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Archetipi letterari

Meletinskij Eleazar Moiseevič, Bonafin Massimo (Italian edition by)

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O literaturnych archetipach
Italian translation by Laura Sestri

The book consists of two parts. In the first, the author defines archetypes as the most ancient elements of the language of narration. As opposed to the psychoanalitic concept of archetype formulated by Carl Gustav Jung and linked to the sphere of collective unconscious, Meletinskij brings the archetype back to the social and cultural spheres. From an anthropological-literary perspective, social contexts take on great importance when they generate plots tied to rituals, such as initiation, the killing of the elders as generational succession, weddings and seasonal feast days linked to the awakening of nature. The author describes mythological and folkloric characters (the ancestor demiurge, the cultural hero, and the trickster) which represent the paradigms of heroes and antiheroes. Meletinskij also analyses the recurring models in stories concerning the acts of creation and defense of the Cosmos against Chaos, the fight against the dragon, difficult challenges, miraculous births, heroic childhood, the wedding of the hero with his princess (and vice versa), or the agony and resurrection of the god and the hero.
In the second part of the book, Meletinskij provides a new and original take on the transformation of the most significant archetypes in the history of literature on the basis of the great Russian classics from the period between the 19th and 20th centuries (Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Belyj and Tolstoj)..

About E. M. Meletinskij & Massimo Bonafin
The author E. M. Meletinskij (1918-2005) is well known in the western world for his studies in comparative literature, especially regarding international narrative mythology and folklore. Many of his works of have been translated into Italian: La struttura della fiaba (1977), Il mito (1993), Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo (1993) and for eum, Poetica storica della novella (2014).

The editor Massimo Bonafin is a professor of Romance Philology and the Origins of European Literature at the University of Macerata.

  • Autore Meletinskij Eleazar Moiseevič, Bonafin Massimo (ed. it. a cura di)
  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-450-4
  • Numero pagine 214
  • Formato 14x21
  • Anno 2016
  • Editore © 2016 eum edizioni università di macerata
Recensione di Salvador Spadaro, allievo della Scuola di Studi Superiori Giacomo Leopardi - Università di Macerata
Eum Redazione

Archetipi letterari è un testo scritto e originariamente pubblicato dal filologo ucraino Eleazar Moiseevič Meletinskij nel 1994 con il titolo di O literaturnych archetipach; l’edizione italiana, che ha per curatore Massimo Bonafin, già docente dell’Università di Macerata e ora professore ordinario di Filologia romanza all’Università di Genova e per traduttrice la dottoressa Laura Sestri, è stata pubblicata per i tipi di EUM con il sostegno del programma TRANSCRIPT, della Fondazione Mikhail Prokhorov, ventidue anni dopo.

Il libro si apre con un’articolata nota introduttiva del curatore che postula, prima ancora del contenuto dell’opera, le difficoltà che questa potrebbe causare al lettore, data la differenza dello spettro semantico relativo al termine “archetipo” nelle lingue di partenza e di arrivo. Dopo la breve presentazione delle tre discipline in cui si presenta più assiduamente il termine, quella filosofica, quella filologica e quella psicoanalitica, si ascrive a quest’ultimo filone l’accezione dalla quale Meletinskij prende le mosse per lo sviluppo della sua ricerca.

L’opera si bipartisce in due ampie sezioni, la prima delle quali, dal contenuto più teorico, segnala l’intento di indagare “l’origine di quelle costanti della narrazione che hanno composto le unità di una determinata lingua degli intrecci della letteratura mondiale”. Qui si afferma che queste erano, in un primo momento, estremamente omogenee, mentre in un periodo successivo le si ritrova molto più varie; questo cambiamento, tuttavia, non sarebbe che una trasformazione dei medesimi elementi primitivi. Su questi archetipi degli intrecci, come li definisce l’autore, si baserà dunque lo studio. A seguire, i suddetti elementi sono presentati in una serie di ventitré capitoli, la cui suddivisione è a cura della traduttrice. Si inizia con una disamina degli studi e dei pensatori che hanno in precedenza influenzato questo campo, ponendo in particolare risalto i risultati ottenuti da Carl Gustav Jung e dai suoi seguaci. Dell’analisi junghiana, in particolare, è dibattuto come i mitologemi archetipici siano immagini provenienti dall’esterno che rappresentano il rapporto tra conscio e inconscio, mentre per Meletinskij il motore dell’immaginazione mitologica sarebbe da ricercare altrettanto nella sfera socioculturale. Inoltre, aldilà di queste immagini non condivise nella loro interezza dall’autore, che rispetto al “bambino”, alla “madre”, al “vecchio saggio”, privilegia gli aspetti dinamici, qui si accoppiano ai personaggi i predicati loro riconducibili nello spazio degli intrecci narrativi. Una delle preoccupazioni principali dell’autore rimane comunque quella di emanciparsi dai limiti imposti dal riduzionismo dei suoi predecessori, che gli sembrano far coincidere l’esperienza letteraria con la materia psichica nel caso di Jung o con la ritualistica nel caso di Frye, spiegando così la sua lettura peculiare dei loro studi. Ed è attraverso questa chiave di lettura che si prosegue dunque con la serie di tratti analizzati da Meletinskij: la creazione del mondo, l’eroe culturale, l’antieroe, gli aiutanti e i molti altri presenti nel testo.

