di Elizaveta Illarionova, Enthymema, XI, 2014, pp. 195-203
A quasi venticinque anni dall’edizione originale e a quasi dieci dalla scomparsa dell’autore, ecco che appare finalmente in traduzione italiana uno degli ultimi volumi di Eleazar Moiseevič Meletinskij: Istoričeskaja poètika novelly, nella traduzione e con le note di Laura Sestri e con una nota introduttiva di Massimo Bonafin.
Poetica storica della novella mira a dare conto della vicenda evolutiva del genere novellistico a partire dalle radici più remote, innanzi tutto la fiaba (occidentale e orientale), fino al «tardo realismo» di Anton Čechov. Oggetto privilegiato dell’ampia analisi di Meletinskij è la novella europea, mentre le tradizioni cinese e araba costituiscono il preliminare terreno di confronto con la fiaba novellistica occidentale in virtù delle varie e molteplici declinazioni del fantastico, proprie di queste tradizioni, che in essa confluiscono, e nella consapevolezza della costitutiva logica relazionale alla base della poetica storica. Osserva a tal riguardo Meletinskij che «l’essenza di un genere, come di un qualsiasi altro fenomeno, si svela meglio nell’analisi del suo "essere altro" nelle diverse forme storico-culturali (areali e nazionali)» (Poetica storica 69).
L’autore ricostruisce dunque l’evoluzione delle forme che portano alla nascita della novella: dalla fiaba di magia si genera la fiaba novellistica; da quest’ultima e dall’aneddoto, attraverso le forme prenovellistiche dei fabliaux, dei lais e degli Schwanken, ancora strettamente connesse al folklore, si giunge al capitolo fondamentale della novella letteraria classica del Rinascimento, il cui fondatore viene riconosciuto in Giovanni Boccaccio. Nei secoli XVII-XVIII la novella subisce quindi un processo di attrazione nell’orbita del genere del romanzo in propulsiva crescita – un processo, vale la pena di sottolinearlo, definito con il termine «romanzizzazione» (romanizacija), ben familiare ai lettori di Michail Bachtin. Con il Romanticismo, grazie soprattutto alla fortuna dell’estetica del meraviglioso, si assiste a un riavvicinamento alla novella orientale; l’eredità romantica persiste nella novella dell’epoca del realismo classico e viene abbandonata solamente nel tardo realismo, «alle soglie del naturalismo, dell’impressionismo e del neoromanticismo» (367) di fine Ottocento. È questo in estrema sintesi il percorso diacronico del genere tracciato dallo studioso russo lungo lo scorrere dei secoli e delle grandi correnti letterarie. Tutte le suddette metamorfosi vengono quindi passate al setaccio attraverso l’analisi dettagliata dei rispettivi intrecci e procedimenti narrativi.
Raccogliendo il grande lascito di Aleksandr Veselovskij, di cui si dichiara «pronipote» – mentre il suo diretto maestro è il linguista, filologo e teorico della letteratura Viktor Žirmunskij – l’autore illustra con rigore e dovizia documentaria come l’origine della novella si radichi profondamente nel folklore e nella «interazione fra tradizione orale e scritta» (351) nel periodo antico e medievale, risalendo alla fiaba: infatti «la fiaba propriamente novellistica, così come quella aneddotica, rappresenta l’antesignana e l’equivalente folklorico della novella» (352). L’elemento decisivo per la stabilizzazione morfologica del genere in Occidente, per la sua definitiva 'individuazione', potremmo dire, è secondo Meletinskij il configurarsi e stabilizzarsi dell’individualità umana in quanto valore e realtà sociale, nella sua autonomia e nella sua fattiva laboriosità. Anche in tal senso acquisisce rilievo il processo di svincolamento progressivo dall’elemento magico e folklorico, favorito in particolare dall’«ideologia umanistica»:
«Si ritiene che l’umanesimo rinascimentale italiano abbia generato la novella. In realtà non è così. Gli stili e le tendenze letterarie, e tanto più quelle ideologiche, non danno origine a nuovi generi, ma influenzano il processo della loro formazione e della loro trasformazione. L’umanesimo rinascimentale e l’ideologia individualista del Rinascimento sono stati dei potenti catalizzatori nel processo di formazione della novella classica, ma presupposto più importante e generale è stata la tendenza all’emancipazione dell’individualità, da qui il pathos dell’iniziativa individuale e dell’autonomia, che permea la novella italiana, modello classico del genere.» (359)
