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Una politica in crisi

Filippo Corridoni e l'Italia del '900

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Note sul testo
Perché, a distanza di un secolo, parliamo ancora di Corridoni? Ne parliamo perché la sua figura rappresenta i tormenti, le delusioni e le speranze di un'Italia che, a inizio '900, sta diventando un paese moderno. E che, come in tutti i processi di rapida trasformazione, conosce divisioni, contrasti, lacerazioni. Ma la sua esperienza richiama pure alcuni aspetti del mondo attuale. È infatti anche attraverso Corridoni che in Italia comincia ad affacciarsi quella critica serrata ai partiti che oggi chiamiamo antipolitica. Nel libro, studiosi di generazioni differenti si confrontano quindi su quei giovani dalla «coscienza ribelle» che insieme a Corridoni confluirono nel mondo sovversivo dell'epoca, per valutare cosa di quel periodo appare ancora vivo.

Note sul curatore
Angelo Ventrone insegna all'Università di Macerata. Tra i suoi libri, Grande guerra e Novecento. La storia che ha cambiato il mondo (Donzelli, 2015), «Vogliamo tutto». Perché due generazioni hanno creduto nella rivoluzione 1960-1988 (Laterza, 2012), La cittadinanza repubblicana. Come cattolici e comunisti hanno costruito la democrazia italiana 1943-1948 (Il Mulino, 2008), Il nemico interno. Immagini e simboli della lotta politica nell'ltalia del ‘900 (Donzelli, 2005). Per le eum ha curato I dannati della rivoluzione. Violenza politica e storia d'Italia negli anni Sessanta e Settanta (2010).

Indice
Introduzione di Angelo Ventrone

Barbara Montesi, Antimilitaristi interventisti. Filippo Corridoni, Maria Rygier e la generazione del ’14

Margherita Becchetti, Filippo Corridoni, Parma e lo sciopero agrario del 1908

Angelo Ventrone, Corridoni di fronte alla crisi della politica

Giorgio Volpe, Una politica senza partiti? Corridoni e il socialismo

Enrico Serventi Longhi, Corridoni e De Ambris. Due vite per la rivoluzione e una memoria contro il fascismo

William Gambetta, Il mito di Corridoni. Il fascismo e il monumento di Parma

Luciano Salciccia, Corridonia e Filippo Corridoni, il sindacalista rivoluzionario caduto per la libertà. Una mostra nella sua città natale

Appendice iconografica

Note
In copertina: Filippo Corridoni (Archivio De Ambris, Roma)

  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-519-8
  • Numero pagine 136
  • Formato 14x21
  • Anno 2017
  • Editore © eum edizioni università di macerata
Ellin Selae
Eum Redazione

Il vaso di Pandora, Personaggi della nostra storia recente, «Ellin Selae», Dispensa libraria n. 139, pp. 27-28


