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Cenerentola a scuola

Il dibattito sull’insegnamento della storia dell’arte nei licei (1900-1943)

Susanne Adina Meyer

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24,00 €

Indice

 
Capitolo primo. Il dibattito sull’insegnamento della storia dell’arte prima della Riforma Gentile

1. «Per amare bisogna conoscere»
2. Per un insegnamento «elementare, non superficiale»
3. «La storia dell’arte e l’arte di comporre»
4. «Opportuno?»
5. Per l’insegnamento della storia dell’arte «in tutti i paesi ovunque in Europa»

Capitolo secondo. Il dibattito durante il ventennio fascista (1923-1943)

1. Gli insegnanti di storia dell’arte nei licei: la questione delle competenze
2. Sussidi per l’insegnamento della storia dell’arte
3. «Come si guarda un’opera d’arte»
4. Gli anni del ministero Bottai

Antologia di testi 1899-1942

1. Enrico Panzacchi, La storia dell’arte nelle scuole, 1899
2. Ugo Ojetti, La storia dell’arte nelle scuole, 1899
3. Adolfo Venturi, Per l’Arte italiana, 1899
4. Mario da Siena [Mario Martinozzi], Per l’arte nostra, 1900
5. Angelo Conti, L’arte educatrice, 1900
6. Egidio Bellorini, La storia dell’arte italiana nelle Scuole Secondarie e Normali, 1900
7. Mario Martinozzi, Sull’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole secondarie classiche: relazione di prova pratica, 1900
8. Serafino Ricci, Per la storia dell’arte nei licei e nelle scuole superiori d’Italia, 1901
9. Angelo Conti, Gli artisti nelle scuole, 1901
10. Graziano Paolo Clerici, L’insegnamento della storia delle belle arti nei licei (a proposito di una recente circolare del Ministro dell’Istruzione), 1901
11. Carlo Contessa, Per un corso libero di storia dell’arte italiana nei Licei. Relazione di esperimento fatto nel R. Liceo C. Botta in Ivrea, 1901
12. Lugi Venturini, Per una cattedra ambulante di storia dell’arte, 1901
13. Serafino Ricci, La storia dell’arte nei licei. Osservazioni e proposte, 1901
14. Umberto Gnoli, La storia dell’arte nei Licei, 1901
15. Serafino Ricci, L’insegnamento della storia dell’arte nei licei, 1901
16. Guido Mazzoni, Cultura degli Insegnanti; non cattedre e manuali nuovi, 1902
17. Pasquale Papa, L’insegnamento della storia dell’arte nei licei. Lettera al prof. I.B. Supino, 1903
18. Giuseppe Saverio Gargàno, Per l’insegnamento della storia dell’arte nei Licei, 1903
19. Pietro D’Achiardi, L’insegnamento della storia dell’arte nei Licei e la lettera del prof. Papa al prof. I.B. Supino, 1903
20. Atti del Congresso internazionale di scienze storiche (Roma, 1-9 aprile 1903), 1905
21. Giovanni Gentile, L’insegnamento della storia dell’arte ne’ licei e l’arte del comporre, 1903
22. Ermenegildo Pistelli, L’arte nella scuola, 1903
23. Giulio Urbini, Per l’insegnamento della storia dell’Arte, 1903
24. Giovanni Crocioni, L’educazione estetica nelle scuole secondarie, 1903
25. Italo Mario Palmarini, Per le cattedre di Storia dell’arte, 1906
26. Mario da Siena [Mario Martinozzi], Domande didattiche, 1906
27. Adolfo Venturi, Per la riforma dell’insegnamento secondario, 1906
28. Rodolfo Renier, Storia dell’arte e letterature moderne nelle scuole medie, 1906
29. Mario da Siena [Mario Martinozzi], Monopolio Venturi, 1906
30. Giuseppe Prezzolini, Per la storia dell’arte e per la sincerità, 1906
31. Giulio Natali, L’insegnamento dell’italiano e della storia dell’arte nelle scuole medie, 1907
32. Carlo Bricarelli, La storia dell’arte nelle scuole, 1908
33. Luigi Serra, L’insegnamento della storia dell’arte nei licei, 1908
34. Orlando Grosso, Riordinamento delle Pinacoteche ed il problema dell’insegnamento della Storia dell’arte, 1908
35. Alberto Calza Bini, Per l’insegnamento della storia dell’arte nei Licei e Istituti tecnici, 1911
36. Serafino Ricci, L’insegnamento della storia dell’arte nel liceo moderno, 1911
37. Risoluzione del X Congresso internazionale di Storia dell’arte, 1912
38. LAMPI [pseudonimo di Lorenzo Mina?], L’insegnamento della storia dell’arte nei licei classici, 1924
39. Raffaello Giolli, La storia dell’arte nel liceo, 1926
40. Lionello Venturi, L’insegnamento della storia dell’arte nei licei, 1926
41. Augusto Guzzo, La storia dell’arte nelle scuole, 1926
42. [Giuseppe De Logu], Il Gabinetto di Storia dell’arte, 1927
43. Pietro Toesca, Una lezione su Giotto, 1929
44. Adolfo Venturi, Discorso sull’insegnamento della storia dell’arte nei licei, 1930
45. Pietro Toesca, Saper Vedere, 1932
46. Mario Martinozzi, Per l’insegnamento della storia dell’arte, 1936
47. Paola Della Pergola, Ancora per l’insegnamento della storia dell’arte, 1936
48. Augusto Premoli, La storia dell’arte, 1938
49. T.R., L’insegnamento della storia dell’arte, 1938
50. P. [Mary Pittaluga], La storia dell’arte nelle magistrali, 1939
51. Luigia Maria Tosi, La storia dell’arte, 1939
52. Rezio Buscaroli, L’insegnamento della storia dell’arte e i valori spirituali dell’italianità, 1939
53. Corrado Corazza, L’antico e il moderno, 1940
54. Mary Pittaluga, Gl’insegnamenti, i programmi e gli orari: Storia dell’arte e Ead., I libri di testo: Storia dell’arte, 1941
55. Giulio Carlo Argan, L’insegnamento della storia dell’arte nel liceo classico, 1942