Il passo appena citato costituisce un ottimo esempio dello stile argomentativo dello studioso, che in tutto il suo lavoro affianca e alterna fenomeni collocati su scale diverse: il commento della singola opera, il profilo di un autore, di una corrente, di un’epoca, la costante millenaria, in una prospettiva capace di abbracciare i fenomeni letterari nella loro interezza di eventi culturali, storici, antropologici e di collocarli al contempo in reti di vicendevoli relazioni. Così, lo studio sulla novella permette di osservare attraverso il prisma di un genere lo sviluppo della letteratura europea. Si potrebbero riportare numerosi esempi di tale atteggiamento simultaneamente analitico e sintetico, ma ne citeremo solamente uno. Si tratta di un brano che fa parte del capitolo 2, La novella classica di epoca rinascimentale:
«il "riso" intenzionale di des Périers, che include il germe dello scetticismo storico, è già abbastanza lontano dalla fede ottimistica nella potenzialità dell’uomo e dalla descrizione armonica delle sue molteplici manifestazioni boccaccesche.
Qui può dirsi la differenza tra Italia e Francia, tra primo e tardo Rinascimento.» (176)
Dal confronto tra i procedimenti usati da due autori – nella fattispecie Boccaccio e des Périers – per la creazione dell’effetto comico si sviluppa, qui, una riflessione di ben più ampio raggio. L’onnivora curiosità scientifica di Meletinskij conduce la ricerca in territori e tempi lontanissimi fra loro, dal medioevo fino al Novecento, dall’epos scandinavo alle fiabe cinesi. Osserva a questo proposito Massimo Bonafin come sia propria dello studioso russo
«una straordinaria apertura del compasso investigativo, che non si precludeva l’accesso a opere distanti nel tempo, nello spazio, nella lingua, nella cultura; d’altro canto, si rivela pure una rigorosa fedeltà ad alcuni nuclei tematici, lo sviluppo delle forme narrative dal sincretismo primordiale, l’intersezione e lo svolgimento dei generi prediletti del racconto mitico, della fiaba (in tutte le sue varietà), dell’epica fino alla sua metamorfosi nel romanzo moderno (di cui riconosceva bene le radici medievali).» (XI)
In tale varietà di interessi resta dunque salda la base etnografica e storica – Meletinskij, infatti, sottolinea più volte la necessità di radicare la sua ricerca in una «specificità storico-culturale (areale)» (Poetica storica della novella 189) – e la passione per la narrazione in tutte le sue varietà:
«Alle forme universali del racconto, sia esso fiabesco, aneddotico, novellistico, epico, eroico, romanzesco, è in effetti dedicata, vista panoramicamente e compendiosamente, tutta la ricerca scientifica di Meletinskij, che esplicita e aggiorna la fondamentale natura antropologico-letteraria della poetica storica.» (Bonafin X)
I fondamenti teorici e l’arsenale metodologico di questa ricerca si inscrivono in una tradizione inconfondibilmente russa, che salda lo scavo storico etnografico e lo sguardo sincronico strutturale, e che si riconosce innanzi tutto nel magistero di colui del quale Meletinskij amava, come ricordavamo sopra, autodefinirsi «pronipote»: Aleksandr Nikolaevič Veselovskij.(1)
È infatti dallo studioso ottocentesco che Meletinskij eredita il concetto di poetica storica, così come la lezione di Aleksandr Nikolaevič esercita di fatto un ruolo decisivo nell’opera di altri critici e teorici della letteratura russa di più di una generazione, ivi compresi i formalisti, nonostante le loro frequenti dichiarazioni contrarie. Trattando dei formalisti, ma anche di studiosi come Bachtin, Propp e Lotman, Igor’ Šajtanov – che ha ricostruito la Poetica storica veselovskiana – afferma che «lo spazio in cui operano questi influenti studiosi è stato scoperto da Veselovskij» (Šajtanov 35). Tale spazio è, appunto, quello della poetica storica, che si oppone alle poetiche normative. Per Šajtanov (il corsivo è suo) «Il proposito di storicizzare la poetica è analogo alla dinamizzazione dello spazio euclideo compiuta da Lobačevskij» (41). Ciò che era immobile e prescrittivo è divenuto flessibile, descrittivo, multidimensionale.