La seconda parte del volume, invece, mette in pratica quanto esposto nella precedente per indagare la trasformazione degli archetipi nella letteratura russa classica, in particolare Cosmo e Caos, eroe e antieroe. Meletinskij, partendo dal presupposto che gli autori russi tendono a trattare questioni sensibilmente più ampie legate alla visione del mondo rispetto agli autori europei, trova che questa ampiezza rispecchi meglio la dimensione mitologica dell’archetipo. I cinque autori indagati sono quindi Aleksandr Sergeevič Puškin; Nikolaj Vasil’evič Gogol’; Fëdor Michajlovič Dostoevskij; Andrej Belyj e Lev Nikolaevič Tolstoj. Maggiore attenzione, come testimonia anche il più alto numero di pagine a questi dedicate, è riservata in particolare a Gogol’ e Dostoevskij. Il procedimento che espone l’autore consiste in gran misura nel rilevare la “permanenza, la riattivazione e la trasformazione degli archetipi”, e, di conseguenza, anche nel rintracciare le fonti che informano un autore, cosa che fa nel caso esemplificativo de Le anime morte. Egli annovera fra i precursori di genere di quest’opera il romanzo picaresco, sottolineando che il pícaro, a sua volta, trae origine dal personaggio arcaico del briccone-trickster mitologico. Così, l’autore spiega il comportamento di Čičikov, un truffatore che è, però, inserito nella società, diversamente dai personaggi picareschi, con cui ha invece in comune la mancanza di una casa e di una famiglia, le sue origini modeste e la bricconaggine imposta dalla necessità, mentre per quanto riguarda il contabile Nozdrev, l’azione assidua del baratto e dello scambio lo avvicina più a un trickster arcaico come il Loki dell’epos scandinavo.

Il libro fornisce approfondite nozioni in merito al folklore di svariate tradizioni che si snodano lungo secoli e chilometri di distanza, utili tanto in qualità di contenuto letterario quanto in qualità di strumento critico per meglio leggere il fenomeno folklorico. Dopo l’accurata analisi delle singole unità narrative, come ad esempio l’evoluzione eroica, vista nell’epos, come nel mito e come nella fiaba, si rintracciano le conclusioni della prima parte preparativa nel XIX secolo russo, come è in questo caso l’eroe-sognatore di Dostoevskij. Il testo, benché sia di portata estremamente ampia, si mostra conciso nel dettato e non perde di accuratezza e chiarezza espositiva, anche grazie all’ampio uso di note a corredo della traduzione che danno ragione delle scelte traduttive e che integrano informazioni non evidenti al lettore occidentale, quali potrebbero essere i personaggi fiabeschi e i racconti popolari russi. Complementarmente, risulta di comoda consultazione la presenza di un indice dei nomi contenente i personaggi delle mitologie meno note, così come lo sono gli aggiornamenti bibliografici che inseriscono le eventuali traduzioni dei testi citati dall’autore e i testi citati dalla traduttrice.

L’opera, fruibile in particolar modo da studiosi ma non per questo priva di spunti di riflessione per il lettore interessato, risulta quindi nella sua completezza un felice connubio di teoria e prassi che permette di acquisire strumenti critici per l’analisi letteraria e di riscoprire nuovi aspetti di una letteratura rigogliosa come quella del grande romanzo ottocentesco.

Salvador Spadaro

 
La ricerca folklorica
Eum Redazione

Gli Archetipi letterari di Meletinskij, di Rita Caprini, La ricerca folklorica, 74, 2019, pp. 263-266

