definire se stessa con la logica della contrapposizione, dal riferimento a ciò che Europa non è. In questa direzione, il problema di un unitario abito civile e politico del continente può trovare una delle sue origini anche nel ritardo con cui l’Europa ha iniziato a prendere autonoma coscienza di sé. È anche nella difficoltà di compiere il passaggio da un’identità europea definita per differenziazione a una positiva affermazione di sé che può essere rintracciata l’origine di alcuni dei nodi irrisolti del processo di integrazione politica del Vecchio Continente.
L’altro aspetto è quello legato al processo di depoliticizzazione tecnocratica che ha caratterizzato l’intero cammino dell’integrazione europea, consistito nell’illusione di poter colmare il deficit di un’autentica autonomia politica del continente attraverso lo spossessamento della politica ad opera della tecnica. L’intervento della tecnica nell’ambito degli affari pubblici non rappresenta, di per sé, un fatto preoccupante, perché sintomatico di uno sforzo di razionalizzazione ed efficientamento. Ma la tecnocrazia non si limita a ciò, si basa su un convincimento ulteriore: l’impossibilità dei governi di agire razionalmente per il perseguimento del bene collettivo, con conseguente “retrocessione” dell’uomo politico. Ma questo processo rappresenta un notevole rischio per la democrazia, in quanto la neutralizzazione della politicità attraverso forme “neutre” di razionalità opera come fonte di delegittimazione di possibili alternative. Questo vento, per fortuna temporaneo, è arrivato in Italia qualche anno fa, ma ha presto mostrato i suoi limiti. Nel contesto europeo questa tentazione ha trovato spazio sin dalle origini del processo di costruzione europea priva di politica. E oggi ne vediamo i frutti».
Che progetti ha attuato e attuerà l’Unione europea per la scuola e l’istruzione?
«I Paesi dell’Unione europea sono responsabili dei propri sistemi educativi e formativi, mentre l’Ue ha una funzione di supporto, fissa obiettivi comuni e favorisce lo scambio di buone pratiche, offrendo un contributo per affrontare sfide comuni, come l’invecchiamento della popolazione, l’apprendimento delle lingue, la mobilità, il mutuo riconoscimento delle qualifiche d’istruzione e professionali, la formazione permanente, la ricerca e il sostegno all’imprenditorialità. Su tutti il programma Erasmus rappresenta lo strumento che negli anni ha saputo dare un contributo concreto a milioni di giovani e che è in attesa di un ulteriore rafforzamento, dopo il recente accordo di Ventotene per un piano straordinario a livello europeo. Un altro sostegno degno di nota è il programma “Europa creativa” che finanzia e sostiene progetti per rinforzare la competitività nel settore culturale e creativo e ampliare la diversità linguistica e culturale europea».
Dal punto di vista comunicativo, il “capitolo immigrazione“… Vista la sua delicatezza, come viene gestito?
«Essendo una competenza condivisa fra Unione europea e Stati membri, è un tema ad alta sensibilità politica in un contesto di continua evoluzione nell’emergenza. La comunicazione risente delle divisioni e delle differenti sensibilità delle varie capitali europee. È inevitabile che esistano cortocircuiti, ma l’importante è che ognuno mantenga il proprio ruolo, informando correttamente i cittadini delle proposte messe in campo per quanto riguarda la Commissione europea e delle decisioni che spettano congiuntamente ai singoli Stati membri e al Parlamento europeo. Coinvolgendo vari settori, dalla politica interna alla politica estera, il lavoro di coordinamento per comunicare con un unico messaggio ai massimi livelli».
Internet e notizie a getto continuo. A discapito della qualità e della completezza oppure no?
«Il discorso è complesso e tocca vari ambiti. Partendo dal presupposto che la qualità e la completezza dell’informazione risentono del nuovo modello di business a getto continuo (a cui è sottoposta l’informazione sia dai professionisti che dai navigatori della Rete, come ha confermato l’indagine conoscitiva Agcom su informazione e internet in Italia dell’aprile 2015), è vero che per distinguersi il giornalista dovrebbe ancor più rispettare le regole deontologiche per offrire contenuti di qualità. Ma l’invasività di Internet e la pressione degli over the top (Google, FB, Twitter e tutti i social in generale) creano una pressione anomala, che va gestita per evitare che impatti sul modello e concetto di informazione. Il rischio è presente e il mondo dell’informazione sta facendo i conti con questo stravolgimento degli assetti di business che arriva a toccare la natura stessa della professione giornalistica. Se è chiaro che non possiamo andare contro un processo tecnologico ineludibile e che maggiore informazione, che ha prodotto una polverizzazione dell’offerta informativa, rappresenta un aspetto positivo dell’evoluzione tecnologica, occorre che tutti i player giochino con le stesse regole. L’informazione a getto continuo cela però un rischio che mina le stesse regole alla base dell’ordinamento della professione. E’ ovvio che l’informazione sempre e ovunque per rincorrere improvvisati citizen journalist rappresenti un rischio per la qualità, ma soprattutto la completezza, autorevolezza e fondatezza delle fonti di informazione. E proprio quest’aspetto deve essere ancor di più vigilato con un investimento in controtendenza per distinguere l’informazione di qualità dal resto».
http://www.eurocomunicazione.com/dal-comunicare-al-fare-leuropa-il-ruolo-dellinformazione-in-italia-cosa-ci-offre-lue/