Michela Meschini e Calvino postmodernista
di Giorgio Cipolletta, La Bottega di Hamlin, 3 novembre 2020
Calvino e il postmodernismo, un connubio perfetto nel dibattito contemporaneo. Ad aiutarci in questo viaggio è Michela Meschini, docente di Critica letteraria e letterature comparate presso l’Università degli Studi di Macerata.
Con il suo saggio Visioni postmoderne. Percorsi teorici e testuali ne Le città invisibili di Italo Calvino edito nel 2018 dalla casa editrice marchigiana eum (Edizioni Università di Macerata), la studiosa esplora le città invisibili calviniane, i suoi labirinti, le sue possibilità molteplici, le forme del tempo, le immagini, le differenze dialogiche, le contraddizioni e le metamorfosi. Il paradigma postmoderno risorge più problematico che mai nell’attualità e nel dibattito internazionale.
La trama
Nel 1979 con La condition postmoderne di Jean-François Lyotard si inizia a riflettere sulla delegittimazione delle metanarrazioni della modernità, sulla frammentarietà delle forme culturali e contemporaneamente si ascrive una società immersa dentro ad una serie imprevedibile di cambiamenti e trasformazioni.
Se il postmodernismo raccoglie una nuova percezione del tempo e dello spazio, la postmodernità sancisce la sua sovrastruttura (marxiana) estetica e culturale collocandosi dialetticamente nell’età delle trasformazioni, dove anche la conoscenza e la percezione modificano il proprio habitus. Nell’epoca del pensiero debole, così definito da Vattimo e Rovatti, si eleva un senso potente di precarietà accompagnata dalla liquidità tanto cara a Bauman, in cui i new media “rimediano” la loro presenza dentro realtà virtuali e aumentate amplificando la fragilità delle relazioni e dei legami culturali, religiosi e sociali, cortocircuitandosi dentro una globalizzazione asfissiante dei mercati.
La recensione del libro di Michela Meschini
Il postmoderno ancora mantiene viva la sua complessità “esponenziale” e la necessità di un dibattito aperto, plurale e multiplo. In soccorso, Michela Meschini interpella Italo Calvino e le sue città invisibili, come manifesto della “molteplicità”, delle visioni aperte e “ubique”, delle voci, degli atlanti, dove governa il registro delle differenze e allo stesso tempo dello smarrimento del senso storico e del legame con il passato e il senso delle temporalità dell’esperienza.
Il paradigma dispotico e apocalittico del postmoderno, integra il trionfo dell’effimero e della deriva relativistica. Il suffisso post-, ci spiega Meschini, non sta ad evidenziare solamente un “dopo” la modernità, ma piuttosto sancisce un “contro” la modernità stessa e l’età delle ragioni forti. La storia non appartiene più al passato come continuum lineare, ma il tempo storico si forma dentro unità discrete, segmenti, intervalli. L’essere dopo la storia nel saggio di Meschini non sancisce la fine autentica del processo storico, bensì la fine di un’idea di storia. Calvino comprende bene l’esigenza dei tempi, le interconnessioni, delle realtà labirintiche, plurime, accidentali, discontinue e ne sono esempi le forme combinatorie ne Le città invisibili (1972), ne Il castello dei destini incrociati (1973), nel metaromanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e in Palomar (1983). É nelle Città invisibili che il lettore si perde, nella sua discontinuità retta dallo “sguardo discreto” di Meschini che indaga l’opera enigmatica, la sua reticolare visione postmoderna del mondo.
L’immagine della città, come quella dei sogni, in Calvino propone ambivalenza combinatoria tra matematica e letteratura, seguendo un criterio di alternanza scalare e lo spirito “magico” del viaggiatore irrefrenabile Marco Polo alla corte del Gran Khan Kubilai. La scenografia fantastica del Milione accanto a Le mille e una notte rappresentano simbolicamente quel continente immaginario a cui lo scrittore italiano si ispira. La presa di posizioni di Calvino rovescia i punti di vista, mescola le carte, si sbarazza delle dicotomie connotando il divenire come spazio privilegiato dell’altro.
Michela Meschini in questo saggio denso e profondo scopre le carte del postmodernismo, le sue ambiguità, recuperandone l’etica dell’alterità, “la presa della parola” di Calvino, la frammentazione inestricabile di una complicazione complessam dove l’idea della storia dissemina reticoli e produce possibilità differenti, manifestando un desiderio anti-antropocentrico e sfuggendo dalle centralità testuali per poi acquisire “rime” rizomatiche. In questa esplorazione simbolica del discontinuo che Meschini attraversa, offre al lettore una possibilità di fuga in un gioco irrisolto delle formalità linguistiche strutturali e narrative, dove la forza visionaria di Calvino illumina il dibattito post-moderno e dove il trattino che separa il suffisso non è che il trampolino di lancio per un futuro dove la discontinuità diviene sinonimo di cambiamento e contro direzione.
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