Il volumetto “Winston Churchill: Anni memorabili”, che ci si appresta a recensire, costituisce un sopraffino e insolito tentativo di riscoperta e analisi della figura di un gigante storico come il primo ministro inglese. EUM pubblica queste cinque orazioni nella sua collana /pro-lu-sió-ni/, nata con il virtuoso scopo di “dare nuova voce” ai discorsi e le riflessioni di eccelsi e immortali auctores del passato; il più delle volte corredando le opere della sezione Echi, al fine precipuo di accompagnare, ex post – considerando che tale arricchimento è sapientemente allocato dopo le opere oggetto di analisi – il lettore, quasi come, mutatis mutandis, in una metafora dantesca, nell’immersione in questo giardino di parole, paradiso di spiriti magni. Questo arduo ma lodevole compito è, nel caso di specie, affidato ad altrettanto onorate studiose, quali, la Professoressa Benedetta Barbisan e la Professoressa Raffaela Merlini.
Benedetta Barbisan, docente di ruolo di Diritto pubblico comparato, si cimenta magistralmente nella vitale, oltre che stimolante, prassi di delineazione della figura di Winston Churchill. Con questo presupposto, la riflessione Sapere del passato, fare il presente, intuire il futuro costituisce un azzeccato esercizio di analisi, accompagnato da excursus storico-biografici, del mondo concettuale, e di tratteggiamento, a fortiori a grandi linee, della personalità di un cotal personaggio e maestro della retorica. Su queste basi, ora più che mai, la conoscenza del passato ci permette di avere uno sguardo più acuto oggi, e lungimirante domani.
Essendo i contenuti di /pro-lu-sió-ni/ generalmente provenienti da contesti non autoctoni e nostrani, si presenta la necessità di una traduzione adeguata e di un approfondimento comparativista ed ermeneutico. Nell’ottica dell’indagine de quo, illuminante è lo studio condotto dalla Professoressa Merlini, la quale insegna Lingua e Traduzione Inglese. La studiosa, nella parte Echi traduttivi da lei curata, ci dona una certosina chiave di lettura delle dissertazioni presentateci, con cui scoprire il vero significato intrinseco di quella concatenazione di parole, spesso erroneamente licenziata come casuale a seguito di una lettura troppo affrettata e un’interpretazione eccessivamente dipendente dal dato letterale. La docente, al contrario, ci “riporta all’ordine”, rendendoci edotti, anche ricorrendo a confronti con il testo originale, del fatto che ogni sententia, ma anche ogni pausa, risata, o citazione biblica riportata, è stata oggetto di profonda analisi, da parte dell’autore stesso, nonché del traduttore, che non poco richiama il pardes rabbinico.
Dulcis in fundo, tralasciando gli apporti di autori esterni e più moderni, e volgendo al contempo lo sguardo sul reale protagonista dell’opera, ne viene in rilievo un individuo leggendario quanto controverso, un uomo dallo spirito combattivo, al limite dell’arroganza, un patriota, più volte tacciato di essere razzista e imperialista, e un abilissimo orator, che, pur a volte, dicono le fonti storiche, si lascia andare a taglienti commenti. Riguardo a tali comportamenti si può rispondere, anche forse in maniera scontata, che Winston Churchill era un prodotto del suo tempo, e, a nostro parere, costituisce la perfetta sublimazione, sia in negativo sia in positivo, delle anime britannica – da parte di padre – e statunitense – da parte di madre. Questo attaccamento alle radici vien certamente in gioco nel contesto delle sue arringhe «Il dono di una lingua comune» e «I tendini della pace», in cui l’Autore tenta di convincere il suo pubblico americano dei benefici della conservazione della lingua inglese, anche a seguito dei due conflitti mondiali, e sulla bontà, per non dire della fattuale necessità, del mantenimento di un forte asse anglo-americano per la stabilizzazione dei blocchi formatisi durante la guerra fredda. Ma, anche qui, e la sua perorazione «Gli Stati Uniti d’Europa» lo dimostra, ciò non comporta di certo un disinteresse, ovvero un approccio troppo paternalista o reazionario, nei confronti dei popoli europei (per le colonie la situazione cambia). Ma a parte questo, forse è proprio l’incontro tra quei due caratteri che lo ha portato per ben due volte a Downing Street.
Per concludere questa recensione, che ha tutta l’aria di un panegirico, ci viene spontaneo far presente quello che, per noi, rappresenta la vera bellezza e il ricco tesoro di questa lettura: «Mai arrendersi!». Nel primo sermone, difatti, Churchill ci fa comprendere come la vera lezione sia quella di andare sempre avanti, non curanti del passato, al contrario, cercando sempre di fare comunque meglio, educando noi stessi, e gli altri, in uno slancio degno di un Übermensch. Invero, non sarebbe così scorretto affermare che egli abbia provato sulla sua pelle cosa significa farsi da soli, affrontando le proprie «ore più buie». Non che ovviamente possa essere messo alla pari di un migrante che ha trovato fortuna lontano dalla sua patria – al massimo potrebbe trarsi un parallelismo con l’homo novus per eccellenza, ovverosia Cicerone – ma non si può neanche negare che i numerosi fallimenti in giovine età, scolastici, e, soprattutto militari, – lo Sbarco di Gallipoli, in primis – gli abbiano richiesto un immenso impegno negli anni successivi.
In questi termini, l’importante, afferma il Politico in occasione della Mid-Century Convocation, in cui si mettono in luce le grandi potenzialità dell’intelletto e delle nuove scoperte, è che: «Uniti, rimaniamo saldi. Nell’assolvere la nostra missione e i nostri doveri, avanziamo dunque compatti, temendo Dio e null’altro».