di Sara Valentina Di Palma, 3/2011, pp. 371-372
Il volume curato da Giuseppe Capriotti è il risultato di un convegno che ha riunito, nel 2008, a Macerata giovani studiosi con l’ambizione di far dialogare discipline diverse in occasione del Giorno della Memoria, non limitandosi alla commemorazione della Shoah ma per esplorare i nessi tra antigiudaismo e antisemitismo. I saggi presentati spaziano pertanto da analisi iconografiche a studi sul teatro, da proposte pedagogiche sulla Shoah a percorsi museali, dalla riflessione filosofica a quella poetica (Paul Celan) e letteraria (Yitzak Orpaz) sui temi di esclusione, persecuzione e memoria.
Particolare interesse rivestono gli interventi di Carlo Susa sul teatro religioso europeo tardo-medievale nell’Europa mediterranea, e di Capriotti stesso sulle raffigurazioni antiebraiche nella pittura centro-italiana quattrocentesca: entrambi, pur nella diversità del tema trattato e del contesto geografico di riferimento, confermano la presenza di stereotipi antiebraici anche in assenza fisica di ebrei e leggono il fenomeno antigiudaico non solo nei termini del pregiudizio religioso cattolico incentrato sull’accusa di deicidio, ma anche (e questo è l’aspetto più importante) in rapporto alle esigenze socio-economiche e culturali delle realtà in cui tali pregiudizi crescono.
Si comprende dunque come testi francesi, scritti in assenza di comunità ebraiche, facciano propri elementi antiebraici riferendosi ai «giudei» per denunciare problemi contemporanei, quali la sicurezza cittadina e l’usura, o come alcune forzature iconografiche che moderano o annullano la responsabilità romana nella persecuzione di Cristo, addossando ogni colpa agli ebrei, derivino dal successo di fonti contemporanee quali le prediche dei minori osservanti o di San Bernardino da Siena contro il prestito ad usura – praticato in realtà anche da cristiani. Senza sminuire la paternità dell’antigiudaismo rispetto all’antisemitismo razzista di fine Ottocento, il pregiudizio antiebraico tardo-medievale è, dunque, soprattutto funzionale alla denuncia di problemi sentiti come pressanti dai contemporanei.
Manca tuttavia al volume la continuità argomentativa prefissata, e lo studio si presenta più come una collezione di saggi che come un corpus organico per analisi e interpretazione, con alcuni interventi marginali rispetto all’argomento: si veda tutta la prima parte del, sia pure interessante, saggio di Mara Cerquetti sui mutamenti delle finalità e dell’organizzazione museale tra età moderna e contemporanea. Soprattutto, sono penalizzati alcuni testi che hanno invece particolare pregio, come il contributo di Natascia Mattucci sull’attualissima riflessione arendtiana del problema giuridico dei profughi e degli apolidi dagli Stati totalitari in poi, con una chiara denuncia della mancanza di status giuridico quale premessa per l’assenza di diritti e una conseguente più facile discriminazione e persecuzione. Degna di nota è anche la ricostruzione di storia locale dell’internamento delle Marche, firmata da Costantino Di Sante.
Alcuni saggi presentano invece problemi specifici. Il contributo di Luca Peretti sull’antigiudaismo romano nei film Il marchese del grillo e Nell’anno del signore, ad esempio, compie un interessante excursus storico sulla realtà peculiare del ghetto di Roma e della comunità ebraica romana tra emancipazione portata dai francesi a inizio Ottocento e Restaurazione e reintroduzione di restrizioni, senza riuscire tuttavia a mostrare se e come, nei due film, le figure degli ebrei rappresentati rispondano a figure stereotipate o siano la spia della forza dell’antigiudaismo nel popolo e nella Chiesa.
Molto generico è il contributo di Antonella Tiburzi sulla pedagogia della Shoah, in cui manca un impianto storiografico (si accenna a vittime, carnefici e spettatori senza parlare di R. Hilberg; si fa riferimento ai dilemmi morali senza affrontare la questione dello studio degli uomini comuni in C. Browning) e dove alcune affermazioni sono di per sé criticabili. A p. 316, il concetto di male assoluto come «non più sufficiente» a spiegare la Shoah: semmai superato e oggi ritenuto giustamente fuorviante. A p. 319 la persecuzione di Sinti e Rom come derivante dal nazionalismo hitleriano, quando invece entrano in gioco più complessi fattori di ordine razziale e sociale e di ristrutturazione delle società europee secondo il Neue Ordnung studiato da E. Collotti. Infine a p. 321 il riferimento ad una solidarietà tra i sopravvissuti, quando invece non è stato assolutamente così; anzi per decenni la memoria non è stata condivisa e non sono mancati episodi di discriminazione tra gruppi di perseguitati, ad esempio con la decennale esclusione dei superstiti omosessuali ritenuti meno «vittime» di altri gruppi, quali i deportati politici o razziali.