Il volume, tradotto da Laura Sestri e curato da Massimo Bonafin, rende accessibile al lettore italiano l’originale russo, O literaturnych archetipach, edito a Mosca nel 1994. Nel 2013 gli stessi, traduttore e curatore, e la medesima casa editrice, avevano pubblicato la Poetica storica della novella, che avevo avuto il piacere di leggere e di recensire. Come ricordavo in quella recensione, la figura di Meletinskij rappresenta il felice coronamento di una tradizione russa di studi che non separa mai, in nome della specializzazione che ha spesso limitato lo slancio dell’Accademia occidentale, i vari aspetti degli studi umanistici, dalla lingua al folklore, dalla psicologia alla mitografia. Basti pensare alla figura di Roman Jakobson e al suo noto adagio, echeggiato da Terenzio, linguistici nihil a me alienum puto.
Meletinskij, nato nel 1918, e vissuto fino al 2005 nonostante le traversie di una vita da ebreo russo nel XX secolo (traversie che comprendevano la prigionia nazista e poi quella staliniana), era di una generazione più giovane di straordinari studiosi come Propp e Bachtin (nati entrambi nel 1895) e del già citato Jakobson, nato nel 1896, e ha per così dire traghettato quella straordinaria esperienza nel nuovo millennio. Si ricordi che per decenni, dopo il successo della Rivoluzione d’ottobre, in Occidente si seppe poco o nulla dell’esperienza russa, tanto che solo negli anni ’60 fu “scoperta” e tradotta la Morfologia della fiaba di Propp, e solo negli anni ’70 si diffusero le opere di Bachtin. Roman Jakobson aveva lasciato la Russia nell’entre deux guerres, elaborando l’insegnamento saussuriano nella scuola di Praga (le cui Tesi del ’29 avevano integrato la nascente linguistica strutturale con l’esperienza della Scuola Formalista russa di studi letterari e folklorici), e aveva poi dovuto abbandonare anche l’Europa poco dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale per rifugiarsi negli Stati Uniti dove chiuse con la morte, nel 1982, una lunga carriera accademica. Il nostro autore invece non lasciò mai la patria, se non per brevi periodi, e senza andare troppo lontano: teneva ad esempio nella vicina Estonia i celebri seminari estivi dell’Università di Tartu, raramente partecipava a convegni all’estero, come quello del 1992 a Mantova, dove lo conobbi e ascoltai la sua lezione, tenuta in francese, sul folklore arcaico del mondo.
Lo studio di Meletinskij sugli archetipi letterari si inserisce in un filone di studi che ha la sua non remota origine (meno di un secolo al momento della pubblicazione in Russia del libro di Meletinskij) nelle ricerche di Carl Gustav Jung, che naturalmente non si ponevano in ambito letterario, ma in quello della psicologia del profondo. La nozione di archetipo era in Jung collegata direttamente a quella di inconscio collettivo, insieme di elementi strutturali collettivi che lo studioso svizzero ritiene possano perfino essere trasmessi per via filogenetica. Nell’individuo l’archetipo si presenta come manifestazione involontaria di processi inconsci, che si attivano spontaneamente nella mente in momenti di indebolimento della coscienza vigile, in un processo analogo a quello in cui si verificano i sogni. Rispetto alle visioni deboli e confuse dei sogni, l’attivazione delle immagini archetipiche porta però con sé una rielaborazione, una riattualizzazione continua.
Fu proprio un sogno a rivelare a Jung l’esistenza di un inconscio collettivo, popolato di archetipi: narra egli stesso che gli pareva di trovarsi nel bel salotto di una casa che non aveva mai visto, ma che pure sapeva essere sua. Decide di visitarla tutta, al piano immediatamente inferiore trova una cucina che dall’aspetto sembra risalire al secolo XV, da lì passa a una cantina di impostazione medievale, con i resti di un muro romano, sotto alla quale si trova una caverna il cui suolo è formato di cocci e teschi umani. Jung esaminando il proprio sogno intuisce di trovarsi davanti a una sorta di diagramma di struttura della psiche umana, un presupposto di natura del tutto impersonale, un a priori collettivo, un insieme di modi d’agire, di forme istintive, cioè di archetipi.
Jung elaborò poi questa sua intuizione in un famoso volume, i Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, scritto in collaborazione con Károly Kerényi, studioso ungherese di storia delle religioni che si era rifugiato in Svizzera all’avvento del nazismo. I due autori sono entrambi convinti che lo spirito scientifico moderno impedisca ormai all’uomo della metà del XX secolo di comprendere una grande parte della realtà presente e del proprio passato, a cominciare dalla mitologia. I miti, secondo Jung, costituiscono gli esiti naturali della memoria collettiva, e vanno distinti dagli archetipi: i miti sono infatti formazioni tradizionali di età incalcolabile, mentre gli archetipi si presentano nei singoli individui come involontarie manifestazioni di processi inconsci.
Jung individuava in quel volume e in altre opere alcune figure archetipiche, ad esempio quelle della “madre”, del “bambino”, del “vecchio saggio”, dell’animus/anima (il principio inconscio della personalità, diverso per uomo e donna), dell’“ombra”, che è la parte della personalità inconscia che resta dietro alla soglia della coscienza, e che può anche presentarsi come doppio demoniaco.
Meletinskij riconosce in apertura del volume che qui recensisco il debito di gratitudine all’opera di Jung, ma gli muove una critica preliminare e decisiva: gli archetipi junghiani rappresentano soprattutto immagini, personaggi, talvolta ruoli, ma quasi mai veri e propri intrecci, che invece a parere dello studioso russo sono essenziali per l’attualizzazione dell’archetipo nella letteratura. Concordo con lui su questa presa di posizione, che a mio parere costituisce un progresso rispetto al pensiero junghiano.
Tra i seguaci di Jung che hanno portato la teoria degli archetipi in sede letteraria Meletinskij annovera Northop Frye, che a suo dire ha però il torto di tentare di espungere dalla teoria junghiana proprio la nozione fondamentale di inconscio collettivo, visto come sede individuale di una memoria comune, tramandata forse attraverso le generazioni per via biologica, come ipotizzava tentativamente Jung stesso.
La critica maggiore che Meletinskij muove a Jung è quella di ridurre le figure letterarie e gli intrecci alla vita interiore dell’anima o alla memoria di un rito (e qui cade puntualmente il riferimento, in parte naturalmente positivo, al Ramo d’oro e alla scuola “ritualista” di Cambridge). Questo approccio porta però, secondo lo studioso russo, a due esiti entrambi nocivi all’esercizio della critica: la modernizzazione del mito arcaico e l’arcaizzazione della letteratura di epoca moderna...

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Strumenti critici, Rivista quadrimestrale di cultura e critica letteraria
Eum Redazione

di Andrea Ghidoni, E.M. Meletinskij, Archetipi letterari, ed. italiana a cura di M. Bonafin, in "Strumenti critici, Rivista quadrimestrale di cultura e critica letteraria" 2/2018, pp. 429-436, doi: 10.1419/90529

Dopo la pubblicazione della Poetica storica della novella presso lo stesso editore (2014), Massimo Bonafin e Laura Sestri (rispettivamente nelle vesti di curatore e traduttrice) propongono al pubblico italiano (e occidentale, in generale, giacché si tratta della prima traduzione dal russo) un altro volume di Eleazar Moiseevic Meletinskij (1918-2005), dedicato questa volta agli archetipi letterari (O literaturnych archetipach, Moskva, Rossijskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 1994), ossia all’«origine di quelle costanti della narrazione che hanno composto le unità di una determinata ‘lingua degli intrecci’ della letteratura mondiale» (p. 1).
Dal breve cappello introduttivo con cui Meletinskij apre la propria trattazione, si intuiscono i due caratteri fondamentali e specifici dello studio. Da una parte, la focalizzazione sulle origini di quelle costanti narrative: Meletinskij resta fedele alle linee tratteggiate dalla poetica storica, quell’approccio interessato soprattutto alla genesi e all’evoluzione delle forme e degli elementi costruttivi del folklore e della letteratura e vivo negli studi letterari e culturologici russi fin dai tempi di A.N. Veselovskij (a cui non fu estraneo nemmeno M.M. Bachtin). Dall’altra, lo sguardo dello studioso ucraino-russo si sofferma non sugli archetipi intesi come figure ricorrenti o simboli universali, bensì sugli intrecci e sulle matrici remote e primitive di quegli intrecci che ancora riaffiorano nel romanzo moderno, tanto che i soggetti del libro vengono definiti dallo stesso autore come «archetipi degli intrecci». M. Bonafin, nell’introduzione, sottolinea che «per Meletinskij [...] gli intrecci, le trame, gli schemi narrativi non sono sempre secondari, cioè dipendenti da personaggi archetipici, ma possono a loro volta combinarsi in vario modo e dar vita a nuove entità o personaggi» (p. IX).
Meletinskij, nei primi paragrafi passa in rassegna le teorie degli archetipi che sono state formulate nei campi della psicologia, della letteratura, dell’antropologia. Prendendo le mosse dai lavori di C.G. Jung – pioniere moderno di questo campo di studi –, «[a]ppare subito palese che gli archetipi junghiani rappresentano, in primo luogo, soprattutto immagini, personaggi, nella migliore delle ipotesi ruoli e, in misura minore, intrecci» (p. 3). La distanza da Jung si misura non soltanto nella maggiore considerazione attribuita agli intrecci, ma anche nella descrizione del processo formativo degli archetipi: secondo Jung, «gli archetipi descrivono in immagini del mondo esterno gli avvenimenti psichici inconsci», per cui «la mitologia coincide del tutto con la psicologia, e la psicologia mitologizzata si rivela solo un’auto-descrizione [...] dell’anima».
Meletinskij respinge il riduzionismo junghiano e insiste sul fatto che «il mondo esteriore non è solo materiale per una descrizione di conflitti puramente interiori, e il percorso di vita dell’individuo si riflette nei miti e nelle fiabe sempre di più dal punto di vista della correlazione tra personalità e società» (p. 3). La critica all’archetipologia di Jung investe anche quei teorici che si sono mossi in direzioni simili (psicologismo, riduzione a «oggetti-simbolo»), tra i quali menzioniamo Neumann, Campbell, Frye, Baudouin, Durand.
Il fondamento della mitologia per Meletinskij è da ricercarsi nell’interazione dell’uomo con la natura e l’ambiente sociale, dai quali l’uomo per secoli non si è distinto come individualità. I primi eroi della narrazione folklorica – l’eroe e le sue funzioni narrative sono gli archetipi che prende in esame Meletinskij – non esplicitano elementi inconsci, rappresentano bensì il «collettivo tribale»: essi posseggono caratteri super- e trans-personali, ben visibili nella «libertà d’iniziativa» (oltre le possibilità naturali e sociali dell’individuo) che caratterizza quegli esseri mitici semi-divini che acquisiscono lo statuto eroico...