Una spiegazione dettagliata dei princìpi di base della poetica storica in questa nuova accezione è stata fornita da Meletinskij stesso nel corso delle tre lezioni da lui pronunciate nel maggio 1989 all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Nella terza lezione, intitolata La poetica storica. Lineamenti e prospettive, lo studioso definisce la sua materia:
«A mio vedere la poetica storica è una parte della poetica e, come gli altri settori della poetica, in quanto metadescrizione della letteratura, si contrappone in primo luogo alla poetica normativa. […] D’altro lato, la poetica storica si trova […] in rapporto di distribuzione complementare, rispetto alla poetica classificatoria, propriamente descrittiva e teorica. […] La poetica storica è orientata verso la diacronia […]; la poetica descrittiva è orientata verso l’aspetto sincronico.» (Tre lezioni di poetica storica e comparata 90-91)
In seguito Meletinskij elenca le due varianti di poetica storica, la prima delle quali gli è estranea:
«Si tratta di una specie di storia della letteratura teorizzata. Questo tipo di poetica storica pone l’accento sui cambiamenti […]. Ossia tutta la storia della letteratura viene divisa in periodi ed ogni periodo possiede una propria poetica.» (93)
Da Veselovskij e dai suoi allievi (e quindi da lui stesso, Eleazar Moiseevič), invece, a quest’ottica è stata sostituita un’altra, incentrata sul linguaggio letterario concepito come insieme dei mezzi stilistici, immagini e tópoi. La poetica storica diventa dunque
«una scienza della formazione della letteratura, dell’arte verbale e del suo linguaggio. Non si tratta della lingua letteraria intesa esclusivamente sotto il profilo del "discorso linguistico", ma del linguaggio inteso nel senso più ampio del termine, come una sorta di sistema segnico, nel quale sono compresi, ad esempio, i mezzi stilistici. Si è venuta formando una sorta di lingua della letteratura, che nel corso della storia ha subito modificazioni, ma non così profonde o totali come a volte ci pare. Una certa base si conserva e si tratta di un fondo principale di mezzi stilistici, di immagini letterarie, di alcuni tópoi fondamentali: ecco ciò che costituisce in primo luogo l’oggetto dell’interesse della seconda variante della poetica storica.» (93)
Una poetica storica è pertanto impossibile senza conoscenze profonde ampie, enciclopediche, che comprendano le prime forme narrative e i loro successivi sviluppi; ma è tuttavia poco efficace qualora manchi uno sguardo comparatistico. A questo proposito Igor’ Šajtanov, durante la discussione di un intervento di Michail Andreev sulla comparatistica e la poetica storica, sottolinea come «la comparatistica russa sia nata all’interno della poetica storica, o sia stata pensata come base della poetica storica», e come ciò abbia dato allo studio delle letterature comparate un inconfondibile «accento russo» (Andreev 236) (il corsivo è sempre dell’autore). Mentre altrove «la comparatistica si è creata per seppellire la poetica» (Andreev 237), in Russia le due discipline sin dal principio hanno stretto una fruttuosa collaborazione. Si deve in larga misura a questa simbiosi la straordinaria ampiezza dello sguardo dei migliori studiosi russi, tra i quali non ultimo Eleazar Meletinskij.
Del suo percorso, eccezionalmente coerente nelle sue varie declinazioni e divagazioni, la Poetica storica della novella costituisce quasi l’approdo finale. Giunge, infatti, quattro anni dopo la fondamentale Vvedenie v istoričeskuju poètiku èposa i romana (Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo) (1986) e sei anni prima di Dostoevskij v svete istoričeskoj poètiki (Dostoevskij alla luce della poetica storica) (1996).
