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Note sul testo
Gli Anecdota Graeca di Ludovico Antonio Muratori sono il risultato di un lungo ed estenuante lavorio, che tenne impegnato l'erudito di Vignola dal 1696, anno in cui rinvenne un antico manoscritto contenente carmi inediti di Gregorio Nazianzeno, al 1704, allorché l'indagine filologica sugli Epigrammata del Cappadoce poteva dirsi ultimata. Gli Anecdota, tuttavia, in seguito a difficoltà editoriali, poterono vedere la luce soltanto nel 1709. Il presente saggio ripercorre a ritroso le varie fasi che hanno scandito il 'farsi' dell'edizione, per gettare luce sulle caratteristiche distintive della filologia e dell'erudizione tra la fine del sec. XVII e l'inizio del sec. XVIII. Alla realizzazione del progetto di Muratori contribuirono diversi studiosi ai quali il Vignolese dava incarico di condurre ricerche nelle biblioteche delle loro rispettive città al fine di reperire nuovi testimoni della tradizione manoscritta. Sotto questo riguardo l'edizione a stampa degli Anecdota Graeca, che fu preceduta da due redazioni manoscritte che riflettono il progressivo stato della ricerca, è largamente debitrice a Giovanni Boivin, responsabile della Bibliothèque Royale di Parigi, a Giovan Battista de Miro, bibliotecario della Vaticana, ed infine ad Anton Maria Salvini, professore di latino e greco allo Studium Florentinum; quest'ultimo fornì a Muratori la trascrizione di gran parte del materiale tràdito da esemplari della Medicea, che egli si premurava di arricchire di volta in volta con sue congetture e note di commento. A proposito di Salvini, nella seconda parte del volume, è riprodotto il carteggio tenuto con Muratori, che permette di seguire, quasi componimento dopo componimento, il graduale realizzarsi di tale impresa.
Giuseppe Flammini insegna Storia della lingua latina e Metrica greca e latina all’Università di Macerata. Si è occupato di Letteratura cristiana antica – con contributi dedicati a Giovenco, Sedulio, Claudio Mario Vittorio, S. Agostino e Boezio – e di Letteratura e lingua latina, con particolare riferimento al teatro gesuitico latino (Ludovici Aureli Perusini Germanicus, Tragoedia, Roma 1987).
Note
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Nel febbraio 1695 Ludovico Antonio Muratori si trasferisce a Milano per ricoprire un posto di bibliotecario presso l'Ambrosiana, con l'animo colmo dell'ansia di scoprire e divulgare nuovi testi e sempre serbando il suo sogno di costituire una Respublica litterarum quale risarcimento almeno culturale rispetto alla frantumazione politica d'Italia. E una scoperta importante non tardò: un manoscritto contenente carmi di Gregorio Nazianzeno con centinaia di versi che sembravano inediti. Da tale scoperta, ma grazie poi anche e soprattutto alla collaborazione ricevuta per via epistolare da studiosi italiani e stranieri, venne alla luce, dopo due redazioni manoscritte, nel 1709, presso la stamperia del seminario di Padova, la pubblicazione degli Anecdota Graeca che contengono nella maggior parte carmi di Gregorio, anche se non tutti inediti. Tale edizione mostra l'evidente progresso fatto dall'ecdotica rispetto alla precedente edizione parigina del Morel (1609-1611): il Muratori utilizza un maggior numero di testimoni manoscritti, vale a dire tre codici ambrosiani da lui personalmente collazionati, ma anche due codici parigini, tre vaticani ed uno fiorentino collazionati da altri studiosi in un lavoro di mutua ed efficace collaborazione. Il volume del Flammini segue appunto le vicende di tale lavoro a più mani di cui il Muratori fu artefice e protagonista, oltre che editore, e che si presentò come editio prìnceps del libro VIII Dell’Anthologia Palatina che contiene, appunto, la produzione epigrammatica del Nazianzeno (riferibile ai generi dell'epigramma autobiografico, sentenzioso, sepolcrale, al genere innografico, alla poesia d'ispirazione biblica, di contenuto precettistico e teologico). All'Introduzione, che percorre sommariamente le vicende di cui sì è detto, segue il II capitolo che tratta della struttura del volumetto del Muratori e del contributo offerto dai singoli testimoni della tradizione manoscritta. Il cap. III si sofferma sul contributo offerto dall'erudito milanese Michele Maggi in relazione alla prima redazione del testo per la quale propose alcuni emendamenti e soprattutto contribuì a migliorare la traduzione latina dei carmi inediti. Segue il capitolo dedicato a Giovanni Boivin che, su richiesta del Muratori, segnalò sue congetture e trascrisse scolii e glosse degli esemplari parigini da lui collazionati. Il cap. V si sofferma poi sul contributo di Giovan Battista de Miro, bibliotecario della Vaticana, in relazione a cinque carmi inediti tramandati dai tre esemplari di questa biblioteca da lui collazionati. Segue il capitolo dedicato ad Antonio Maria Salvini, professore presso lo 'Studium Florentinum1, che, con le sue collazioni fatte su un codice mediceo, avrebbe fornito un contributo determinante al lavoro del Muratori (e la sezione conclusiva del volume contiene, appunto, il carteggio tra i due studiosi degli anni 1699-1704 a testimonianza delle metodologie di scambio e confronto degli studiosi dell'epoca). — Seguendo le conclusioni del Flammini, si può dunque osservare come, se pure il corpus dei carmi del Nazianzeno sia stato notevolmente ampliato dal contributo del Muratori, è pur vero che il suo metodo filologico risulta ancora non accettabile per un'epoca in cui "la filologia stava cominciando, seppur molto timidamente e molto lentamente, ad affrancarsi dai criteri che avevano governato le edizioni umanistiche", soprattutto a causa della eccessiva frenesia di divulgare gli inediti che non consentiva al Muratori di considerare realmente il valore dei testimoni scoperti, oltre che a causa del suo metodo impostato sulla considerazione di uno o, al massimo, due codici ed in modo nemmeno del tutto coerente, visto che, pur convinto della superiorità del codice fiorentino, non sempre accoglie le sue lezioni anche quando evidentemente migliorano il testo. - Il volume, che si chiude con un'utile ed attenta bibliografia, oltre che con tre diversi indici, costituisce un'interessante testimonianza sulla filologia "all'alba del XVIII secolo" e sulle metodologie, significative e degne d'attenzione, anche se non sempre coerentemente scientifiche, degli studiosi dell'epoca. |