https://www.rivisteweb.it/doi/10.1419/90529

 
Letteratura e letterature
Eum Redazione

Elena Dardano ha recensito il volume "Archetipi letterari" per la rivista «Letteratura e letterature», 12, 2018, pp. 137-141.

http://www.libraweb.net/articoli.php?chiave=201809801&rivista=98

 
Acta fabula
Eum Redazione

di Antonella Sciancalepore, « Archétypes littéraires. Nouvelles perspectives pour l’anthropologie de la littérature », Acta fabula, vol. 18, n° 8, Notes de lecture, Octobre 2017, URL : http://www.fabula.org/revue/document10506.php, page consultée le 24 octobre 2017.

La redécouverte de Mélétinsky
Ce volume est la traduction italienne — ainsi que la première traduction dans une langue occidentale — du livre d’Eléazar Mélétinsky, O literaturnych archetipach (Moskva, Rossiskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 1994). La critique littéraire italienne a toujours eu un rapport privilégié avec les linguistes et les sémiologues russes. Certes, les travaux des folkloristes comme Propp ou des sémiologues comme Lotman ont été traduits aussi dans d’autres langues européennes, et ils ont été intégrés très tôt parmi les maîtres canoniques de la critique littéraire internationale (1). Cependant, d’autres protagonistes de la même période, malgré leur théorisation efficace et leur potentiel pour l’analyse littéraire et culturelle, ont été ignorés surtout à cause de leur inaccessibilité linguistique (2). Pour combler en partie ces lacunes, Massimo Bonafin, le directeur de publication, et Laura Sestri, la traductrice, s’efforcent de rendre accessible au public européen la bibliographie d’E. Mélétinsky et nous proposent ici un deuxième ouvrage, après celui qu’ils ont traduit et publié en 2014, à savoir Poetica storica della novella (Macerata, EUM). À la différence du volume de 2014, l’ouvrage en question n’est pas centré sur un seul genre, mais touche à une vexata questio de théorie littéraire, celle de la définition et de l’application dans l’analyse littéraire du concept d’archétype. C’est dans cet objectif qu’E. Mélétinsky divise son ouvrage en deux parties radicalement différentes : la première, strictement théorique, passe en revue les définitions antérieures et en donne une nouvelle, en s’appuyant sur des sources mythographiques et folkloriques ; la seconde présente une analyse de la phénoménologie des archétypes du récit héroïque dans la littérature russe du xixe siècle.
Comme l’explique Massimo Bonafin dans la Nota introduttiva (p. VII‑XXV), l’ « archétype » est un concept qui a suscité plusieurs débats entre chercheurs de disciplines très différentes tout au long du xxe siècle, depuis Carl G. Jung et Jessie Weston jusqu’à Northrop Frye et Gilbert Durand. Si l’ouvrage expose les positions de l’auteur face aux définitions antérieures d’archétype, l’originalité de la contribution d’E. Mélétinsky à ce débat réside surtout dans son intérêt pour les intrigues et les schémas narratifs auxquels les personnages participent. En effet, bien qu’E. Mélétinsky estime que les personnages précèdent les intrigues dans la genèse de la narration, il refuse de les considérer comme des éléments isolés, et se concentre plutôt sur leur flexibilité, leur rapport avec le contexte social, la cristallisation progressive, mais aussi la transformation des intrigues mythiques au fil du temps. Ainsi, E. Mélétinsky ne se préoccupe pas seulement de retracer les racines de la narration humaine et de les ancrer dans un passé figé, mais il reconnaît aussi l’évolution de la fonction et de la phénoménologie de ces modèles anciens, lesquels « non cessano di vivere e di offrire forme per pensare la realtà in modi sempre nuovi » (p. xiv).

