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Il comico, il sacro, l’osceno Mostra a grandezza intera

 
 

Informazioni

Il comico, il sacro, l’osceno

e altri nodi della letteratura medievale

Massimo Bonafin

Disponibilità: disponibile

15,20 €

Prezzo ridotto!

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16,00 €

Note sul testo
Questo libro tratta di nodi di cui è difficile sottacere l’importanza. Il riso, una capacità propria ed esclusiva della specie umana; il riso che, associato a un’altra facoltà tipicamente umana, il linguaggio articolato, transita nel comico, nell’insieme di procedimenti atti a suscitarlo. L’importanza della sessualità per definire i lineamenti di una cultura – con gli annessi comportamenti prescritti o proscritti, ammessi o interdetti, in pubblico e in privato, fra intimi o fra estranei – motiva il territorio, cangiante e di estensione variabile, dell’osceno, nelle cui molteplici manifestazioni è riconoscibile un’aria di famiglia. Il sacro, colto nei testi della letteratura medievale e sotto la forma della religione, insieme istituzione, linguaggio, ideologia e rito. Ma il riso, al pari dell’osceno, può fare capolino fra i comportamenti e le rappresentazioni proscritte e interdette dal territorio sacro, eppure in qualche modo coinvolto, come la sfera sessuale del pari, in quanto latore di una potenza parallela. Sono proprio le intersezioni inattese, gli attraversamenti pericolosi, fra questi tre complessi, il comico, il sacro, l’osceno, che specialmente percorrono questo libro, perché è proprio nelle zone di passaggio, di confine, di incrocio, che si verificano quei fenomeni in grado di riconfigurare le norme, i comportamenti, le aspettative, i pregiudizi del mondo ordinario, illuminando con nuove luci e prospettive quanto una cultura dà per scontato. E dove la mente moderna indaga accorda disunisce, la civiltà medievale ci impone di rimescolare di nuovo ciò che riteniamo distinto una volta per tutte.
 
Note sull'Autore

Massimo Bonafin, già docente dell’Università di Macerata, è ora professore ordinario di Filologia romanza all’Università di Genova.

Indice
Premessa

 
2. Il riso, il comico e la parodia medievale alla luce di una teoria bio-sociale
 
3. Demitizzazioni dell’avventura cavalleresca (Renart e Joufroi)
 
4. Sulla rappresentazione del Miracolo di Sant’Agnese in occitano
 
5. Lo spazio-tempo nei viaggi medievali nell’aldilà
 
6. Tempi brevi, tempi lunghi e livelli di cultura nel Medioevo
 
7. Somiglianze di famiglia fra Voyage de Charlemagne e Digenis Akritas
 
8. Differenze di famiglia: favolistica e zooepica medievale
 
9. Le maschere del trickster (Tristano e Renart)
 
10. Il complotto della volpe (e della donnola) e la retorica del trickster
 
11. Fra Oriente e Occidente: astuzie di volpi e di fate
 
12. Satira, parodia e oscenità nella branche 7 del Roman de Renart
 
13. Les Vêpres de Tibert: satira, finzioni e follie
 
Note
In copertina: Capitello della Collegiata di San Pedro de Cervatos (Cantabria, Spagna).
 
Italiamedievale: video presentazione del saggio Il comico, il sacro, l’osceno e altri nodi della letteratura medievale di Massimo Bonafin con la partecipazione dell'autore https://bit.ly/3IRJE6w
  • Codice ISBN (print) 978-88-6056-764-2
  • Codice ISBN (PDF) 978-88-6056-765-9
  • Numero pagine 234
  • Formato 14x21
  • Anno 2021
  • Editore © 2021 eum edizioni università di macerata
Recensione di Salvador Spadaro, allievo della Scuola di Studi Superiori Giacomo Leopardi - Università di Macerata
Eum Redazione

Il libro dal titolo Il comico, il sacro, l’osceno, che ha per autore Massimo Bonafin, già docente dell’Università di Macerata, ora professore ordinario di Filologia romanza all’Università di Genova, si struttura in tredici capitoli che derivano da altrettanti testi fra articoli, atti di convegni e saggi, qui raggruppati per affinità di argomento. Di fatto, già le prime pagine offrono una panoramica che spazia da esempi provenienti dall’Antico Egitto, come quello di Hathor e suo padre, sino a personaggi e temi del folklore giapponese, rappresentati da Ame-no-Uzume, passando per i celebri episodi della mitologia greca che riguardano Demetra e Iambe, a seguito del ratto di Persefone.

