“Senato segreto” di Romano Ferrari Zumbini, Giulio Stolfi e Lorenzo Carnimeo
Letture.org, https://www.letture.org/senato-segreto-romano-ferrari-zumbini-giulio-stolfi-lorenzo-carnimeo
- Prof. Romano Ferrari Zumbini, Lei è autore con Giulio Stolfi e Lorenzo Carnimeo del libro Senato segreto, pubblicato dalle Edizioni Università di Macerata. È convinzione diffusa, in ambito storiografico, quella relativa al ruolo marginale cui fu relegato il Senato del Regno dalla Torino sabauda del 1848 alla Roma occupata del 1943, un organo apparentemente ancillare e senza personalità: fu realmente così?
- La domanda può esser letta in duplice modo: se è vero che il Senato venisse inteso come organo minore oppure se è vero che il Senato fosse un organo minore. Le risposte sono duplici: sì, era inteso come organo minore; no, non era un organo minore.
La forza della narrativa esercitava già all’epoca una sua efficacia. A. Brofferio con la sua “Storia del Parlamento subalpino (1848/59)” incanalò una visione unilaterale che poi si è solidificata e perpetuata nel tempo. Egli, ex-deputato, ricostruì in via quasi esclusiva le vicende della Camera; oltretutto si fece guidare molto dai ricordi personali, dalle sue passioni e - per semplificarsi la vita - non approfondì le vicende che si svolsero in the other place, cioè in Senato. Ridusse il Parlamento a istituzione monocamerale.
L’effetto di ripercussione si riverberò negli scritti di studiosi posteriori, giacché varie generazioni di storici si son spesso - con le dovute eccezioni - avvalse di scritti precedenti. Quindi, da una parcellizzata visione (quella di Brofferio, incentrata sulla Camera e sulla funzione legislativa) è scaturita una lettura delle istituzioni parlamentari incentrata sulla Camera e sulla funzione legislativa, trascurando quindi il ruolo del Senato e delle altre attività squisitamente parlamentari, dal sindacato ispettivo al controllo sul governo.
- Il libro, come sottolinea nella Sua introduzione, non intende «editare alcunché d’inedito, bensì porre all’attenzione fatti storicamente noti, ma letti con gli occhiali istituzionali del fact checking»: su quali documenti si basa il Vostro studio circa il ruolo che effettivamente svolse il Senato?
- Per quanto possa apparire banale la risposta, le fonti sono state gli Atti parlamentari, ossia le raccolte dei resoconti (e le relazioni presentate ai disegni di legge per l’esame in Aula). È ben vero che la lettura di quegli atti è noiosa e, non di rado, astrusa - giacché ridondante di formule ‘liturgiche’ - ma è altrettanto vero che quegli atti erano stati scritti nell’immediatezza e da persone (resocontisti e stenografi) totalmente estranee all’agone politico e, quindi, massimamente attendibili, giacché alla ricerca dell’oggettivo.
Non è nostra intenzione fare polemiche, ma diverse generazioni di autori hanno brillantemente preferito soprassedere alla lettura degli Atti parlamentari - che confermo esser lettura intrinsecamente noiosa -, privilegiando attingere a studiosi ad essi anteriori; i quali, a loro volta, hanno parimenti attinto alla generazione precedente. Insomma, a farla breve il Brofferio ha dato il ‘la’ e da quell’intonazione non ci si è molto discostati. La nostra non è stata una lettura storico-politica, ma e soprattutto una lettura storico- costituzionale, quindi necessariamente vicina alla quotidianità della vita istituzionale in senso stretto.
Comunque, per non ingenerare il sospetto che siano, queste, parole in libertà -oltretutto, per delicatezza mi sono astenuto dal fare nomi di molti autori fuorvianti-, mi permetto rinviare ad un mio articolo, intitolato “Tra finzione e realtà (Riflessioni su tendenze storiografiche dal 1866 a oggi)“, pubblicato sul “Giornale di storia costituzionale” del secondo semestre 2018, nel quale ricostruisco dettagliatamente le divaricazioni fra i fatti (quali nei resoconti parlamentari) e le ricostruzioni (in certa storiografia).
- Quali errate convinzioni, storicamente cristallizzate, smentisce il Vostro studio?