Inoltre, osservando questo elenco di pubblicazioni, non si può non notare una convergenza di interessi con l’opera di Michail Michajlovič Bachtin. Non a caso anche per lui si è parlato di poetica storica.(2) E infatti Bachtin non manca di riconoscere il magistero di Veselovskij. Così per esempio inizia il suo scritto del 1943 Problemi di teoria e storia del romanzo recentemente tradotto in italiano:
«A.N. Veselovskij ha intitolato la prima lezione introduttiva (teoretica) sulla storia del romanzo con la domanda «Teoria o storia del romanzo?» La domanda è rimasta anche per me: questa non è né una teoria del genere in senso consueto né una sua storia in senso consueto, sebbene la mia concezione si distingua piuttosto sostanzialmente dalla concezione di Veselovskij (non tanto per il metodo quanto per il materiale).» (Bachtin 161) (3)
Oltre che da alcune questioni e tematiche comuni, la somiglianza tra l’opera di Meletinskij e quella di Bachtin deriva, in generale, dall’ampiezza di orizzonti e di prospettive e dall’ambizione conoscitiva che entrambi coltivano, dalla capacità del loro pensiero di abbracciare epoche lontane nel tempo e di saperne leggere relazioni e convergenze, con una peculiare collocazione «ai confini» (Sini, Michail Bachtin 113-17). Pur nella diversità dei destini personali – ricordiamo che Meletinskij, nonostante l’esperienza della guerra e dei campi di prigionia, dopo la riabilitazione ebbe la possibilità di lavorare e pubblicare i suoi saggi – e dell’approccio scientifico di base – filosofico per Bachtin, storico-etnografico per Meletinskij – ulteriori affinità tra i due sistemi di pensiero possono essere individuate. (4) Entrambi gli autori, per formulare la loro proposta teorica, prendono le mosse dalle forme arcaiche di narrazione; entrambi portano tale proposta, attraverso un fondamentale stadio rinascimentale (Rabelais in Bachtin, Boccaccio in Meletinskij), fino all’opera di Fëdor Dostoevskij. Un altro sostanziale momento di contatto è rappresentato dalla decisiva centralità per entrambi della categoria del genere letterario: se per Bachtin il genere letterario è «il punto di intersezione dei problemi e dei metodi della poetica teorica così come di quella storica» (Tamarčenko 33), per Meletinskij è il campo di indagine prediletto. D’altronde, «per quanto si allontanino gli uni dagli altri nello spazio della poetica storica i successori di Veselovskij, sia Bachtin che i formalisti ragionano secondo la categoria del genere» (Šajtanov 71). Possiamo aggiungere che anche il «pronipote» di Veselovskij ragiona allo stesso modo, dal momento che dedica i suoi studi rispettivamente alla fiaba, all’epos, al romanzo, alla novella.
Ecco una definizione del genere letterario, formulata da Igor’ Šajtanov, che corrisponde perfettamente a ciò che Meletinskij fa nell’opera di cui stiamo trattando:
«Il genere è la via di sbocco sul piano dell’intero, il mezzo di completamento artistico, che fa corrispondere ogni singola opera con la tradizione e le assegna un posto nella realtà nella quale essa vive.» (71)
Tale operazione viene compiuta da Meletinskij per la novella nel momento in cui assegna ad essa il posto che deve di diritto occupare nella sua realtà spaziale e temporale, localizzandola quindi all’interno della rete di interconnessioni che la lega alla fiaba, alla favola, all’aneddoto da un lato, e al romanzo breve, al petit roman, al romanzo dall’altro.