I primi due capitoli sono caratterizzati da una prospettiva generale, benché non generica. Il capitolo inaugurale del testo, concordemente con quanto ci si era proposti nella premessa, si apre con la triade osceno-risibile-sacro, esemplificata dalla contraddittoria espressione “esibire il nascosto”, che mette in luce l’aspetto d’infrazione di una norma implicato dalla violazione di un tabù. Qui si esamineranno i casi già citati del personaggio di Iambe/Baubò ed esempi meno noti di esposizione dei genitali nelle mitologie, anche distanti fra loro, al punto da congetturare una radice poligenetica del mitologema.

A distinguerlo dal primo, il secondo capitolo possiede un impianto maggiormente teorico e, dopo aver messo in luce la svalorizzazione estetica del comico che ha caratterizzato l’età moderna, con particolare riferimento ai formalisti russi Šklovskij e Tynjanov, nella relazione che questi vedevano tra parodia e comico, e a Tomaševskij nell’uso di attacco ad altre scuole letterarie, prosegue avvicinando il concetto del riso, per com’è presentato nei testi letterari, a una “teoria bio-sociale”, così da riconoscere una struttura a tre ruoli.

A seguire, nei capitoli terzo e quarto, diversamente dai precedenti, si assume una prospettiva più ristretta e specifica che privilegia come spazio di ricerca quello delle letterature gallo-romanze. Nel terzo capitolo, dedicato alle demitizzazioni dell’avventura cavalleresca, si ritrovano due esempi, quello del Roman de Renart e quello del Joufrois de Poitiers. Di questi si esamina con particolare cura l’aspetto dell’aventure che, inglobando ed espletando gli antagonismi venutisi a creare all’interno del mondo cortese, rappresenta la rottura che separa il cavaliere errante nella sua queste dalla collettività feudale, per essere poi letta nell’ottica di una demitizzazione che la relega a un orizzonte di assoluta immanenza.

All’interno del capitolo quattro si esamina il Miracolo di Sant’Agnese, anche detto Mistero, ovvero il più antico testo di teatro occitano pervenutoci, con particolare riferimento alla scena di denudamento della fanciulla, capace, ambivalentemente, di dar vita e morte. Si sottolinea soprattutto che nel teatro agiografico non si ritrova un mero oggetto letterario, ma il riflesso di una confessione religiosa che, per tanto, intrattiene profondi rapporti con elementi rituali e di culto, in questo caso rappresentati dalla nudità della donna.

Il quinto ed il sesto capitolo, come si era già anticipato, hanno come argomento principe quello del tempo e della sua rappresentazione.

Il quinto, con l’esplicito intento di coniugare i due ambiti della scienza e della letteratura, si serve del concetto di cronotopo nella trattazione dei viaggi medievali nell’aldilà per mostrare le differenze di percezione fra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Il sesto capitolo, più incline alla culturologia, richiama i precedenti studi in materia come quelli di Lotman e di Bachtin, sottolineando l’uso improprio di termini ormai consueti come quello di folklore, in opposizione alla cultura alta e di come queste due categorie siano sempre relative alle convenzioni sociali in vigore.

A conclusione ideale della prima parte del volume, il capitolo numero sette pone l’accento sulla possibilità di un orizzonte interdiscorsivo che ha per oggetto le somiglianze fra il Voyage de Charlemagne e il Digenis Akritas e, più precisamente, un’analisi comparativa del motivo del vanto dei guerrieri, alla quale sottende una riflessione sul metodo nel confronto fra medioevo romanzo e orientale.

La seconda parte, definita dall’autore stesso come sestetto renardiano, a differenza della prima, espone una serie di riflessioni e di ricerche che ruotano, appunto, attorno al Roman de Renart. Come precedentemente enunciato nella premessa, questo testo fa infatti da filo conduttore ai capitoli dell’intero volume in numerose modalità, che si tratti dell’analisi di modelli antropologici e letterari, come è nel caso dello studio dedicato al trickster o come accade ancora nella comparazione su larga scala della figura della volpe, costituendo così il contrappunto naturale per la completezza di questa raccolta di studi, nei quali si ravvisa la particolare attenzione dedicata alla zooepica antico francese, trattata già nel primo capitolo della seconda parte del libro in opposizione alla favolistica. Seguono poi un confronto fra i personaggi di Tristano e Renart, alla luce del medesimo modello antropologico del trickster e, quindi, sulla retorica dello stesso. Nell’undicesimo capitolo si ritorna invece sul rapporto che intercorre tra Oriente e Occidente, e sulle immagini e caratteristiche comuni con cui questi raffigurano la volpe. Gli ultimi due, come a chiusura di un cerchio identificato dai tre elementi del titolo, riprendono i temi della satira.