Filippo Corridoni viene spesso considerato una figura vicina alla nascita del fascismo, in realtà era un sindacalista rivoluzionario e anarchico vicino agli interessi della classe lavoratrice e dei proletari, e anche la sua partenza volontaria per il fronte della I Guerra Mondiale (dove morì a solo 28 anni), va interpretata come un gesto di coerenza e di speranza di cambiamento di un assetto sociale e politico nettamente a sfavore del popolo. Questo viene ben sottolineato in uno degli interventi contenuti in questo volume: «La manipolazione della memoria di Corridoni da parte del fascismo ha provocato da un lato l'emarginazione della sua figura storica nell'ambito dello stesso movimento operaio del secondo dopoguerra, dall'altro ha fallo sì che venga ricordato soprattutto dall’estrema destra, in particolare dalla componente rivoluzionaria e nazionalista. Per queste ragioni la scelta del titolo della mostra "Filippo Corridoni il sindacalista rivoluzionario caduto per la libertà", ha invece voluto restare fedele ai due pilastri deI pensiero e dell'azione di Corridoni. Egli rimase infatti fedele per tutta la vita ai suoi ideali di sindacalista rivoluzionario; anche quando, con la sua scelta interventista nella prima guerra mondiale, ritenne di compiere un passo necessario per il bene dei lavoratori, volendo perseguire un progetto internazionale di pace sociale e di libertà…» Parlare dunque di Corridoni, a distanza di un secolo, ha senso perché la sua figura rappresenta i tormenti, le delusioni e le speranze di un'Italia che, a inizio '900, sta diventando un paese moderno. E che, come in tutti i processi di rapida trasformazione, conosce divisioni, contrasti, lacerazioni. Ma la sua esperienza richiama pure alcuni aspetti del mondo attuale. È infatti anche attraverso Corridoni che in Italia comincia ad affacciarsi quella critica serrata ai partiti che oggi chiamiamo ‘antipolitica’. Nel libro, studiosi di generazioni differenti si confrontano quindi su quei giovani dalla "coscienza ribelle" che insieme a Corridoni confluirono nel mondo sovversivo dell'epoca, per valutare cosa di quel periodo appare ancora vivo. «Partiamo dallo scenario in cui si inseriscono l'opera e la vita di Filippo Corridoni, un uomo nato nel 1887 e quindi appartenente a quella generazione inquieta che avrebbe dato vita alla stagione delle avanguardie artistiche e politiche di inizio secolo. Quali erano le ragioni di questa inquietudine così forte, così sentita, in ampi settori del mondo giovanile? Innanzitutto dobbiamo tener conto che il nostro paese stava conoscendo rapidissime, quasi vertiginose trasformazioni. (...) Il nostro paese, quindi, non era più soltanto il luogo in cui gli stranieri arrivavano "per curare la tisi", ma anche quello dove venivano a "imparare l'elettrotecnica; non solo per fare elemosine, ma - anche - per firmare contratti". Eppure, come contraltare a questa Italia attiva e dinamica, ce n'era un’altra dalla natura ben diversa. "C'è un 'Italia di fatti e una Italia di parole; una d'azione, l'altra di dormiveglia e di chiacchiera; una dell'officina, l'altra del salotto; una che crea, l'altra che assorbe; una che cammina, l’altra che ingombra. In Italia (abbiamo il coraggio di confessarlo) il parlamento è un'accademia lucrosa, i deputati sono cinquecento retori, i discorsi politici vaniloqui, ideologie, fraseologie. Noi non andiamo già avanti perché abbiamo ministri e impiegati; ma andiamo avanti malgrado i ministri e gl'impiegati. I nostri uomini politici non sono vele, né timoni, ma zavorra; impicciano non spingono né dirigono. Montecitorio è il più grave dei pesi italiani". Ecco le radici di quella corrente antipolitica che ha attraversato, a volte sotteraneamente, a volte in superficie, la nostra storia recente. E che si è sempre basata sulla distinzione tra un'Italia che lavora e un'Italia (la classe politica) che vive come un parassita sulle spalle della prima…»

 
L'Intellettuale Dissidente
Eum Redazione

"Diritti dei lavoratori, giustizia sociale, critica verso la casta politica e gli esponenti dei partiti: Filippo Corridoni è figura da studiare e scoprire", di Luca Lezzi, L'Intellettuale Dissidente, 23 dicembre 2017, http://www.lintellettualedissidente.it/storia/pensiero-di-filippo-corridoni/

A partire dal 2015 fino ad oggi ha avuto inizio una riscoperta del pensiero, del lascito e della vita di Filippo Corridoni: uno dei maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario italiano. L’occasione ci viene fornita stavolta dalla pubblicazione “Una politica in crisi. Filippo Corridoni e l’Italia del ‘900” a cura del professore Angelo Ventrone per le Edizioni Università di Macerata che nasce a partire dagli atti dell’omonimo convegno tenuto in occasione del centenario dalla morte del leader sindacale nella sua città natale nelle Marche; quella Pausula poi ribattezzata Corridonia dal fascismo e che mantiene intatto nome e ricordo del suo cittadino più illustre.

Il testo si presenta suddiviso in sette capitoli, ognuno dei quali analizza nel dettaglio il rapporto di Corridoni con un luogo (la città natale, la Parma dello sciopero agrario del 1908 e la Milano in cui a più riprese diede vita alla sua instancabile attività sindacalista) o con una delle persone a cui fu più legato (la compagna di lotta Maria Rygier e il fraterno amico, anch’egli fra i maggiori esponenti del socialismo rivoluzionario, Alceste De Ambris). L’unica mancanza risulta forse l’aver lasciato a pochi cenni il conflittuale rapporto del giovane marchigiano con il futuro duce del fascismo Benito Mussolini con cui Corridoni divise il palco durante le radiose giornate del maggio interventista del 1915.