Indice dei nomi
 
Note
Biblioteca di / Library of «History of Education & Children’s Literature» 22
Collana diretta da Roberto Sani e Anna Ascenzi / Series directed by Roberto Sani and Anna Ascenzi
  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-821-2
  • Codice ISBN (PDF) 978-88-6056-822-9
  • Codice ISSN (print) 2421-2784
  • Numero pagine 484
  • Formato 14x21
  • Anno 2023
  • Editore © 2023 eum edizioni università di macerata
Letteratura artistica Cross-cultural Studies in Art History Sources
Eum Redazione

di Giovanni Mazzaferro, Letteratura artistica Cross-cultural Studies in Art History Sources, 29 settembre 2023

Roberto Sani
La Storia dell’Arte come disciplina scolastica
Dal primo Novecento al secondo dopoguerra, Macerata, Edizioni Università di Macerata, 2022

Susanne Adina Meyer
Cenerentola a scuola
Il dibattito sull’insegnamento della storia dell’arte nei licei (1900-1943), Macerata, Edizioni Università di Macerata, 2022

L’Amica geniale
Se avete letto l’Amica geniale (o, meglio ancora, Storia del nuovo cognome) avrete ben presente la vicenda di Elena (‘Lenù’) che, provenendo da un rione periferico e degradato di Napoli, frequenta il liceo classico per merito scolastico. Tralascio, naturalmente, tutta la storia. Una cosa, tuttavia, merita di essere sottolineata. Più o meno rapidamente, Elena Ferrante (o chi per lei/lui) parla delle materie con cui Lenù si confronta a scuola; praticamente di tutte, dal latino al greco, dalla fisica alla matematica, dall’italiano alla religione, tranne due (sempre che ricordi bene): la ginnastica e la storia dell’arte. Naturalmente siamo di fronte a una finzione letteraria, ma è curioso che anche qui l’assenza della storia dell’arte la releghi – di fatto – a quel ruolo di ‘Cenerentola’ o di parente povera rispetto alle altre materie curricolari che è ampiamente trattato nei due volumi, uno a firma di Roberto Sani e l’altro di Susanne Adina Meyer, oggetto di questa recensione.