Il presente volume si configura come un’agile raccolta di riflessioni e di ricerche ad ampio raggio, nelle quali si può sempre apprezzare un orizzonte comune, ovvero il tentativo di porre scienze apparentemente distanti nella condizione di cooperare, come si evince dall’uso di strumenti concettuali appartenenti a discipline non esclusivamente letterarie. Questo taglio, che, senza ridursi alla teoria, applica le suddette riflessioni ai fenomeni letterari del medioevo, costituisce una delle cifre più pregevoli del contributo, poiché evidenzia il funzionamento di una fase critica della ricerca: la messa in pratica degli strumenti concettuali prima menzionati. La portata generale delle riflessioni qui descritte, pertanto, non si esaurisce nello specialismo fine a sé stesso, bensì investe un’ampia sezione di interessi che coinvolge i non esperti in materia, quale la configurazione del rapporto fra i testi e la tradizione e le virtuali implicazioni sulla contemporaneità di alcuni dei fenomeni presi in esame.

 
IRIS
Eum Redazione

Philippe Walter, « Massimo Bonafin, Il comico, il sacro, l’osceno et altri nodi della letteratura medievale », IRIS [Online], 42 | 2022, Online since 19 décembre 2022, connection on 03 février 2023. URL : https://publications-prairial.fr/iris/index.php?id=3029

Cette très suggestive étude d’anthropologie littéraire du Moyen Âge part du constat que le rire et l’obscène aiment surgir, à l’improviste, dans le domaine médiéval du sacré. Mais les deux premières notions sont porteuses d’un pouvoir et de valeurs étrangères à la troisième. Les croisements inattendus, sinon dangereux, entre ces trois termes sont fort habilement scrutés dans cet essai novateur. L’ouvrage commence par une étude de mythologie sur le rire, le sacré et l’obscène à travers la figure de Baubo, servante de Déméter. Elle se dénude devant sa maîtresse déprimée par le deuil de sa fille Perséphone. En exhibant sa vulve, Baubo sort définitivement Déméter de sa dépression. Une scène comparable se trouve dans la mythologie japonaise avec Ame-no-Uzume ou dans la Sheela-na-gig des sculptures médiévales. Ce scénario confère une valeur apotropaïque au rire de désacralisation (la nudité ayant une fonction d’intimidation). À propos de Baubo, on pourra ajouter en bibliographie l’étude de Georges Devereux (Baubo, la vulve mythique, Payot, 2011). L’essai aborde ensuite la question de la parodie médiévale, celle de la démythification de l’aventure chevaleresque, les questions de représentation de l’espace et du temps dans une perspective « bio-sociale » où sociologie et biologie croisent leurs observations (toute étude anthropologique est nécessairement pluridisciplinaire). Il se conclut sur six chapitres concernant Renart, car ce personnage relie à la perfection les trois notions au cœur de l’essai. Se succèdent des analyses comparatives sur la fable médiévale et l’épopée animale, sur les « masques du filou » (Tristan et Renart), la « conspiration du renard et de la fouine » en lien avec « la rhétorique du filou », « la ruse des renards et des fées » entre Orient et Occident, avant des analyses sur « la satire, la parodie et les obscénités », puis « la satire, les fictions et les folies » dans le Roman de Renart. C’est toujours dans leurs zones d’intersection que le comique, l’obscène et le sacré sont en mesure de questionner les normes, les comportements, les attentes et les préjugés du monde réel (non fictif). Ils remettent en cause ce qu’une culture tient généralement pour convenu et convenable. On aurait envie d’emboîter le pas de l’auteur et d’enchaîner des études sur le risus paschalis (rire pascal) dans les églises du Moyen Âge, la fête de l’âne (ou fête des fous) lors des Douze Jours entre Noël et l’Épiphanie, ainsi que quelques fabliaux obscènes et truculents. Là où l’esprit moderne étudie souvent des dissociations ou oppositions (comme culture savante/culture populaire), la civilisation médiévale nous incite à penser et à réunir ce que nous avons arbitrairement séparé, opposé voire « déconstruit » avec nos modes de pensée contemporains (comme le matérialisme historique bakhtinien ou la psychanalyse). Cet essai nous invite donc avec subtilité et pertinence à réviser notre regard critique. Petite remarque incidente : le vieil adage selon lequel le rire serait le propre de l’homme est aujourd’hui démenti par l’éthologie, puisque le rire des singes fait désormais l’objet de nombreuses études scientifiques très documentées. On peut donc le reléguer dans l’arsenal des croyances anciennes.

 
Studi medievali
Eum Redazione

La rivista Studi medievali ha segnalato il libro "Il comico, il sacro, l'osceno" tra le Notizie dei libri ricevuti.