Il tutto è altresì corredato da un’attenta lettura critica degli studi dei molti ambiti che sono affrontati nella ricerca. Sin dall’introduzione di Poetica storica della novella, infatti, si nota come nonostante il sostanziale isolamento della scienza sovietica Meletinskij fosse al corrente delle teorie letterarie più recenti. Anche per quanto riguarda la ricerca sulla novella, egli si mostra sempre a suo agio tra gli studi critici più importanti, dandone conto, riportandone i punti salienti e spesso obiettando ad alcune affermazioni. Un esempio di tale atteggiamento è costituito dalla polemica con Vittore Branca sugli argomenti della decima giornata del Decameron. Lo studioso italiano, più volte citato da Meletinskij, ritrovava nelle novelle di tale giornata, nell’ordine, i temi del destino, dell’amore e della ragione; il critico russo confuta tale tesi, sostanzialmente finendo per dare ragione al novellista stesso:
«decantando nelle novelle della decima giornata lo spirito eroico dei sentimenti e delle azioni (e non l’amore come tale e, in ogni caso, non l’amore dei sensi), Boccaccio fa emergere in qualità di Leitmotiv anzitutto la magnanimità, che ritiene espressione nobile di umanità e valore.» (Meletinskij, Poetica storica 133)
Un altro elemento polemico – probabilmente voluto, per quanto non dichiarato – si manifesta nel negare alla letteratura medievale e rinascimentale il realismo.(5) In ciò Meletinskij sembrerebbe opporsi alle tesi espresse da Erich Auerbach, che aveva trattato del realismo di Boccaccio nel capitolo IX di Mimesis. (6)
Seguendo un suggerimento di Massimo Bonafin (XXI), proviamo a seguire questa presenza auerbachiana nel testo di Meletinskij. Il quale afferma:
«La forza vitale multiforme, specialmente laica, terrena, del Decameron, il suo carattere vigoroso (dato sullo sfondo della morte pestilenziale), così come la presenza di alcuni dettagli di vita quotidiana, non ci dà il diritto di definire il Decameron, così come tutto il Rinascimento novellistico italiano, realistico. Il Decameron è "realistico" soltanto nel confronto con gli exempla medievali e con gli aneddoti puramente folklorici. L’orientamento stesso della novella classica verso eventi straordinari e verso situazioni eccezionali, in molto ancora tradizionali e convenzionali, indirettamente contraddice il realismo.» (139)
Il disaccordo tra i due studiosi deriva però, probabilmente, dal punto di vista assunto, più che da una divergenza di fatto. Infatti, mentre Meletinskij interpreta il realismo come realismo psicologico e uso di intrecci non convenzionali, per Auerbach il «realismo» di Boccaccio sta soprattutto nello stile: «uno stile "medio" o misto, che unisce il realismo e l’erotico a un’elegante forma linguistica» (224). Si confronti anche questa osservazione generale:
«il primo Umanesimo non possiede, di fronte alla realtà della vita, nessuna forza etica costruttiva; esso abbassa nuovamente il realismo al livello stilistico medio, privo di problemi e di conflitti, che nel classicismo antico era stato posto al realismo come limite estremo verso l’altro, e, proprio come anche allora era avvenuto, gli dà per tema principale, anzi quasi unico, l’erotica» (236-237). In altre parole, come è noto, Auerbach interpreta quale segnale di realismo il rifiuto della teoria classica della corrispondenza fra materia e stile. Il realismo si impone dunque a suo parere con la «rivoluzione contro la teoria classica dei livelli stilistici» (587) avvenuta all’inizio dell’Ottocento. Ma tale rivoluzione non era la prima:
«le barriere, abbattute dai romantici e dai realisti, erano state innalzate la prima volta dai seguaci d’una rigida imitazione delle letterature antiche soltanto verso la fine dei secoli XVII e XVIII. Prima, sia durante tutto il Medioevo, sia ancora durante il Rinascimento, si era avuto un realismo serio; era stato possibile, nella poesia e anche nelle arti figurative, rappresentare i fatti più consueti della realtà entro un insieme serio e grave; la teoria dei livelli stilistici non aveva nessuna validità generale. Per quanto il realismo medioevale sia diverso dal moderno, esiste tuttavia fra i due questo accordo di principio.» (587)