Perché due libri in una volta sola? Perché sono usciti praticamente uno a ruota dell’altro (prima Sani, poi Meyer), perché entrambi fanno seguito a una giornata di studi tenutasi all’Università di Macerata su La storia dell’arte tra i banchi di scuola. L’insegnamento storico-artistico nelle scuole secondarie italiane tra Otto e Novecento e perché, soprattutto, indagano volutamente lo stesso fenomeno con un approccio diverso: da un lato (è il caso di Roberto Sani) con l’occhio dello storico dell’educazione (o ‘della scuola’, se preferite), dall’altro con la prospettiva di una storica dell’arte (Susanne Adina Meyer). Inevitabilmente i fatti raccontati sono più o meno gli stessi, e tuttavia è fruttuosa questa complementarietà che si sostanzia probabilmente in maniera più vistosa nelle appendici documentarie delle rispettive opere. Sani presenta infatti una ricca raccolta normativa (che va dai regi decreti alle circolari), mentre Meyer opta per una nutrita antologia di scritti di storici dell’arte sull’argomento. In realtà entrambi gli autori non restano chiusi nel loro orticello, ma attingono ampiamente a quanto, tecnicamente, di competenza dell’altro e quindi propongono un approccio pluridisciplinare che, in tutta onestà, piace, e non poco. Da un punto di vista sostanziale, semmai bisognerà ricordare che mentre La Storia dell’Arte come disciplina scolastica si estende sino al 1968, che segna una data simbolicamente spartiacque, dopo la quale molti dei problemi e delle priorità dell’insegnamento saranno ridefiniti in seguito alle proteste scolastiche di quegli anni, Meyer, invece, si ferma prima, e giunge sino alla fine della Seconda guerra mondiale.

Una storia fascista?
Si può dire, semplificando tantissimo, che quella dell’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole medie (come si chiamavano allora; negli istituti superiori diremmo oggi) e soprattutto nei licei sia, per larga parte una storia fascista? In termini cronologici, probabilmente sì: basti pensare che l’introduzione della disciplina come obbligatoria nei licei classici (e nei licei ‘femminili’, rapidamente scomparsi) risale alla riforma Gentile del 1923 e che ancora nel 1942 Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, progettava una radicale riforma dell’insegnamento (che peraltro prevedeva l’accorpamento della storia dell’arte con l’insegnamento della letteratura, in una sorta di passo indietro che avrebbe avuto effetti esiziali). Non deve stupire, peraltro, che molti dei protagonisti che incontriamo con ruoli tutt’altro che irrilevanti nel dibattito siano storici dell’arte che poi, caduto il fascismo, operarono scelte politiche ben diverse: basti pensare a Giulio Carlo Argan, successivamente sindaco di Roma, eletto come indipendente in Parlamento nelle liste del Partito comunista italiano. E senza dubbio impressiona questa realtà che (a me) pare distopica, in cui ci si accalora su programmi, cattedre di ruolo o meno, e mi si consenta, anche ‘quote’ lavorative riservate alle donne, mentre nel frattempo le leggi razziali hanno portato all’espulsione dei docenti e degli studenti di origine ebraica dalle scuole del Regno. E – mi si lasci ancora dire – è bello incontrare Lionello Venturi prima del 1931 e poi soltanto nel dopoguerra, come conseguenza delle sue scelte politiche, a memoria del fatto che ci fu chi ebbe il coraggio di fare la cosa giusta, anche quando questo comportava la fine di una carriera professionale e sarebbe stato senza dubbio più facile adeguarsi alla massa.