Studi medievali, Serie terza, Anno LXIII - Fasc. II, 2022, p. 1012.



 
il manifesto
Eum Redazione

Renart la volpe, antifiaba per eludere l’ordine sociale

di Mario Mancini, il manifesto, Alias Domenica, 2 otobre 2022

(...) Nell’Introduzione Bonafin, che è uno dei maggiori interpreti delle storie renardiane, richiama i caratteri fondamentali del protagonista e delle varie situazioni narrative. Chi volesse saperne di più può leggere il suo Il comico, il sacro, l’osceno e altri nodi della letteratura medievale (eum – Edizioni Università di Macerata, pp. 243, € 16,00), che è in gran parte dedicato proprio a Renart. Bonafin privilegia un approccio antropologico, collegando così la volpe a una figura centrale del folklore: il briccone, il trickster, con la sua fenomenologia di ruoli, di inganni, di maschere.(...)

https://ilmanifesto.it/renart-la-volpe-antifiaba-per-eludere-lordine-sociale

 
Fillide
Eum Redazione

Segnalato da Luisa Bertolini, Fillide. Il sublime rovesciato: comico umorismo e affini, numero 24, aprile 2022

La figura femminile in posizione oscena in copertina è una scultura romanica posta su un capitello, a lato di una finestra, dell’abside di una chiesa del XII secolo, la Collegiata di San Pedro a Cervatos in Cantabria, decorata anche da altre scene erotiche e grottesche. L’accostamento di sacro e osceno nella declinazione del comico è il filo che tiene insieme gli articoli e gli interventi che Massimo Bonafin segue da sempre e raccoglie in questo libro.
Il primo capitolo è dedicato a Iambe/Baubò nell’Inno omerico a Demetra e nelle successive varianti. L’esibizione oscena della vulva che induce a una risata liberatrice è presente, secondo Bonafin, anche in altre tradizioni folcloriche e letterarie, persino in oriente, nel mito giapponese di Ame-no-uzume che scoprendosi suscita il riso degli dèi e il ritorno della dea del sole e della luce. Questa ricerca delle analogie e delle discrepanze, delle somiglianze e delle differenze tra tradizioni così lontane richiama l’antropologia del riso di Fabio Ceccarelli che l’autore aveva già analizzato in Contesti della parodia. Semiotica, antropologia e cultura medievale (Torino, Utet, 2001).

Un altro riferimento di Bonafin nell’analisi della parodia medievale, in particolare del poemetto eroicomico del XII secolo, il Voyage de Charlemagne, è il meccanismo della burlesca incoronazione e scoronazione del re del carnevale studiato da Bachtin. In questo caso però l’autore suggerisce alcune osservazioni critiche che riconducono la parodia al concetto di coridenti di Ceccarelli, ai comportamenti etologici di dominanza e sottomissione, archetipo presente, secondo l’autore, ad esempio nella scena evangelica dell’irrisione da parte dei soldati di Gesù “re dei Giudei”. Così il carnevale nella cultura cristiana non rappresenta uno sfogo, l’osceno nella parodia dei testi religiosi non è laicismo: i travestimenti, i rovesciamenti, la maschera sono piuttosto, secondo Bonafin, l’indicazione di un altro mondo possibile, il momento in cui il comico attinge al sacro.
Tra gli altri temi del libro – tra i quali il miracolo di santa Agnese nel teatro occitano, il tempo e la durata nelle visioni dei viaggi nell’aldilà, i racconti cinesi di volpi e fate – la disamina del romanzo di Renart la volpe ne costituisce la parte principale. Com’è noto anche ai lettori di questa rivista (cfr. l’articolo di Mattia Cavagna scacchi-amari-gioco-e-violenza-nel-roman-de-renart/), non si tratta di un romanzo nel significato moderno del termine, ma di una raccolta di favole satiriche in antico francese che risalgono ai secoli XII e XIII e che hanno come protagonisti gli animali. I principali sono la volpe Renart, capace delle astuzie e degli inganni più incredibili, il lupo Ysengrin, incarnazione della forza bruta, e la moglie lupa Hersent, e costituiscono una parodia zoomorfa della cavalleria, della vita cortese, di tutta la società feudale e insieme, secondo Bonafin, degli archetipi antropologici dell’inganno, della lotta per la sopravvivenza e della sessualità. La volpe Renart si trasforma continuamente, si tinge di giallo e di nero, si maschera da giullare, si traveste da mago e diventa persino imperatore, sembra morire più volte, ma rinasce sempre di nuovo; è l’archetipo del trikster furfante e dispettoso, insaziabile e randagio, capace di sedurre, di raggirare, soprattutto attraverso l’uso del linguaggio, analizzato dall’autore nei suoi diversi giochi retorici. L’esposizione del contenuto della branche 7 rivela un eccesso di oscenità davvero grottesco: Renart, battuto e rincorso dai monaci del monastero dove aveva mangiato galline a sazietà, prima di nascondersi in un covone, formula una pregheria parodica a base di peti e maledizioni e si rivolge irriverente a Dio al quale chiede di proteggere i malvagi. Al mattino inscena una finta confessione con il nibbio Hubert cominciando a spiegare perché, per pentirsi delle sue malefatte – essendo stato spergiuro, scomunicato, sodomita ed eretico –, non si è fatto monaco («non so parlare latino, e mangio volentieri al mattino», vv. 365-366). Grottesca la descrizione della vita troppo austera dei monaci che però farebbero a gara per copulare con una donna che capitasse in mezzo a loro. A questo segue l’esaltazione dell’organo sessuale della lupa Hersent, il piacere di pronunciare il nome dell’organo femminile e la risposta clericale del nibbio che culmina con «la descrizione grottesca, ripugnante ed esagerata, del suo organo sessuale, fonte della sua lussuria, sempre aperto, pozzo senza fondo» che evoca addirittura la voragine infernale (p. 210); la replica di Renart è la confessione di numerosi crimini a cui seguono altre provocazioni. Il poeta presenta così il completo rovesciamento dei principi della poetica medievale, assegnando l’astuzia al peccatore e affidando al confessore un’identità ambigua resa nell’eccesso della volgarità della parola, vicina – scrive Bonafin – ai temi dei fabliaux.