- Gli esempi sono molteplici. Tra i più rilevanti assurgono:
a) L’attivo ruolo del Senato in relazione alla vita degli esecutivi, esercitato sin dal 1848. Si sottolinea la fallacità di quell’ampia corrente storiografica che fu soggiogata alla “ipnosi cavouriana”, in base alla quale l’operato del conte Cavour sarebbe stato il perno di tutto (sia di ciò che fu, sia di ciò che non fu) e quindi anche del consolidamento, sul piano istituzionale, del regime parlamentare. Ebbene, questa lettura del fenomeno costituzionale quale legato ad una volontà politica calata dall’alto, da un fattore di forza che si impone agli altri players, appare smentita dagli eventi concreti, che, invece, valorizzano una dimensione consensuale nella crescita della Costituzione. Cavour divenne ministro (dell’Agricoltura) il 12 ottobre 1850 e poi presidente del Consiglio il 4 novembre 1852: ebbene, già nel 1848-49 gran parte del telaio costituzionale si era strutturato, e indipendentemente da Cavour (che, oltretutto, nelle prime elezioni del 1848 non fu eletto);
b) la radicata visione di un ruolo ‘ancillare’ del Senato viene smentita dal dialogo attivo ch’esso instaurò sia con il governo (come dimostrato dai comitati segreti che si tennero dopo Caporetto, nei quali si dibatté, presenti il presidente del Consiglio e numerosi, importanti ministri, di problematiche militari), sia con l’opinione pubblica (ad esempio nel 1855 – Crisi Calabiana); ruolo, che consolidò l’immagine del Parlamento come luogo d’incontro prima ancora che come produttore di norme;
c) a dispetto dell’opinione consolidata che vedeva i senatori proni alla volontà del governo (in quanto la proposta di nomina al re scaturiva dall’esecutivo), vi sono stati casi di diniego della convalida di neo-nominati (financo in età giolittiana e nel regime fascista);
d) a dispetto della nota affermazione del Depretis, “Il Senato non fa crisi”, dagli atti parlamentari si rinvengono voti contrari su disegni di legge qualificanti per la vita dei governi (come nel dicembre 1848 sulla pubblica sicurezza e nel giugno 1874 sulle spese militari). Voti che portarono -più o meno direttamente- alle dimissioni delle relative compagini ministeriali;
- Come si articolò, nel periodo esaminato, l’attività della Camera alta del parlamento?
- La risposta è simmetricamente complementare a quella relativa alla precedente domanda: il Senato, senza clamore, interveniva nella vita delle istituzioni (e, in ultima istanza, nella vita del Paese) con interventi - nel controllo sul governo, nella legislazione - non vistosi, ma importanti. L’esser quella di senatore una funzione a vita liberava i titolari dalla necessità di rincorrere vistosamente i ‘plausi’ dell’opinione pubblica.
I senatori erano spesso e volentieri - dai tempi di Carlo Alberto (1848-49) sino all’età giolittiana e ancora nel fascismo - chiamati a presiedere le commissioni governative per la redazione dei disegni di legge (mentre i deputati erano semplici componenti in quei collegi). È evidente che quei senatori incidevano sul testo extra moenia, cioè fuori dell’Aula parlamentare.
- Quali esempi suggellano l’importante ruolo svolto dal Senato del Regno?
- Anche in questo caso, gli esempi sono molteplici e non si può che citare e plurimis:
a) Il Senato ha, sin dalla prima legislatura subalpina, disposto il voto di fiducia al governo (probabilmente già nel luglio 1848 al governo Casati-Plezza; di certo nell’ottobre dello stesso anno, al governo Perrone-Pinelli) e, altresì, ha ‘accelerato’ lo scioglimento dell’altra Camera: ad es., il 23 dicembre 1848 il voto negativo sul provvedimento relativo alla pubblica sicurezza indusse il presidente del Consiglio, Gioberti a chiedere al re lo scioglimento dell’Assemblea dei deputati;
b) altresì, merita rilievo l’interpretazione del ruolo del presidente d’assemblea, che il Senato interpretò da subito in senso imparziale ed equidistante (sin dal 1848, come dimostrato dalla reprimenda che il senatore Balbi-Piovera formulò al Presidente Coller per aver espresso rammarico a seguito della caduta del Governo). E la Camera seguì il solco dell’imparzialità presidenziale decenni dopo, da Crispi in poi;
c) La volontà di dialogo con il Paese venne affermata già quando il Senato volle istituire, ancorché non prevista dal suo regolamento, la commissione per le petizioni (prevista solo nel regolamento della Camera);
d) Non va infine trascurato, come fattore costituzionale, il prestigio dei singoli componenti: più che sull’autorità, facevano perno sulla ‘autorevolezza’. Esempi di ciò sono i comportamenti tenuti da importanti maestri del diritto, che, quali senatori del Regno, si permisero di criticare il fascismo. È il caso, ad es., del professore L. Lucchini: dissociatosi, in uno scritto sulla celebre “Rivista penale” del 1926, da un intervento alla Camera svolto da Mussolini ed immediatamente perseguito dal prefetto di Perugia; il Senato, costituitosi in Alta corte di giustizia, deliberò non farsi luogo a procedere. Ancora nel 1938 veniva ipotizzata la decadenza del conte Sforza in quanto antifascista, ma il presidente Federzoni, interpretando il comune sentire dell’Assemblea, non diede seguito alla richiesta.
Romano Ferrari Zumbini insegna Storia del diritto presso l’Università LUISS “Guido Carli” di Roma e di Storia costituzionale presso la School of Government della medesima università.
https://www.letture.org/senato-segreto-romano-ferrari-zumbini-giulio-stolfi-lorenzo-carnimeo