Ciò detto, no, quella dell’insegnamento della storia dell’arte non è una storia ‘esclusivamente’ fascista. Anzi, direi che, all’inizio è una vicenda ‘liberale’, o, se si preferisce, una disputa fra ‘modernisti’ e ‘antimodernisti’. Lo stesso Gentile, ad esempio, aveva preso decisamente posizione a favore dell’introduzione dell’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole medie sin dal 1903. Nel settembre 1900 l’allora Sottosegretario di Stato all’istruzione, Enrico Panzacchi, aveva diramato una circolare con cui si consentiva la tenuta (a titolo sperimentale) di corsi facoltativi della disciplina nei licei classici. «L’educazione dell’immagine, del sentimento, del gusto – scriveva Panzacchi nella circolare – è parte importante dell’educazione liberale». Pur titolare di una cattedra di estetica e storia dell’arte moderna presso l’Università di Bologna, Panzacchi era per formazione un letterato, e la circolare non lascia dubbi su quanto fosse lontano dal considerare la disciplina come qualcosa di scientificamente indipendente dalla letteratura: «La storia delle arti è così intimamente congiunta con la storia civile e con la letteraria, che, non i pretesti, ma le ragioni e le occasioni di passare da questa a quelle si offrono continuamente. Per citare solo qualche esempio, dalle pagine dell’Iliade si leva maestosa l’immagine di Giove che ispirò Fidia; nel verso del «Poeta sovrano» piange Niobe la strada dei figliuoli prima che piangesse visibilmente nel marmo greco […] Si aggiunga che nella nostra storia letteraria molti artisti figurano quali scrittori insigni: Leon Battista Alberti, Filippo di Ser Brunellesco, Leonardo, Michelangiolo, Benvenuto Cellini, il Vasari, Salvator Rosa; e la bella serie, continuando, viene a chiudersi al tempo nostro con Massimo D’Azeglio e con Giovanni Dupré (Sani, p. 160). Ed è senza dubbio richiamandosi a quest’ultimo aspetto che Panzacchi pubblicò, nel 1902, Il Libro degli Artisti. Antologia (probabilmente indirizzato ai suoi studenti universitari e, genericamente, a un pubblico colto). Siamo bel lontani da quanto scriveva, nel 1899, l’altro titolare di una cattedra universitaria di storia dell’arte, ossia Adolfo Venturi, il quale già rivendicava invece la natura indipendente del linguaggio artistico: «L’arte è un linguaggio che l’Italia crede di comprendere senza la conoscenza del suo dizionario, anzi del suo alfabeto» (Meyer, p. 24).

Prima della riforma Gentile
Nell’impossibilità di poter dar conto dei dibattiti che si succedettero intorno al 1903, richiamerò alcuni aspetti fondamentali. Non bisogna certo pensare che l’introduzione della storia dell’arte nei licei non andasse incontro a resistenze: alcune appaiono di natura tecnica (come l’aggravio delle ore di lezione per gli studenti e quello economico per lo Stato, senza considerare – un tema assai dibattuto – la necessità di riuscire a capire quale insegnante dovesse tenere le lezioni: quello di italiano, ad esempio, o una figura specializzata). Ci sono rifiuti, tuttavia, che non ci aspetterebbe, come quello di Igino Benvenuto Supino; ugualmente stupisce che uno dei centri in cui l’opposizione era più forte fosse Firenze (e qui bisogna ricordare la figura di Ermenegildo Pistelli). Si è già detto che, sin dal 1903, Giovanni Gentile si schierò a favore dell’inserimento della materia, sostenendo (a proposito del sovraccarico di ore per studenti e finanze statali) che «se il liceo ha da essere scuola di cultura generale, e non può avere altro valore, può esser questione di misura, non di numero di materie; le quali devon essere tante quante ne occorrono alla cultura dello spirito, cioè quante sono le forme e le attività dello spirito» (Sani p. 16, Meyer, p. 49). È fuori di dubbio che, non solo in questi anni, ma anche successivamente, si stagli come grande difensore dell’insegnamento di storia dell’arte la figura di Adolfo Venturi, titolare della cattedra alla Sapienza, ma soprattutto della Scuola di perfezionamento in storia dell’arte medievale e moderna, di durata triennale, successiva alla laurea.

Venturi emerge non solo perché ha una visione chiarissima dei termini del problema, che parte dalla rivendicazione della specificità della materia, che ha come scopo insegnare a ‘leggere’ un’opera d’arte (nel frattempo Panzacchi parlava di ‘ascoltare’ le opere, e non si tratta di semplice variante lessicale), ma perché ha ben presente che l’insegnamento della disciplina è strettamente collegato con quello universitario, che deve creare i nuovi professori destinati a rivolgersi agli studenti insegnando una grammatica per immagini. Ma, soprattutto, Venturi non mancherà mai, anche dopo l’entrata in vigore della riforma, di sostenere i suoi allievi (e, in particolare, le sue allieve, una fra tutte Mary Pittaluga) e di farsi portavoce, direttamente o indirettamente, delle loro istanze maturate sul campo, insegnando nei licei.

Programmi
La storia dell’insegnamento della storia dell’arte, una volta entrata in vigore la riforma Gentile, si sostanzia in una serie di problemi che spesso si trascinano per decenni, a volte trovando soluzione soltanto nel secondo dopoguerra. Si tratta di molteplici aspetti che richiamerò brevemente e che sia Sani sia Meyer non mancano di affrontare nei rispettivi lavori.

