购物车  

没有商品

0,00 € 配送费
0,00 € 总计

购物车 结账

货币: €

 

eum

edizioni università di macerata

subscribe to Newsletter

resep masakan >resep masakan Adi Sucipto News and Entertainment delicious recipe berita bola jual obral pojok game recept
Gli archivi delle biblioteche: esperienze e questioni View full size

 
 

Condizioni di vendita

Gli archivi delle biblioteche: esperienze e questioni

Concetta Damiani, Loretta De Franceschi, Pierluigi Feliciati (a cura di)

13,30 €

Reduced price!

-5%

14,00 €

Indice
Concetta Damiani, Loretta De Franceschi, Pierluigi Feliciati, Riflessioni a margine del seminario di studi “Gli archivi delle biblioteche”

Autori e abstract dei contributi del volume
 
Andrea De Pasquale, Archivi e biblioteche: due destini che si uniscono
 
Alberto Petrucciani, Il pubblico delle biblioteche e la loro funzione: l’importanza degli archivi delle biblioteche per la storia e per la biblioteconomia
 
Francesca Nepori, Fiammetta Sabba, Documenti e complessi di natura archivistica nelle biblioteche statali: una mésalliance secolare
 
Vincenzo Trombetta, Gli archivi storici delle biblioteche napoletane
 
Enrico Pio Ardolino, Leggere Croce in biblioteca: prime ricerche dai registri di lettura della Biblioteca Provinciale di Potenza (1926-1945)
 
Rosa Parlavecchia, «Da S. Ivo alla Minerva». Il trasferimento della Biblioteca Universitaria Alessandrina raccontato dai documenti d’archivio
 
Simona Inserra, Per lo studio della biblioteca del Collegio dei Gesuiti a Catania: un  progetto in corso tra Archivio storico dell’Università e Biblioteca Regionale


Maria Guercio, Classificare documenti, formare aggregazioni, conservare archivi: la linea d’ombra degli archivisti e la sfida della multidisciplinarità

Giovanni Bergamin, Perché separare dati e documenti


Note
Economia vs. Cultura? 8
Quaderni della Sezione di Beni culturali “Massimo Montella” Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo

  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-841-0
  • Codice ISBN (PDF) 978-88-6056-842-7
  • DOI 1013138/MN_60569240
  • Numero pagine 160
  • Formato 14x21
  • Anno 2023
  • Editore ©2023 eum edizioni università di macerata
  • Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International License
Bibliothecae.it
Eum Redazione