La traduzione italiana di una parte di questi testi si deve proprio a Massimo Bonafin in Il romanzo di Renart la volpe (1998, branches 1-5a), in Vita e morte avventurose di Renart la volpe (2012, branches 7, 12, 17, 24) e infine in Le metamorfosi di Renart la volpe del 2021 (branches 1b, 23, 22, 11), sempre nella collana Orsatti delle Edizioni.

https://fillide.it/il-comico-il-sacro-losceno-e-altri-nodi-della-letteratura-medievale/

 
Il Sole 24 Ore
Eum Redazione

Nei secoli bui se la spassavano alla grande

Di Franco Cardini, Il Sole 24 Ore, Domenica 27 Marzo 2022 – n. 85, p. IX

«Che sollievo, che sollievo! Siamo fuor dal Medioevo!». Quando i ragazzini del ginnasio diventavano abbastanza grandi da capire certe battute di spirito di una qualche sottigliezza, per farli ridere si usava raccontar loro la “favola ucronica” del 1492: l’anno nel quale era caduta Granada, ultima roccaforte dei mori in Europa, oltre a essere morto a Firenze il Magnifico Lorenzo sigillando con la sua scomparsa la fine di un’era e mentre l’ammiraglio Colombo sbarcava nel Nuovo Mondo inaugurando anche l’età moderna.
Ma era poi davvero finito il Medioevo? I philosophes del Settecento sostenevano di no, che c’era un buio e lungo Medioevo che allungava la sua ombra lugubre anche nei recessi delle violenze e nelle superstizioni moderne; e ai nostri tempi un grande medievista come Jacques Le Goff era d’accordo. Eppure, quei lontani “secoli bui” erano e sono restati fonte inesauribile d’ispirazione estetica e perfino scientifica; e anche di svago, nelle innumerevoli parodie fino a Monty Python e all’Armata Brancaleone.
D’altronde, è ormai abbastanza noto che – a differenza, ad esempio, dell’età vittoriana – l’età medievale in genere non era né granché austera, né granché castigata. Del resto, ai bei tempi del liceo, siamo andati tutti a caccia di novelle scollacciate nel Decameron.
Del resto, c’è ben altro. Massimo Bonafin, austero filologo dell’Ateneo genovese, non solo è tornato sul problema del ridere medievale che tanto piaceva a Umberto Eco, ma ha scandagliato non solo il genere comico e la parodistica bensì anche l’epica e perfino i viaggi nell’Aldilà per scoprire pagine esilaranti nelle quali il divertente e l’osceno s’intrecciano di continuo in un inaspettato caleidoscopio: del resto, già l’onnipresente Alessandro Barbero ci ha sorpreso mesi fa con un libretto nel quale s’indaga sul membro maschile medievale con infinite variabili.
Ci aspetteremmo un ritorno al Medioevo “alto” e “profondo”, quello dei mistici o della vita cavalleresca che profumava di sangue e di rose, se ci rifugiassimo nella poesia trobadorica…

 
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