Successivamente all’approvazione della riforma fu Ugo Ojetti a stilare i primi programmi per l’insegnamento, che era inizialmente distribuito sulle classi dalla seconda alla terza liceo per due ore settimanali; successive modifiche portarono alla riduzione a un’ora di lezione in seconda e tre in terza, per poi passare a un assetto con un’ora in prima e seconda e due in terza. Già le variazioni occorse nelle tabelle orarie nel corso dei decenni basterebbero per spiegare la continua difficoltà ad adattare i programmi. Concretamente, quello dei programmi fu uno degli aspetti più dibattuti e più soggetti ad aggiustamenti. È indicativo come, sin dall’inizio (a dire il vero proprio nell’ultimo rigo del testo) comparisse l’indicazione che era specifico compito del docente insegnare «come si guarda un’opera d’arte». Qui sta il vero nocciolo della questione: le riserve sui programmi riguardarono quasi sempre la loro estensione eccessiva e il ricorso a un nozionismo ‘appiccicaticcio’, che impediva all’alunno la comprensione intrinseca dell’opera. Tutto quanto storicamente successivo si può inquadrare in questo contesto, ossia nel tentativo (evidentemente mai pienamente raggiunto) di sfoltire le indicazioni ministeriali e di proporre allo studente le indicazioni fondamentali, rifuggendo dall’ «imparaticcio a memoria». Da ricordare, peraltro, che, quando divenne obbligatoria, la storia dell’arte copriva un arco temporale che andava dall’arte paleocristiana in poi, con esclusione di egizi, arte greca, romana e etruschi, che restavano di competenza del docente di letteratura. Solo negli anni Trenta, quando il Ministero era già divenuto dell’Educazione nazionale, anche l’arte antica fu riversata nella disciplina, senza peraltro adeguamento di orari e con la necessità, quindi, di selezionare ancor più la massa delle informazioni.

Ruolo dei docenti
Sembra banale a dirsi, ma per insegnare storia dell’arte ci volevano professori adatti. La riforma Gentile rese sì obbligatorio l’insegnamento della materia, ma non creò cattedre di ruolo ad hoc. Per non appesantire troppo le casse dello Stato si scelse – come scrive Sani (p. 43) – che «l’insegnamento (…) sarebbe stato «conferito per incarico» ogni anno «dal preside» dell’istituto e remunerato, al pari delle supplenze, con una retribuzione di «Lire 350 annue» limitatamente ai «mesi di lezione e di esami, e sempre per il servizio effettivamente prestato».» È appena evidente che tutto ciò voleva dire creare docenti di serie A (quelli di ruolo, pagati meglio e che maturavano il diritto alla pensione) e di serie B (pagati peggio e senza diritto alla pensione). Eppure, i criteri forniti ai presidi per la scelta dei docenti a incarico si mostravano lungimiranti, chiarendo che a essere cooptati dovevano essere preferenzialmente coloro che avevano seguito la scuola di perfezionamento di Adolfo Venturi a Roma, i dottori in lettere con tesi in storia dell’arte e massimo dei voti, i dottori in lettere che vantavano pubblicazioni in materia, gli ispettori e i direttori delle regie gallerie. Il trattamento economico, tuttavia, faceva sì che a accettare l’incarico fossero solo coloro che vivevano l’insegnamento come una missione (e fra le primissime si ricordano molte allieve del Venturi). Gli altri miravano a impieghi nelle soprintendendenze e nei musei. Restarono, quindi, problemi di reclutamento che portarono a incaricare figure professionalmente non preparate. Raffaelle Gioli, allievo di Longhi, riassumeva la questione con una massiccia (e normale per i tempi) dose di misoginia, come da citazione operata da Meyer (p. 87): «La disciplina nuova deve entrare in pieno nelle scuole: con insegnanti seri e competenti, non supplenti razzolati disperatamente, ma insegnanti di carriera, non signorine sentimentali ma storici di temperamento» (siamo nel 1926).

Le vicende successive sono troppo lunghe per essere riassunte; basti pensare che a un certo punto, per essere incaricati, bastò la laurea in lettere, anche se non era ancora obbligatorio l’esame di storia dell’arte. Bisognò attendere il 1957 per vedere le prime cattedre di ruolo e, ciò nonostante, continuarono a esserci ancora a lungo differenze di trattamento (ad esempio, il docente di storia dell’arte non presenziava all’esame di maturità, come quello di educazione fisica).