Retour à l’anthropologie littéraire
La première partie (p. 190) porte sur l’origine des archétypes dans la mythologie et dans le folklore, et leur développement à travers les époques et les genres littéraires. Comme dans le volume sur la nouvelle, la traductrice Laura Sestri a opéré une division en paragraphes titrés qui facilite considérablement la lecture, et s’est appliquée à rechercher les sources des citations, qui dans l’ouvrage original sont souvent dépourvues de références ; de plus, elle a ajouté en annexe, à la fin du volume, un Indice dei nomi (p. 189‑201), qui fournit un aperçu de toutes les figures épiques et mythologiques citées par E. Mélétinsky. Le premier souci de E. Mélétinskyest de clarifier sa position face à la psychologie analytique et à la critique mythologique rituelle : l’auteur critique chez Jung et ses successeurs la réduction du mythe à un pur mécanisme psychologique, mais il stigmatiseaussil’approche des ritualistes comme Jessie Weston et de Northrop Frye. Bien qu’il reprenne les schémas identifiés par Durand et les autres, E. Mélétinskyrefuse tout réductionnisme, qui emmènerait « a una modernizzazione del mito arcaico e a un’arcaizzazione della letteratura di epoca moderna » (p. 12), et il revendique une contextualisation culturelle et sociale des archétypes.
Après cette pars destruens, E. Mélétinskyse penche sur les structures de base du mythe, les types de héros, les motifs de la biographie héroïque et les intrigues archétypales du récit héroïque. L’auteur identifie la cosmogonie en tant que mythe fondateur : dans ce récit de création de l’univers, le héros se situe du côté de la culture, en tant que représentant de la communauté humaine face au chaos et aux forces obscures de la nature. Le lecteur familiarisé avec les ouvrages d’E. Mélétinsky pourra reconnaître ici l’explicitation des principes de base par lesquels l’auteur interprétait le récit mythique dans son volume de 1986 sur la poétique de l’épopée (3). Dans un premier temps, E. Mélétinskys’occupe de définir les traits qui décrivent le héros et en caractérisent la biographie, tels que le combat contre le dragon ou contre un clan rival, l’initiation, l’enfance, les vertus divines, la fureur.
À partir de ce schéma de base, d’autres se développent au fil du temps, dont E. Mélétinsky identifie les traits persistants et les différences dans chaque genre : le mythe, le conte de magie, l’épopée archaïque, l’épopée européenne médiévale, le roman chevaleresque et picaresque, le récit bref, le drame théâtral, jusqu’au roman réaliste. Le corpus utilisé est impressionnant. Le seul reproche que l’on pourrait soulever à l’égard de cette démarche, c’est que l’analyse reste parfois en surface face à certains textes de ce corpus monumental (4). Mais, en dépit de ces imprécisions, le procédé présente plusieurs points d’intérêt. Premièrement, le lien entre mythe, récit bref et roman picaresque permet à l’auteur de détecter une figure qui se révèle décisive dans la caractérisation du conte héroïque, celle du trickster. E. Mélétinsky décèle l’origine de cette figure dans les mythes de fondation, où il est le double méchant et fripon du héros ; de plus, en désaccord partiel avec Bakhtine, il place l’émergence du carnavalesque dans la littérature bien avant la Renaissance. Un autre aspect original de la formulation d’E. Mélétinsky est que l’identification des motifs reçoit des explications sociales et culturelles, liées aux étapes du développement des communautés humaines (comme le passage de l’endogamie à l’exogamie) ou à la dynamique de conflits entre générations et classes sociales, alors que toute explication psychanalytique des liens familiers dans le folklore et le mythe est rejetée.
Dans les dernières pages de la première partie, l’auteur analyse les intrigues, c’est‑à‑dire les unités narratives universelles formées des actions qui impliquent le héros et les personnages liés à lui. Il prend ses distances par rapport à la démarche des folkloristes comme Propp qui ont tendance à ramener ces intrigues à l’intérieur de structures figées et inefficaces ; il pose donc l’accent sur la formation de la signification des intrigues plutôt que sur leur composition syntagmatique. Encore une fois, E. Mélétinskythéorise l’existence d’une intrigue archétypique, concept qui sera développé ensuite : la création du Cosmos à partir du Chaos, et le rôle du héros culturel dans la lutte constante entre ces deux forces. À l’intérieur des intrigues, il reconnaît toute une série de motifs, qu’il définit comme des micro‑intrigues ou des « mattoncini narrativi » (« briquettes narratives », p. 66) ; mais à nouveau, E. Mélétinsky en souligne l’évolution fonctionnelle à travers les genres et les époques. Cependant, l’auteur n’abandonne pas sa visée anthropologique, remarquant que, même au fond de ces transformations, « l’archetipo originale traspare in modo sufficientemente chiaro, poiché si trova, in un certo senso, al livello profondo della narrazione » (p. 85).