Nel ripercorrere la breve ma intensa vita di Filippo Corridoni emergono chiare le visioni anticipatrici negli scritti di quello che fu, comunque, più un attivista che un teorico. Non è un caso, però, se dopo la Prima Guerra Mondiale e l’enorme perdita, in termini numerici e non solo, di volontari mandati al fronte, tra cui lo stesso Corridoni, il sindacalismo rivoluzionario non fu più in grado di riproporsi come blocco monolitico ma andò a contaminare le esperienze politiche negli anni seguenti dalla Costituzione della Reggenza del Carnaro nella Fiume dannunziana alla politica sociale del ventennio fascista. La volontà degli autori è quella di soffermarsi sul contesto per comprenderne le similitudini con l’Italia odierna, nella quale sempre meno persone si riconoscono in quei corpi intermedi (partiti e sindacati su tutti) che sono in piena apnea e danno sempre meno risposte a chi si fa portavoce delle istanze sui diritti sociali che continuano a venir meno nel nostro Paese e in tutte le democrazie occidentali.

L’antipolitica di inizio Novecento si poneva in contrasto con chi una volta, giunto agli scranni parlamentari, si era subito imborghesito nell’animo e nel tenore di vita, appiattendosi proprio al pari di coloro che riteneva nemici nella lotta di classe lungamente professata. Non è un caso se il sindacalismo rivoluzionario aveva fatto della lotta interna a partito e sindacato con la corrente riformista il suo punto nevralgico, consapevole che il Partito Socialista Italiano aveva già riposto in soffitta la lotta a borghesi, imprenditori e latifondisti. Parole d’ordine, modalità di lotta e programma politico divergevano già ampiamente tra la visione repubblicana, laica, liberoscambista e antistatale dei rivoluzionari e quella di compromesso dei riformisti.

Tra i testi lasciatici da Corridoni, fra i quali figurano molti articoli di giornale e le relazioni nei congressi sindacali, a farla da padrone è “Sindacalismo e repubblica”, vero e proprio testamento politico-sindacale pubblicato postumo nel 1921 dall’amico Alceste De Ambris a Parma e scritto durante l’ultimo periodo di detenzione nell’aprile 1915. Insieme al maggiore dei fratelli De Ambris, l’agitatore marchigiano fu artefice anche del decisivo passaggio dal neutralismo all’interventismo nell’ottica di colpire quegli imperi centrali capisaldi dei principi feudali e, per questo, nemici giurati del socialismo. L’ingresso nella Grande Guerra fu inteso anche come la prosecuzione del lascito risorgimentale al fine di completare l’unificazione territoriale della Patria intrapresa da Mazzini e Garibaldi. Quella guerra assunse, infatti, di diritto l’appellativo di Quarta Guerra d’Indipendenza per tutti gli italiani per via del significato che seppe trasmetterle quella minoranza attiva in cui si coagularono diverse correnti politiche della nazione.

Una minoranza frastagliata che, però, seppe fondersi dinnanzi ad un obiettivo comune. Non è un caso se in molti dei passaggi corridoniani si evincono punti in comune con altre correnti di pensiero. Da quelli con il nazionalismo guidato da Enrico Corradini all’ideale dell’uomo nuovo e all’esaltazione della violenza che abbracciarono anche i futuristi. L’antipolitica, l’appello ai “dormienti”, l’inadeguatezza della classe politica a guidare il rapido sviluppo della penisola furono i temi cari ad altre menti illustri del tempo come Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini che definirono già Montecitorio come “il più grave dei pesi italiani”. Sempre in ottica antiparlamentare la polemica dei sindacalisti rivoluzionari fece propria la visione della scuola elitista di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto che nel 1901 aveva definito il Parlamento un club di affaristi e politicanti senza scrupoli e i partiti che vi operavano delle cricche, delle camorre prive di ogni idea.

In definitiva l’agile volumetto (127 pagine alle quali si aggiunge una preziosa appendice fotografica dei monumenti eretti a Corridoni in Italia e alcune foto che lo ritraggono durante i comizi di piazza) si presenta come una lettura rivolta agli studiosi e agli appassionati della tematica, ricca di note e rimandi bibliografici. Grande merito va dato agli autori per la scelta di non dedicare spazio alcuno alla sterile diatriba, fatta con i “se” e con i “ma”, riguardante l’ipotetico futuro di Filippo Corridoni nell’Italia del ventennio fascista causa principale dell’oblio in cui troppo a lungo è stato relegato il pensiero del massimo esponente del sindacalismo rivoluzionario italiano. Una damnatio memoriae dovuta ai riconoscimenti e all’importanza che ne diedero il fascismo e Benito Mussolini in persona che vollero identificarlo con la figura del protofascista e all’incapacità, a partire dal secondo dopoguerra, del mondo sindacale, con l’unica eccezione di Giuseppe Di Vittorio, di ricordarne a dovere l’importanza fondamentale nei passaggi teorici e pratici di crescita di chi tutelò le istanze del proletariato.

http://www.lintellettualedissidente.it/storia/pensiero-di-filippo-corridoni/

 
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