Dotazioni scolastiche
Quasi subito fu chiaro che per insegnare storia dell’arte occorreva mostrare agli alunni le opere e non solo parlarne loro. Da un lato furono i libri di testo, a volte organizzati come atlanti, a fornire una prima rassegna iconografica; dall’altro lo Stato intervenne gradualmente per consentire di creare negli istituti aule dedicate alla storia dell’arte, con dotazione di una biblioteca dedicata, di proiettori e diapositive (o cartoline). Come logico in queste situazioni, vi furono forti disparità geografiche in merito, ma nel complesso si può dire che quello della dotazione scolastica fu forse il tema che fu affrontato meglio. Da ricordare, in proposito, che nel 1924 Mary Pittaluga pubblicò un’utilissima Guida alla scelta del manuale illustrativo in cui l’autrice indicava una lunga lista di novecento illustrazioni tratte dalle cinquemila del catalogo Alinari che meritavano di far parte della dotazione del laboratorio di storia dell’arte. Pittaluga, di fatto, determinò un canone, a cui ci si attenne per decenni (con opportune modifiche). I primi due libri di testo sulla materia furono pubblicati già nel 1924; si trattava de L’Arte italiana. Disegno storico di Adolfo Venturi, per i tipi della bolognese Zanichelli e de L’Atlante di storia dell’arte italiana di Ugo Ojetti e Luigi Dami, edito dalla milanese Treves. Ciò detto l’insoddisfazione nei confronti del libro di testo, considerato istintivamente la panacea di tutti i mali non è mai mancata, ed è doveroso, in proposito, ricordare la durezza con cui il corpo insegnante stroncava la loro qualità in un’inchiesta promossa nel 1959 da Sele Arte e Critica d’arte, le due riviste all’epoca dirette da Carlo Ludovico Ragghianti. Lo ricorda Roberto Sani a p. 129 del suo volume. Temo che analoga domanda, rivolta oggi al corpo docente, otterrebbe analogo risultato (e non solo per qualità o difetti intrinseci ai testi)

Le donne insegnanti
Un aspetto particolarmente interessante è legato al ruolo delle donne nell’ambito dell’insegnamento della materia. Secondo dati forniti da Meyer (p. 80), nell’anno scolastico 1923-24, subito dopo la riforma Gentile, i professori incaricati furono 134, di cui 31 donne (il 25% circa). Nei licei classici, nello stesso anno, le donne rappresentavano il 14% dei docenti incaricati. Appare quindi evidente la presenza di un consistente nucleo femminile all’interno del corpo insegnante. Forse è anche per questo che – come abbiamo visto – Raffaele Gioli parlava dell’inadeguatezza delle ‘signorine’ che salivano in cattedra; del tutto a sproposito, peraltro, perché ben nove di quelle ‘signorine’ provenivano dal Corso di perfezionamento di storia dell’arte diretto da Adolfo Venturi a Roma. Proprio Venturi ebbe a difenderle a spada tratta, definendole (p. 91) «martiri dell’insegnamento della disciplina», per aver accettato l’incarico a condizioni giuridiche ed economiche così svantaggiose, per pura passione. La presenza femminile nell’insegnamento della storia dell’arte si andò tuttavia a scontrare ben presto con la tendenza del fascismo ad espellere gradualmente le donne dal mondo del lavoro. Intendiamoci, nessuna ribellione. Ancora nel 1941, commentando modifiche ai programmi intervenute nel 1936, Pittaluga scriveva convintamente: «Di tutti i programmi per la storia dell’arte succedutisi dal ’23, questo – che tuttora vige – è certamente il migliore: vive in esso quel concetto unitario della cultura, dell’educazione dello spirito, che, implicito nella riforma Gentile, aveva trovato nel clima del Fascismo ampia possibilità di sviluppo» (p. 130). Tuttavia, sin dal 1939 suggeriva l’insegnamento della storia dell’arte anche negli istituti magistrali, da cui uscivano maestri e maestre delle scuole elementari. In realtà, come risulta da lettera a Venturi del 1938, la speranza era che le docenti, che si apprestavano a non essere prese in considerazione come insegnanti di ruolo in una riforma che si ventilava all’epoca e che poi non concretizzò, potessero ricollocarsi almeno nell’ambito delle magistrali femminili (p. 138).