Aurelio Roncaglia nella sua introduzione all’edizione italiana di Mimesis spiega che il realismo cercato da Auerbach è quello linguistico, anzi stilistico:
«Non si tratta solo di realismo linguistico, ma di relazione esistenziale tra gli autori e la realtà del loro tempo: sicché il variare degli stili rappresenta, in certo senso, il variare della nozione stessa di realtà […]. Quella di "realismo" non è una categoria metafisica definibile a priori, ma – come le altre categorie storiografiche usate dall’Auerbach – una direttrice d’orientamento relativa ad esperienze generali in una determinata situazione storica, che per il critico ed i suoi lettori non può essere se non la situazione contemporanea.» (XXX)
Se dunque lo stile rispecchia la visione della realtà di un autore, possiamo forse intravvedere una concordanza tra Auerbach e Meletinskij in questo passaggio della Poetica storica della novella:
«Il modello del mondo del Decameron ci fornisce il primo e allo stesso tempo il più rappresentativo esempio classico e, aggiungerei, armonico del modello del mondo della novella rinascimentale.» (Meletinskij, Poetica storica 135)
Vale a dire: quello di Boccaccio è un modello appunto, un paradigma, cioè una ricostruzione stilistica più che realistica di un mondo. Tale (ri)costruzione presenta determinati tratti distintivi, per esempio «l’attivismo umano non è una caratteristica dei singoli personaggi, ma una determinata dominante nel modello del mondo del Decameron» (135-136). Dove Auerbach vede un «realismo libero, ricco, magistrale nel dominare i fenomeni» (240), Meletinskij vede la costruzione di un modello armonico del mondo. I due autori paiono essere sostanzialmente d’accordo, divergendo nel nome da attribuire alla perfetta padronanza boccaccesca della variegata materia delle sue novelle.
Poetica storica della novella si inserisce dunque a pieno titolo nel percorso evolutivo dello studioso, al quale ben si potrebbero applicare queste parole scritte sul suo grande predecessore, Veselovskij: «nel corso stesso delle sue ricerche si percepisce una enorme regolarità interna, una sorta di piano pensato in anticipo» (Èngel’gardt 13-14). Ma, a differenza di Veselovskij, Eleazar Meletinskij non lasciò incompiuto l’edificio che sognava. La sua poetica storica, fondandosi saldamente sulle prime indagini relative ai culti primitivi, all’epos, al mito e alla fiaba, ha costruito una struttura interpretativa ramificata, stabile e convincente, culminante nel romanzo e nella novella del tardo Ottocento.
«Meletinskij condusse a termine l’idea, avanzata da Veselovskij, di diffondere lo studio dei fenomeni dello schematismo universale e della ripetitività a quella letteratura nella quale domini il principio autoriale. Cioè fece quello che Veselovskij stesso, per un motivo o per un altro, non ebbe il tempo di fare.» (7) (Andreev 245)
In conclusione, un indubbio vantaggio che viene agli studiosi italiani dalla benemerita traduzione di questo saggio è la possibilità di vedere la propria tradizione letteraria in un orizzonte più ampio, inserendola entro la tradizione europea e, oltre questa, in un contesto mondiale. Anche in tale prospettiva per chi si occupa delle lettere italiane risultano particolarmente istruttive le pagine dedicate dall’autore al Boccaccio e agli altri novellisti italiani. Il valore dell’edizione aumenta poi grazie alla nota introduttiva di Massimo Bonafin che, dopo la puntuale esposizione della complessa e sofferta biografia meletinskiana, presenta il pensiero dello studioso nella sua evoluzione, commentandone tutte le opere pubblicate e mettendo in luce i punti salienti della sua riflessione. Sono utili per la comprensione del testo anche le note inserite dalla traduttrice, che spaziano dalla correzione di piccole sviste dell’autore all’esplicitazione delle scelte traduttive e persino alla spiegazione di termini della filologia russa (come «esposizione», èkspozicija, e «motivazione», motivacija).
Una coincidenza peculiare: il 16 dicembre 2005, nello stesso giorno della scomparsa di Meletinskij, è mancato anche Samson Naumovič Brojtman. La poetica storica ha perso in un solo giorno due dei suoi esponenti più illustri: il primo sul versante narrativo, il secondo su quello lirico.