Les archétypes dans la littérature russe
La deuxième partie (p. 91‑188) change de tonalité : l’auteur passe à l’application des typologies d’intrigues archétypiques sur le roman russe classique. Alors que dans la première partie il avait montré l’ampleur interdisciplinaire de son regard, il mise ici sur une étude littéraire aiguë et ponctuelle. Dans son analyse de Pouchkine, Gogol, Dostoïevski, Biély et Tolstoï, E. Mélétinskymet en évidence la continuité ou la réfutation des intrigues archétypiques. Faire un résumé de toutes les caractéristiques identifiées par l’auteur dépasserait le cadre de ce compte rendu ; cependant, il serait utile d’en souligner les aspects clés. Ce qui intéresse l’auteur, c’est surtout le processus de démythisation du héros, qu’il constate à partir de Pouchkine, mais qui atteint son sommet chez Dostoïevski, où le personnage Stavrogin réunit les traits typiques du héros mythique et ceux de l’anti‑héros « sans qualités » du roman réaliste. Un autre trait qu’E. Mélétinsky tient à souligner dans son corpus est la présence du trickster et du carnavalesque. Gogol, par exemple, met en scène un vrai héros fripon de goût picaresque dans Lesâmes mortes ; Dostoïevski semble récupérer le couple mythique formé par le héros et son double, tout en le psychologisant ; Biély utiliserait le carnavalesque plutôt pour accentuer l’atmosphère démoniaque et symboliste de ses romans. D’après E. Mélétinsky, ces changements sont le miroir d’une transformation générale de l’intrigue de base de la narration humaine, voire de la lutte entre Cosmos et Chaos. Mais si le Chaos chez Gogol est transposé dans la vie quotidienne et ainsi banalisé, Dostoïevski fait revivre le souffle mythique du récit cosmologique et transpose le contraste Cosmos / Chaos dans l’intériorité psychologique des personnages. Tolstoï, en revanche, refuse explicitement ce schéma mythique et le remplace par l’opposition entre spontanéité et artifice.
***
L’impact le plus évident de cet ouvrage porte sans doute sur la mythocritique et la remise à jour de ces questions de base. Cette mouvance de la critique littéraire, qui consiste à étudier tout récit dans sa relation avec les modèles narratifs du mythe « structuré par des schémas et archétypes fondamentaux de la psyché du sapiens sapiens » (5), a connu des fortunes diverses depuis les années soixante‑dix. Bien que l’herméneutique littéraire ait intégré des concepts comme ceux d’archétype et de motif, l’utilisation de ces derniers a aussi souvent fait l’objet d’une certaine résistance. Le peu de travaux théoriques sur ces sujets en plus de l’origine extra‑littéraire de ces textes de référence, comme la psychologie et l’ethnographie, ont conduit à une mésinterprétation et une certaine méfiance à leur égard. E. Mélétinskyintervient donc pour réactiver les enjeux de la mythocritique, en corrigeant les avis du courant jungien grâce à sa sensibilité littéraire, et en rendant une certaine épaisseur historique à la théorisation de Frye.
Mais au‑delà du rôle de l’ouvrage dans le débat mythocritique, on ne peut qu’être reconnaissant à Massimo Bonafin d’avoir relancé, à travers la contribution diversifiée et originelle d’E. Mélétinsky, la constitution d’une boîte à outils efficace dans le domaine de l’anthropologie de la littérature, qui se caractérise par la mise en évidence des similarités entre les textes, leur longue durée et leur valeur en tant que produits de l’espèce humaine (p. xx). Le volume d’E. Mélétinsky intervient dans la constitution de cette anthropologie littéraire comme la démonstration d’un mélange possible et fructueux d’analyse de longue et de courte durée, d’histoire des formes narratives qui appartiennent au sapiens sapiens et d’analyse pointue des textes, de leur matérialité et de leur contexte socio‑culturel spécifique.

Notes
(1) Il suffit de feuilleter la Norton Anthology of Theory and Criticism (éd. V. B . Leitch, New York, WW Norton & co, 2001), vadémécum de critique littéraire pour les étudiants universitaires anglo‑américains : on n’y trouve que Eichenbaum, Bakhtine et Jakobson.
(2) C’est le cas aussi de Vesselovsky, qui, en dépit de son importance pour la constitution du formalisme russe, n’est accessible aux non‑slavophones qu’en italien.
(3) Vvedenie v istoričeskuju poetiku eposa i romana, Moskva, Nauka, 1986 ; traduction italienne : Introduzione alla poetica storica dell'epos e del romanzo, avec une introduction de Cesare Segre, Bologne, Il Mulino, 1993.
(4) Pour ce qui concerne l’épopée médiévale, l’on peut citer l’utilisation de Cúchulainn comme exemple de héros qui combat contre des ennemis monstrueux (p. 23), et une surprenante mention du héros‑bandit islandais Grettir comme d’un « respectable guerrier » (p. 33).
(5) G. Durand, « Pas à pas mythocritique », Champs de l’imaginaire, éd. D. Chauvin, Grenoble, ELLUG, 1996, p. 230. Un volume relativement récent et très utile à faire le point sur la mythocritique est Questions de mythocritique. Dictionnaire, sous la dir. de D. Chauvin, A. Siganos et Ph. Walter, Paris, Imago, 2005.

 
Iris
Eum Redazione

Di Philippe Walter, Iris, Faire corps, 38, 2017, p. 126

L’auteur Eleazar Moiseevic Meletinskij (1918-2005) est connu à travers le monde occidental pour ses études en littérature comparée, en mythologie et en folklore. Doublement victime de la répression stalinienne (politique en 1942, puis antisémite en 1949), il ne fut libéré de prison qu’en 1954. Les travaux de ce grand philologue et historien de la culture (qui fut l’un des disciples de Vladimir Propp décédé en 1970) sont mal connus en France. La notice bibliographique que lui consacre la BnF ne mentionne sous son nom qu’une seule contribution en français (son étude jointe à la traduction française de la Morphologie du conte de Propp intitulée « L’étude structurale et typologique du conte »), mais il faudrait y rajouter quelques articles parus en français dans la revue Diogène. C’est dire si la présente traduction (en italien) que lui consacre l’université de Macerata, par les bons soins de Massimo Bonafin, mérite de retenir notre attention. Elle livre le bilan des réflexions d’un poéticien doublé d’un anthropologue très ouvert et original. Signalons quatre autres de ses ouvrages traduits en italien : La struttura della fiaba (1977), Il mito (1993), Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo (1993), Poetica storica della novella (2014). On notera également une importante traduction anglaise : The Poetics of Myth (2000) où le mythe est analysé comme la vraie préhistoire de la « littérature ».
Une notice introductive due à M. Bonafin cerne la notion d’archétype littéraire telle que l’entend E. M. Meletinskij (p. vii-xxv). Les archétypes sont définis, par le chercheur russe, comme les éléments les plus anciens du discours narratif. Contrairement au concept psychanalytique d’archétype formulé par Carl Jung et rattaché à la sphère de l’inconscient collectif, E. M. Meletinskij replace l’archétype dans la sphère sociale et culturelle. L’essai de E. M. Meletinskij est divisé en deux parties. Dans la première (p. 1-90), adoptant une perspective anthropologique et littéraire, l’auteur accorde une grande attention à des scénarios rituels comme l’initiation, le meurtre sacrificiel en vue du renouvellement générationnel, le mariage et les fêtes saisonnières liées à l’éveil de la nature. L’auteur y décrit quelques personnages folkloriques et mythologiques (l’ancêtre démiurge, le héros fondateur de culture, le trickster) qui sont aux origines de l’archétype du héros ou de l’anti-héros. Il analyse les motifs récurrents des récits de création, de lutte du cosmos contre le chaos, du combat contre le dragon, des tâches impossibles, de la naissance miraculeuse, du mariage du héros avec la princesse (ou de l’héroïne avec le prince), de l’agonie et de la résurrection du dieu et du héros. Dans la deuxième partie du livre (p. 91-188), l’essayiste traite de la plus importante transformation des archétypes qu’on puisse étudier, selon lui, dans l’histoire littéraire. Il se fonde, pour cela, sur les classiques russes entre les xixe et xxe siècles (Pouchkine, Gogol, Dostoïevski, Tolstoï). Un ouvrage rare dans lequel les spécialistes de l’imaginaire trouveront une intéressante typologie des figures du récit mythique et une modélisation de leur transformation sous la pression de l’histoire culturelle.