Ogni velleità di riforma (in questo caso fortunatamente, posto che si ragionò a lungo di un ritorno all’antico, con l’insegnamento della storia dell’arte accorpato in un’unica cattedra di Lettere italiane, storia e storia dell’arte) fu abbandonato con il procedere degli eventi bellici.

Il dopoguerra
Come detto, il periodo che va dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1968 è preso in considerazione solo da Roberto Sani. Accanto all’urgenza della ricostruzione delle scuole e alla ricostituzione dei fondi didattici, a cui furono dedicati – come logico – i primi sforzi, si assiste al risorgere di un genuino spirito riformatore, di ispirazione degasperiana, resa possibile anche dalla lunga durata del dicastero di Guido Gonella al Ministero della Pubblica Istruzione. Alcuni nodi vennero finalmente risolti, come l’istituzione di cattedre di ruolo per la disciplina, stabilita nel 1948, ma tecnicamente partita solo nel 1957, e limitatamente a sole 25 posizioni. Fu creata una commissione ministeriale che promosse una vasta inchiesta sulla scuola italiana, tenutasi nell’autunno del 1948, con lo spirito di coinvolgere il maggior numero possibile di attori potenzialmente interessati. Si segnalò che l’insegnamento riferito soltanto all’arte italiana, senza alcun riferimento a artisti stranieri, era ormai ampiamente superato dai tempi, si riscontrò l’insufficienza dei libri di testo (o di molti di essi) dedicati alla disciplina. La storia dell’arte, nei progetti iniziali, veniva inserita non solo nel classico, ma anche al liceo scientifico (con la denominazione Disegno e storia dell’arte), alle magistrali (stesso nome) e al Liceo artistico, in cui la materia era proposta in tutti e cinque gli anni di corso (p. 109). La redazione dei programmi (in cui ebbe un ruolo centrale Giulio Carlo Argan) tornò a ribadire l’importanza di fornire agli alunni la capacità di leggere e interpretare opere esemplari, che doveva prevalere sulla mera informazione nozionistica. In realtà, la fine della stagione degasperiana e mutate condizioni politiche portarono al risultato che l’iter parlamentare della riforma non fu nemmeno cominciato e tutto si concluse con un nulla di fatto.

Non che, successivamente, siano mancati altri tentativi, destinati comunque al fallimento. Sani ha tuttavia ben chiaro che la fine di quell’esperienza aprì un periodo in cui, politicamente, più che di riforme si parlò di corretta gestione amministrativa della scuola, con l’assunzione di misure isolate ed episodiche (a volte fra loro in contraddizione) e poca visione di lungo periodo. Sicché l’aspetto forse più importante da ricordare, prima dello ‘scossone’ del 1968 è la creazione di associazioni di docenti medi, aperte anche a esterni, che, in sostanza, servirono all’autorappresentazione di una categoria, le cui istanze, peraltro, rimasero poco ascoltate: è il caso dell’A.N.I.M.S.A (Associazione Nazionale Insegnanti Medi di Storia dell’Arte), riferita in via prioritaria ai docenti di storia dell’arte del liceo classico. È soprattutto in questo ambito che ebbe modo di proseguire il dibattito interno non solo sul ruolo dell’insegnante, ma anche sulla tipologia dell’insegnamento, in un lungo processo che, qui, per brevità non ho modo di ricordare, ma che Sani riporta nel dettaglio.

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Orizzonti della Marca
Eum Redazione

La storia dell’arte, la “Cenerentola” del liceo

Di Alessandro Feliziani, Orizzonti della Marca, Orizzonti con Libri, 10 giugno 2023, pag. VII

