Alla ricerca dell’autorità
Se i figli restano bamboccioni, spesso è colpa di padri che rinunciano al proprio ruolo. E alla propria virilità, di Andrea Porta, Class, settembre 2013, pp. 33-34
Due milioni e mezzo di bambini italiani vivono in famiglia senza un padre, come conseguenza della separazione dei genitori: lo dice l’annuario Istat L’Italia in cifre 2012. Un numero in crescita, anche se lontano dagli Usa dove i piccoli senza genitore maschio sono uno su tre. Secondo i dati del Centro studi sul diritto di famiglia, in Italia il 49 per cento dei separati e il 33 dei divorziati hanno almeno un figlio minore. Ma se le separazioni per cui il giudice ha stabilito l’affidamento congiunto toccano l’89,8 per cento, in realtà nel 92 per cento dei casi a occuparsi del figlio è di fatto solo la madre.
Non sappiamo più essere padri. I padri sembrano scomparsi dal mondo occidentale. In Italia il fenomeno è ancora più sottile: quelli italiani spesso ci sono, ma non fanno i padri. E così, figli di una cultura mediterranea, e di madri iperaccudenti, i bambini vivono una vera emergenza. Il pedagogista Daniele Novara, del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti, non usa mezzi termini per parlare di una situazione che definisce drammatica: «Il fenomeno prosegue da 15 anni ma ha subito un’accelerazione negli ultimi cinque anni: i papà hanno condiviso molti aspetti del codice materno come la tenerezza, ma cosi facendo hanno perso di vista le loro specificità».
I problemi nascono da adolescenti. Se la condivisione materiale degli impegni familiari ha avuto un impatto positivo (un sondaggio condotto dallo stesso Novara nel 2000 aveva rilevato che ormai pressoché tutti i papà sanno cambiare i pannolini), un’educazione impartita quasi solo da madri e da padri che hanno perso il coraggio di mettere in campo la loro virilità ha conseguenza sul lungo termine. Lo fa notare anche Massimiliano Stramaglia, docente di pedagogia sociale e della famiglia dell’Università di Macerata e autore de I nuovi padri. Per una pedagogia della tenerezza (eum): «I genitori maschi sono materni nei riguardi del neonato, ma non sanno come coniugare la tenerezza con la necessaria fermezza nei confronti del figlio divenuto adolescente».
Essere sponde. Nel descrivere il ruolo ideale del padre, gli psicologi amano usare la metafora della sponda, come confine normativo ma anche come punto sicuro da cui partire per prendere il largo. Senza sponde, i figli rischiano di essere eterni bamboccioni: lo testimonia quel 68 per cento di allievi delle scuole medie che, secondo i dati forniti dall’osservatorio del Centro psicopedagogico di Daniele Novara, va ancora a scuola accompagnato dai genitori. Rinunciando anche simbolicamente a prendere il largo.
Non se ne può fare a meno. Del resto, che il ruolo paterno sia fondamentale allo sviluppo neuropsichiatrico è dimostrato da diversi studi. Quest’anno è uscito per Il Mulino Genitorialità. Fattori biologici e culturali dell’essere genitori, un volume che ne presenta alcuni. Gli autori. Marc H. Bornstein e Paola Venturi, spiegano che «la presenza del padre è un elemento fondamentale per il sano sviluppo del bambino: l’avere un padre presente in casa rispetto a un padre assente, durante i primi tre anni di vita, comporta un minor numero di problemi comportamentali e una migliore crescita del bambino tra i 4 e i 6 anni».
Paura di essere maschi. Perché allora molti padri rinunciano al loro ruolo? Per paura. Per gli esperti, i maschi di oggi hanno dovuto sopportare due riscatti sociali: dalla figura del padre padrone che alzava le mani, e da quella del marito maschilista e misogino. «Abbandonata una visione di virilità negativa, i padri italiani non hanno saputo fare niente di meglio che rifugiarsi nella morbidezza eccessiva, annullando la loro stessa specificità», aggiunge Novara. Così i papà diventano dei peluche, capaci di tenerezze materne ma non di dare regole utili a crescere.
Da adulti, difficoltà di coppia. Se il padre non pone un limite alle loro spinte egocentriche, i figli possono diventare insicuri, ansiosi o depressi: «Non sviluppano il controllore interno: la voce interiorizzata del padre che, nel porre un piccolo veto, fa da contenitore alla paura di crescere», prosegue Stramaglia. Inevitabili le conseguenze da adulti, come nelle relazioni di coppia, sempre più mordi e fuggi: «Non abituati a confrontarsi con la norma paterna», conclude Novara, «i nuovi adulti evitano i contrasti che naturalmente derivano da un rapporto di coppia profondo». Preferendo legami superficiali che non vanno oltre il sesso e qualche coccola.
Tre modi di essere
Pedagogista e mediatore familiare, Federico Ghiglione si occupa di paternità e tiene corsi all’Istituo Gaslini di Genova. A suo parere, i cattivi papà di oggi sono essenzialmente tre:
Il mammo, che fa il papà imitando la mamma e non sviluppa uno stile paterno virile.
Il giocoso, presentissimo dal punto di vista ludico, ma incapace nel dare regole educative.
L’antagonista della mamma, con cui non sa condividere un progetto comune.
Il buon padre? Lo delinea invece Massimiliano Stramaglia: «È quello che libera il figlio e la figlia dall’attaccamento alla madre, che sa dare loro le ali per spiccare il volo e gli strumenti per scegliere in autonomia cosa fare della propria vita».