1 Cfr.: «L’assidua frequentazione e la passione nativa per la poesia orale e il folclore che caratterizzano linguisti, filologi, letterati e critici letterari russi, il principio del sincretismo veselovskiano, su cui si è innestata l’impostazione teorica delle ricerche comparative storico-tipologiche del Žirmunskij […] e gli studi storico-strutturali di Propp, spiegano come fin dall’inizio nell’opera di Meletinskij storia e struttura siano organicamente complementari» (Lasorsa Siedina 7-8).
2 S.N. Brojtman lo definisce addirittura «un classico» di questa disciplina filologica (14).
3 La lezione alla quale Bachtin si riferisce venne letta da Veselovskij il 3 ottobre 1883. Ma il nome di Veselovskij compare numerose volte in questo scritto. Commenta Stefania Sini: «Evocando in apertura le autorevoli indagini di Aleksandr Veselovskij, Bachtin si dichiara suo erede. Li accomuna lo scavo oltre le opere e le correnti in direzione di una poetica storica di ampio respiro. A entrambi è proprio l’approccio congiunto di 'morfologia' e studio delle 'radici storiche', per usare il binomio che riassume il percorso di ricerca del folclorista e coetaneo di Bachtin Vladimir Propp» (Sini, «Perché questo è il mio tema» 148).
4 Mentre nelle opere di Bachtin non si registra il nome di Meletinskij, questo al contrario cita più volte teorie e nozioni bachtiniane, come per esempio in Srednevekovyj roman (Il romanzo medievale, 1983), ma anche, indirettamente, qui in Poetica storica della novella, nel momento in cui adopera termini come romanzizzazione e novellizzazione (che sembra ricalcato sul primo). A proposito della conoscenza possibile tra Bachtin e Meletinskij un documento interessante è costituito da una lettera del 12 marzo 1961 di Vadim Kožinov a Bachtin. Qui, in riferimento alla propria monografia Proischoždenie romana (Origine del romanzo) mandata a Michail Michajlovič per un parere di lettura, Kožinov menziona Meletinskij come revisore ufficiale del volume, ne loda il lavoro e chiede all’anziano maestro se lo conosca: «… Meletinskij (eccellente specialista di folclore e dei primi stadi dell’epos letterario). Voi lo conoscete? È in generale una persona molto buona e di talento (ha circa quarant’anni, ha studiato all’Università Statale di Leningrado, dopo la guerra, qualche anno di lager, infine il nostro Istituto; nel 1958 è uscito un libro interessantissimo: L’eroe della fiaba di magia (Geroj volšebnoj skazki); ora pubblicherà un trattato piuttosto voluminoso sull’origine dell’epos antico – una ricerca molto profonda». Il libro di Meletinskij cui Kožinov si riferisce è Proischoždenie geroičeskogo èposa, uscito nel 1963» (Sini «Perché questo è il mio tema» 158n).
5 Cfr.: «naturalmente, non bisogna parlare di serio realismo del fabliau (come anche di tutta la letteratura medievale), dal momento che la quotidianità del fabliau è connessa principalmente con la descrizione del "basso" più che con la pretesa di dipingere l’ordinario» (91).
6 A differenza di Poetica storica della novella, dove non lo menziona esplicitamente, Meletinskij cita diverse volte E. Auerbach in Il romanzo medievale.
7 Andreev applica qui a Meletinskij la celebre teoria, derivata da Curtius e formulata da Averincev, di tre fattori costitutivi del paradigma letterario: autore, stile, genere. Nell’età arcaica della letteratura i tre fattori appaiono ancora mischiati e confusi, nell’epoca del «tradizionalismo retorico» domina lo stile, nel Rinascimento prende il sopravvento il genere, infine – a partire dall’età romantica – si impone l’istanza autoriale. I fenomeni della ripetitività, pertanto, si ritroverebbero più facilmente nelle epoche dominate da istanze più 'tecniche'.
Bibliografia
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Enthymema. Rivista internazionale di critica, teoria e filosofia della letteratura