È assai raro che due libri, di autori diversi, possano essere presentati con un unico articolo. Questa volta, però, è indispensabile farlo. Roberto Sani e Susanne Adina Meyer, entrambi docenti dell’Università di Macerata (Sani è stato anche rettore dell’ateneo), sono autori di due volumi che di fatto costituiscono due facce di una stessa “medaglia”, in questo caso “coniata” dalla casa editrice Eum. Due libri, che da punti di vista differenti, attraverso documenti e analisi critiche, riportano allo scoperto le vicissitudini di una particolare materia insegnata nei licei, la storia dell’arte. Una disciplina scolastica, che dopo circa un ventennio di sperimentazione in un ristretto numero di istituti, fu per la prima volta introdotta come materia ufficiale e obbligatoria nel piano di studi del liceo classico nel 1923, con la riforma del ministro dell’istruzione Giovanni Gentile. La professoressa Meyer, partendo dall’articolato dibattito che dagli inizi del secolo scorso coinvolse storici dell’arte, artisti, politici, pedagogisti e uomini di scuola attorno all’introduzione del nuovo insegnamento, ricostruisce nel suo libro le vicissitudini degli esordi e le notevoli difficoltà che caratterizzarono tale materia scolastica nel corso del ventennio fascista, al punto da spingere lo storico dell’arte Adolfo Venturi (1856 -1941), che ne era stato uno dei maggiori artefici, a parlare di tale disciplina come della “Cenerentola” della scuola italiana. Il volume del professor Sani compie una ricostruzione contestualizzata e organica delle caratteristiche assunte e del ruolo esercitato da tale disciplina dagli inizi fino al 1968, anno ritenuto una sorte di “spartiacque” per quanto riguarda l’insegnamento della storia dell’arte nel liceo classico. I due volumi si completano a vicenda, finendo per costituire insieme un lavoro interdisciplinare tra gli insegnamenti di cui sono titolari i due autori: storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche (Sani) e storia dell’arte e critica artistica (Meyer). Nel primo libro si affrontano i temi legati alla normativa scolastica e alle disposizioni riferite ai programmi, agli orari, ai libri di testo e ai supporti e materiali didattici, nonché alla formazione e al reclutamento degli insegnanti e alle caratteristiche rivestite dalla storia dell’arte in seno al piano di studi del liceo. Il secondo volume, corredato in appendice di una ricca antologia di testi, offre uno spaccato anche del confronto sviluppatosi tra gli studiosi per tutta la prima metà del Novecento intorno alle finalità e ai contenuti di una storia dell’arte impartita nelle scuole secondarie superiori.

 
Alias Domenica, Il Manifesto
Eum Redazione

Storia dell’arte, saper vedere e gusto sui banchi del liceo

di Annamaria Ducci, Alias Domenica, Il Manifesto, 02.04.2023, p. 12

Formazione degli italiani. In «Cenerentola a scuola», edito da EUM, Susanne Adina Meyer ricostruisce il dibattito sull’insegnamento liceale della disciplina 1900-1943: identità nazionale, coscienza del patrimonio.

Dopo quello di Roberto Sani (recensito su «Alias-D» dell’8 maggio 2022) esce oggi un nuovo volume dedicato all’insegnamento della storia dell’arte nelle scuole superiori, vicenda che trovò uno snodo nella riforma Gentile del 1923, quando la materia divenne obbligatoria nei licei classici. Il libro di Susanne Adina Meyer, storica dell’arte, deve considerarsi complementare a quello di Sani: Cenerentola a scuola Il dibattito sull’insegnamento della storia dell’arte nei licei (1900-1943), EUM, Macerata, pp. 256, euro 24,00.
Se Sani ripercorre la questione attraverso le disposizioni legislative, Meyer analizza il dibattito teorico che si agglutinò attorno alle varie proposte relative all’insegnamento della materia, partendo dalla prima Circolare ministeriale emanata nel 1900 dal letterato e deputato Enrico Panzacchi, per arrivare alla caduta del fascismo. Dibattito che fu animato dai maggiori storici dell’arte del tempo, ma anche da insegnanti e presidi di liceo che avvertivano più concretamente l’urgenza di una definizione degli orari, dei programmi, di congrui strumenti didattici, del ruolo professionale.
Il nome di Panzacchi non cadrà inosservato. In quanto insegnante di storia dell’arte all’Accademia di belle arti di Bologna, egli mise in luce l’aspetto del passaggio da un insegnamento rivolto agli artisti, consolidato da tempo all’interno delle accademie, a uno nuovo, concepito per destinatari ben diversi, studenti delle Università e della scuola superiore. Un tema che toccava il senso ultimo della storia dell’arte, sollevato da Adolfo Venturi già a fine Ottocento e da allora dibattuto animosamente, anche nella sede dei congressi internazionali di scienze storiche, e poi, dal 1912, di storia dell’arte...

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