di Federico Valacchi, Bibliothecae.it, 12 (2023), 2, 692-697DOI

Uno dei saggi che compongono questo stimolante volume collettaneo reca nel titolo la sintesi più efficace della bella esperienza da cui il libro scaturisce, quando parla di una linea d’ombra e richiama il rito di passaggio sulla scia di Conrad. In effetti in questa raccolta di saggi molto apprezzabili le linee d’ombra da attraversare e attraversate sono molte, spesso non senza reciprocità.
Il primo confine, un rito davvero di passaggio che sembra guidarci oltre a un presunto tabù, è quello tra i due termini chiave delle cose documentarie: archivio e biblioteca. Il taglio dell’intera raccolta spinge infatti con la dovuta sensibilità verso una effettiva e collaborativa integrazione tra i due domini. Come notano i curatori nel loro saggio introduttivo «l’incontro tra diversi studiosi con differenti approcci ha generato numerose sollecitazioni meritevoli di ulteriori occasioni di approfondimento» (p. 17).
Quelli di archivi e biblioteche sono due destini che si uniscono, scrive al riguardo Andrea De Pasquale, quasi evocando le note dei Tiromancino, e ponendo nei giusti termini una questione di lunga durata che il suo articolato saggio di apertura documenta con puntualità.
La contrapposizione tra archivi e biblioteche – tra catalogo e inventario, per dirla con Cencetti – ha animato più di una discussione e riscuote ancora oggi qualche attenzione, per quanto anche questo libro ne segnali tutti i limiti concettuali e operativi. La dimensione interdisciplinare o, meglio, il clima collaborativo, che si coglie nello sviluppo di tutto il volume non è casuale, soprattutto perché scaturisce da analisi sempre puntuali dei concetti e dei contesti d’uso.
L’ibridazione, che mette quasi alla berlina confini talvolta troppo presidiati, va oltre gli assetti conservativi che vedono biblioteche negli archivi e archivi o pezzi di archivi nelle biblioteche.
La dimensione conservativa ha un suo peso fisico e logico, perché gli spazi sicuramente caratterizzano i percorsi e la percezione della conservazione, ma c’è di più. Le biblioteche sono diverse dagli archivi e viceversa, almeno nell’attimo fatale della concezione e nelle diverse e rispettive finalità specifiche. Qualsiasi raccolta documentaria in senso ampio è una risorsa, indipendentemente dalla natura degli oggetti che la compongono. Sono le finalità d’uso e i contesti, più che astratte categorizzazioni o altrettanto astratte rivendicazioni, a determinarne ruolo e fisionomia. I peculiari demoni che agitano archivisti e bibliotecari trovano però un felice momento simbiotico in una categoria che, a ragione, assume sempre un maggior rilievo, quella di servizio. Servire gli utenti è un’attività nobile e complessa nel quadro di discipline che nella mediazione altamente qualificata trovano la loro vera ragion d’essere, e lo spirito di servizio è una dote precipua dei professionisti dell’informazione registrata.
La cultura del servizio e dell’informazione, contrapposta a bellicismi antiquati (e antiquari), fa sì che le differenze si stemperino e si integrino nel quadro ormai consolidato delle LIS, con conseguenze diverse e su diversi piani.
Se lo leggiamo in controluce, dunque, questo volume ha prima di tutto il pregio di mettere a confronto diverse ma collaborative culture documentarie, partendo da un preciso punto di vista: «il seminario ha voluto costituire un momento di analisi e riflessione sugli archivi delle biblioteche argomento di fatto poco indagato al contrario di quello degli archivi nelle biblioteche». La formula è raffinata e mette apparentemente al centro del ragionamento gli archivi, enfatizzandone però la funzionalità nel contesto circoscritto delle biblioteche, con una sintesi che non manca di efficacia e ricadute positive.
Su questa secolare mésaillance riflettono in maniera molto documentata e propositiva Francesca Nepori e Fiammetta Sabba, ragionando a tutto campo sulle ibridazioni documentarie e sulle ragioni di certi misunderstanding catalografici e normativi, nonché sui possibili sviluppi di modelli organizzativi al momento non propriamente funzionali. Prendere atto dell’ibridazione, muovendo dalla concretezza dei censimenti del materiale d’archivio presenti nelle biblioteche, come fanno le due studiose, ci apre prospettive di riflessione particolarmente concrete che vanno indubbiamente a loro merito.
Questo approccio “fisico” sembrerebbe orientare il ragionamento verso quel filone “conservativo” cui si alludeva sopra, ma – quasi inevitabilmente – nel dipanarsi dei diversi contributi il ragionamento finisce, per così dire, con l’uscire da sé stesso. Almeno con gli archivi questo capita spesso perché la loro funzione concreta, bene o male, ha sempre la meglio sui modelli astratti. Sono le finalità d’uso e i contesti di applicazione a conferire la loro effettiva sostanza ai complessi documentari.
Gli archivi nelle biblioteche, allora, non sono monadi da isolare e studiare in laboratorio, ma carne viva di una cultura e di una percezione che li incatena ai luoghi di conservazione ed uso, facendone strumenti poliedrici e polifunzionali. L’archivio, del resto, tra la sua linfa vitale dalle sollecitazioni cangianti cui è sottoposto. Se lo guardiamo in potenza, nello stato di inerzia precedente all’atto e al bisogno d’uso, è un nulla informativo. Sono le persone, le cose e gli ambienti a dare il significato all’archivio, quasi fosse un famoso gatto della fisica.