http://ellug.univ-grenoble-alpes.fr/fr/publications/revues/iris/iris-n-38-2017-faire-corps-220613.kjsp?RH=ELLUGFR_PUBLI02R9

 
Enthymema
Eum Redazione

Di Alessio Cerreia Varale, Enthymema, XVII, 2017, pp. 323-326

A poca distanza dalla pubblicazione di Poetica storica della novella (2014) esce per i tipi eum, a cura di Massimo Bonafin e in traduzione di Laura Sestri, l’edizione italiana di uno degli ultimi lavori di Eleazar Moiseevič Meletinskij: O literaturnych archetipach.
Archetipi letterari si prefigge l’obiettivo di indagare in termini di tipologia le principali formazioni archetipiche, ricostruendo e mappando i rapporti di derivazione che tra queste intercorrono. A tal scopo, l’autore prende in considerazione testi letterari che provengono da mondi culturali diversi e lontani, al fine di verificare l’applicabilità delle categorie interpretative che propone.
Dal punto di vista della struttura, il testo si articola su due capitoli, ulteriormente scomposti dalla traduttrice in microsezioni tematiche. Il corpo del testo, nell’edizione italiana, è preceduto dalla Nota introduttiva del curatore ed è seguito da un utile indice dei nomi, che ospita una lista delle principali figure epiche e mitologiche di diverse culture (egizia, mesopotamica, slava, finnica, caucasica, siberiana, turca, mongola, indiana e cinese) utili ad agevolare la comprensione del testo e ad orientarsi intorno agli ampi orizzonti comparatistici.
La prima parte del volume si apre con un’esplicita dichiarazione di intenti:

L’argomento di questo studio è l’origine di quelle costanti della narrazione che hanno composto le unità di una determinata «lingua degli intrecci» della letteratura mondiale. Nei primi stadi dello sviluppo, questi schemi narrativi si distinguevano per un’eccezionale uniformità. Nelle fasi più tarde, invece, essi sono molto vari; un’attenta analisi, tuttavia, mostra che molti di questi schemi rappresentano in realtà un’originale trasformazione di elementi primitivi. Sarebbe in realtà opportuno definire questi elementi primitivi archetipi degli intrecci. (1)

Di queste righe sono due gli elementi che vanno presi in considerazione. Prima di tutto, l’obiettivo dichiarato dell’autore è quello di indagare i fondamenti della narrazione, per riuscire a comprendere l’universale linguaggio della letteratura. In secondo luogo, lo studio avverrà sull’asse della diacronia. In più, bisogna tener presente che se Jung e gli altri teorici citati parlando di archetipi «intendono anzitutto non gli intrecci, ma una selezione di figure chiave o di oggetti-simbolo, che generano diversi motivi» (12), per Meletinskij gli intrecci non sono sempre secondari (cioè dipendenti da personaggi archetipici), ma possono a loro volta combinarsi e dar vita a nuove entità o personaggi.
Esplicitate le intenzioni, Meletinskij presenta una rassegna delle principali teorie che hanno preso in esame gli archetipi. In particolare, si focalizza sulle teorie psicanalitiche di matrice junghiana e su quelle della scuola mitologico rituale (che ha partorito la raffinatissima critica archetipica di Northrop Frye). Da questi modelli lo studioso prende le mosse, per subito allontanarsene:

In generale, né le concezioni di Jung né quelle di Frye o di Bachelard-Durand possono essere accolte per via del loro riduzionismo psicologico e mitologico rituale, che porta ad una modernizzazione del mito arcaico e a un’arcaizzazione della letteratura di epoca moderna. (12)

Per evitare di cadere nel riduzionismo (psicologico o mitologico rituale), risulta dunque necessario svincolare gli archetipi dagli stringenti confini dell’inconscio collettivo e dalla forza centripeta delle istituzioni rituali, ricollocandoli entro la sfera sociale e culturale.
E proprio ai contesti sociali in grado di generare intrecci narrativi Meletinskij dedicherà ampio spazio di discussione. In particolare, tratterà dei riti di iniziazione, dell’uccisione dei capi anziani come avvicendamento generazionale, delle nozze e delle festività stagionali legate al risveglio della natura ecc. In più, lavorerà anche sul problema dei personaggi e sulle immagini ricorrenti nella letteratura. Nel primo caso, ricostruirà in termini tipologici le radici dell’archetipo dell’eroe e dell’antieroe. Nel secondo, prenderà in esame tutte quelle figure in grado di generare intrecci narrativi: atti di creazione, difesa del Cosmo dal Caos, lotta contro il drago ecc.
Nella seconda parte del volume, Meletinskij tenta di verificare la permanenza, la riattivazione e la trasformazione degli archetipi nelle opere degli scrittori russi del XIX e XX secolo. In particolare, si sofferma su cinque esponenti fondamentali: Aleksandr Sergeevič Puškin, Nikolaj Vasil'evič Gogol', Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Andrej Belyj e Lev Nikolàevič Tolstòj. Tra questi, maggiori attenzioni vengono riservate a Gogol' e Dostoevskij. Le opere del primo risultano straordinariamente ricche di motivi archetipici, compresi quelli mitologico-fantastici. Difatti, Gogol’ fa largo uso delle strutture dei generi arcaici (la fiaba di magia e di costume, la leggenda, l’epos eroico e il racconto soprannaturale), che si manifestano vistosamente sul piano dell’intreccio. In sintesi, se si analizza in maniera sequenziale il percorso creativo di Gogol’, è possibile, secondo Meletinskij, notare come esso riproduca a modo proprio «un percorso ontogenetico di trasformazione degli archetipi dal mito e dalla fiaba all’epos, e dall’epos alla vita sociale, alla novella e al romanzo di epoca moderna» (116). Gogol’ infatti

riduce in modo naturale il cosmico al sociale e all’individuale e, allo stesso tempo, individua la disgregazione della comunità epica degli uomini, non solo l’isolamento, ma anche l’estraneazione delle persone, rappresentata nella fase finale del piccolo uomo, vittima solitaria di una società fredda e spietata. (116)