Non è un caso quindi che Alberto Petrucciani valuti nel suo saggio la grande importanza che gli archivi delle biblioteche hanno per la storia della biblioteconomia «sia per conoscere quale sia stato davvero nel tempo il pubblico della biblioteca (...) sia per la riflessione biblioteconomica e la progettazione dei servizi bibliotecari, nel mondo di oggi, superando l’atteggiamento purtroppo prevalente di subire passivamente l’andamento degli usi e dell’utenza» (p. 41). Conoscenza al servizio della conoscenza e della progettazione, in altre parole.
Su questa traccia si sviluppa anche il contributo di Vincenzo Trombetta, soffermandosi sugli archivi storici delle biblioteche napoletane e sulla loro «rilevanza per conoscere le dinamiche interne di queste strutture» (p. 20).
In qualche modo Petrucciani e Trombetta tirano la volata a quei saggi che hanno il loro baricentro proprio nella progettualità culturale che deriva dalla conoscenza sia delle vicende conservative che delle possibili destinazioni d’uso di diverse raccolte documentarie. In questa prospettiva Rosa Parlavecchia, a partire dagli archivi dell’Università, ricostruisce intanto il trasferimento della Biblioteca Universitaria Alessandrina alla Minerva accennando a politiche e strategie culturali non prive di conseguenze.
Simona Inserra, per parte sua, torna sulla dimensione progettuale e sulle strategie conservative, dando conto di un articolato progetto di studio e valorizzazione della documentazione archivistica e del patrimonio librario del collegio dei gesuiti di Catania.
Dalla storia della conservazione e dalla progettualità il passo verso l’uso vero e proprio è breve. Enrico Ardolino interpreta allora in chiave di storia della cultura il suo compito, a partire dai registri di lettura della biblioteca provinciale di Potenza. Nel suo saggio, si pone «l’obiettivo di misurare il reale impatto e la effettiva circolazione del pensiero crociano tra le varie categorie di lettori e utenti nelle biblioteche pubbliche» (p. 96). Lo studio, che lo stesso autore definisce ambizioso, approda a risultati di sicuro interesse e concretezza.
La linea d’ombra più marcata, il Confine con la maiuscola, è ancora una volta quello legato all’evoluzione tecnologica, per quanto la tecnologia debba sempre confrontarsi con fenomeni metodologici ed epistemologici di lungo periodo.
Si potrebbe disquisire a lungo sulla liceità di introdurre nel ragionamento una cesura profonda a questo livello, a causa del rischio strisciante di sopravvalutare una percezione meccanica delle tecnologie. Va riconosciuto però che i due saggi che chiudono il volume, sia pure nella loro differente impostazione, muovono da un rapporto consapevole con le tecnologie, che del resto non stupisce alla luce del percorso scientifico degli autori.
Mariella Guercio, nel contributo più “archivistico” del volume – e a cui si deve il riferimento iniziale a Conrad – torna sui temi della classificazione e della corretta sedimentazione dei complessi documentari, superando a sua volta la linea d’ombra del canone e concentrando giustamente l’attenzione sulle «aggregazioni digitali anche in contesti interdisciplinari».
Classificare, come è noto, ha un senso che va oltre la tassonomia. L’archivio, per quanto in qualche modo ormai diverso da sé, ha ancora la forza di esercitare un’attrazione gravitazionale che si manifesta sia nella prassi che negli standard di gestione documentale. Nello stesso tempo, però, Guercio a ragione riflette in una prospettiva allargata alle discipline documentarie e ad una sorta di interoperabilità metodologica che ci porti verso «linee di contato e reciproca influenza» (p. 146).
Giovanni Bergamin, partendo da un’idea “serena” di digitale, sviluppa un ragionamento molto condivisibile su quelle che definisce «risorse non canoniche» e sulle conseguenze anche semantiche della loro diffusione. Come si chiamano queste raccolte di oggetti digitali e come vengono gestite? Nomina nuda tenemus e il bisogno di riconcettualizzazione nascosto dietro ai termini un po’ usurati del nostro vocabolario di dominio è senz’altro un’esigenza forte. Separare i dati dai documenti, come recita il titolo del saggio, significa spostare il ragionamento verso il confronto tra web dei documenti e web dei dati. Siamo di nuovo in una logica che potremmo definire di mediazione aumentata: «(...) separare i dati dai documenti non è un invito a decostruire i documenti originali (...) ma quello di pubblicare documenti web come insieme fruibili dall’utente e allo stesso tempo pubblicare contestualmente anche tutta una serie di informazione che permettono una “macchina” di gestire le entità significative (...) che compongono le pagine web» (p. 155). Il ragionamento di Bergamin confluisce nella sua dimensione applicativa nell’ecosistema Wikidata che sintetizza in un ambiente felicemente ibrido non solo e non tanto i contenuti quanto le strategie portanti delle discipline documentarie. Se le risorse sono non canoniche, l’unica soluzione è adeguare il canone perché le risorse sono evidenze non cancellabili dalla realtà.
Il cerchio si chiude intorno a questa multidimensionalità che è l’espressione più matura della realtà, soprattutto quando è consapevole delle proprie radici e degli sviluppi che la hanno determinata. La conoscenza non procede per strappi e rivoluzioni, ma fluisce dentro clessidre che dettano tempi più o meno accelerati e senza continuità non c’è reale comprensione e quindi non si produce conoscenza.
Del resto, come ci insegna la fisica, «il tempo non è la mappa della realtà: è una forma di stoccaggio della memoria».1

1 Carlo Rovelli, Buchi bianchi, Milano, Adelphi, 2023, p. 122.

https://bibliothecae.unibo.it/issue/view/1223



 
Pagina:1