Dostoevskij incomincia proprio dove Gogol’ si era fermato, rivitalizzando nuovi archetipi (a partire da quello fondamentale della lotta tra Cosmo e Caos), ma epurando le narrazioni dalle vesti mitologico fiabesche che caratterizzano le opere gogoliane. Infatti il grande romanziere

raffigurò sempre la condizione di lotta del bene contro il male, del cosmo (inteso da lui in senso cristallino) contro il caos (concentrato in disgregazione individualistica e borghese dell’unità popolare e perdita del suolo nazionale, non separato dalla fede religiosa), la condizione di lotta che ha luogo, inoltre, tanto nella famiglia quanto nella società e nell’animo dei suoi personaggi. (165)

Meletinskij rileva dunque la capacità della narrazione dostoevskiana di tracciare un’analisi della realtà russa in un momento di profonda frattura storico-sociale, toccando al contempo dimensioni cosmiche e universali e spingendo in tal modo alla rinascita di vecchi archetipi, carichi ora di ulteriore approfondimento.
Minor spazio di trattazione trovano invece Puškin, Belyj e Tolstoj. In Puškin lo studioso riscontra una generale tendenza alla demitologizzazione, mentre nel simbolismo di Belyj vede il coronamento di archetipi antichi, sebbene trasformati. Di Tolstoj l’autore esamina nello specifico Guerra e pace, cogliendovi una «demistificazione dell’eroismo personale dei così detti storici» e un generale «disconoscimento del loro ruolo». In questo modo, «l’eroe inteso proprio nel senso epico archetipico si trasforma, in Guerra e pace, in un autentico antieroe, e lo stesso romanzo, che si ama definire «romanzo-epopea», si trasforma in un certo senso, in un’anti-epopea». (188)
Per un’adeguata collocazione dell’opera, è utile ricordare che il lavoro di Meletinskij si colloca in una tradizione di studi specifica, quella veselovskoviana, che recepisce tramite il suo maestro diretto: Victor Maksimovič Žirmunskij (1891-1971). Come è noto, i lavori di Veselovskij sono orientati verso lo studio delle società primordiali, delle forme universali e delle protoforme del pensiero, dell’attività verbale e rituale dell’umanità, e proprio in questi termini Meletinskij tenterà di interpretare il testo letterario. In secondo luogo, come fa notare Massimo Bonafin nella Nota introduttiva, bisogna fare i conti con il termine archetipo, che presenta alcune difficoltà sostanziali «intanto dovute al diverso spettro semantico che ha la parola nella lingua d’origine e in quella di arrivo» e poi «anche all’eco di interpretazioni e discussioni che hanno attraversato la storia della critica letteraria e le teorie della letteratura e della cultura nel XX secolo». (VII) In terzo luogo, bisogna tener presente che Meletinskij, con questa ricerca, cerca di inserirsi in un dibattito già ben avviato, che sicuramente parte da Jung, ma che coinvolge studiosi di diversa provenienza (per esempio Charles Baudouin o Amy Maud Bodkin). In più, come sottolinea Bonafin in un altro suo recente saggio (Materiali per un dialogo postumo tra Northrop Frye e Michail M. Bachtin) potrebbe tranquillamente entrare in relazione dialettica con la critica occidentale. Quindi, risulta necessario leggere Archetipi letterari come se fosse una voce in dialogo con altre voci, magari non direttamente rievocate, ma certamente in relazione dialogica per temi e questioni.
Sottolineiamo infine l’efficacia dello stile argomentativo di questo lavoro che integra doviziose e puntuali analisi su specifici episodi letterari alle più generali riflessioni teoriche, dimostrando concretamente l’applicabilità euristica su materiali individuali delle ipotesi di ampio respiro, unendo insomma virtuosamente, per dirla in termini vichiani, filologia e filosofia.

Bibliografia

Bonafin, Massimo. “Materiali per un dialogo postumo tra Northrop Frye e Michail M. Bachtin”. L’immagine riflessa. Testi, società, culture XXVI (gennaio-dicembre 2016). Stampa.

---. Nota introduttiva. Poetica storica della novella. Di Eleazar Meletinskij. Ed. Massimo Bonafin. Trad. Laura Sestri. Macerata: eum, 2014. I-XXII. Stampa.

---. “Rileggere Meletinskij e la poetica storica della novella”. Le forme e la storia 6 (2013): 19-26. Stampa.

Bronzini, Giovanni Battista. “Matrice romantica e sviluppi antropologici della ‘Poetica Storica’ di A. N. Veselovskij”. La Ricerca Folklorica 33 (1996): 3–10. Stampa.

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Jung, Carl Gustav. L’analisi dei sogni. Gli archetipi dell’inconscio. La sincronicità. Torino: Bollati Boringhieri, 2011. Stampa.

Meletinskij, Eleazar Mooisevič. Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo. Bologna: il Mulino, 1993. Stampa.

---. “La Poétique Historique Du Folklore Narratif”. Ethnologie Française 26.4 (1996): 611–18. Stampa.

---. Poetica storica della novella. Macerata: eum, 2014. Stampa.

Mirskij, Dmitrij Petrovič. Storia della letteratura russa. Milano: Garzanti, 1990. Stampa.

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